Linciaggio, giustizia sommaria… Sono temi forti, importanti, quelli che tocca il film di William Wellman, costruito in studio sfruttando appieno lo splendido bianco e nero di Arthur Miller e ottenendo scenari da incubo spesso degni di un gotico in piena regola. Da un'ottima sceneggiatura di Lamar Trotti (che rielabora il romanzo di Walter Van Tilburg Clark con grande fedeltà) Wellman ha tratto un dramma western di impatto enorme. Soprattutto per come affronta la commovente ultima mezz'ora, concentrato di emozioni che lascia quasi senza fiato e si chiude cupamente nel migliore dei modi. È qui che è racchiuso il significato profondo del film, oltre che nell’incredibile...Leggi tutto realismo con il quale sono disegnati tutti i personaggi, che danno così alla vicenda un valore incontestabile di testimonianza fedele di un’epoca. Siamo lontani dall’epica eroica del western tutto azione, deserti e praterie. Qui siamo di fronte a un unico accadimento attorno al quale si sviluppano le psicologie dei personaggi coinvolti: dopo la razzia di una mandria di cavalli e l'uccisione presunta di un uomo, il paese intero parte alla caccia dei colpevoli per fare giustizia. È forse nella preparazione della fase centrale che ALBA FATALE fatica a guadagnare mordente, nonostante la bravura di Henry Fonda caratterizzi comunque il film positivamente. La durata contenuta (appena un'ora e quindici) permette di condensare il meglio senza disperdere l'interesse in storie secondarie, e quando i tre colpevoli vengono trovati il film ha l'impennata decisiva.
Apologo contro la pena di morte, trapiantato nel western per la magior efficacia didascalica, viste la sbrigatività delle pratiche all'epoca e lo status del genere al cinema. Nobile e tutto giocato sulle psicologie, paradossalmente proprio per la brevità finisce per lasciarne alcune solo abbozzate (il personaggio di Anthony Quinn, potenzialmente interessantissimo) per paura forse di spezzare l'atmosfera: un vero peccato, che impedisce al film di attingere la dimensione del capolavoro.
Capolavoro western firmato da Wellman che si ricorda per una storia al fulmicotone. Caratterizzato da un notevole ritmo narrativo e che nonostante la sua brevità, o forse proprio per questo, suscita tantissime ed intense emozioni che raggiungono il climax nello splendido finale che nulla concede alla retorica. Straordinaria la sceneggiatura. Assolutamente imperdibile per gli amanti del genere e non solo per loro.
Non ci sono tante premesse o conseguenze: il film sta tutto nel linciaggio di 3 presunti razziatori di cavalli e assassini, anzi sta tutto nel concetto di linciaggio, sviscerato in ogni sua piega. È in effetti proprio la parola la vera protagonista, e non l'azione, quasi fosse un dibattito (di volta in volta etico o giuridico) sulla giustizia il nucleo portante del film, piuttosto che una truce avventura western, che ha il clou nella claustrofobica radura notturna. Dibattito serrato e con mille sfumature, per un'opera schiettamente didattica.
Il film inizia con il delineare il gruppo di personaggi (che metaforicamente rappresentano le molteplici e variegate personalità dell'uomo) e poi si sviluppa, con grande efficacia, nel mettere queste personalità di fronte alla difficile prova di amministrare la giustizia. E quale epoca e quale posto meglio del Far West e dei suoi pionieri, si poteva trovare per l'esecuzione del linciaggio di tre uomini. Coinvolgente al punto che si arriva a provare sdegno e rabbia impotente per il comportamento dei più. Ottimamente diretto e interpretato.
MEMORABILE: Il finale che riscatta l'uomo, nelle vesti di Henry Fonda e lascia spazio alla speranza.
Poca azione in questo western diretto da William Wellman. Basato su un dilemma morale, il film è una sorta di dramma da camera dalla peculiare ambientazione, opera secca e concisa, segnata da una buona sceneggiatura, che punta gran parte delle sue carte sui dialoghi. Tra gli interpreti spicca un giovane e già notevole Henry Fonda. Più defilato Anthony Quinn.
L'ennesimo furto di bestiame, la notizia dell'uccisione di un allevatore, ed ecco viene organizzata una spedizione punitiva... Western celeberrimo, manifesto contro la tentazione della giustizia sommaria, i cui nobili intenti risultano solo un poco offuscati dal didascalismo e dall'assenza di problematicità: alcuni personaggi possono dubitare della colpevolezza dei tre uomini, ma agli spettatori è subito evidente la loro innocenza, il che garantisce certo il coinvolgimento emotivo. Ma anche se fossero stati colpevoli, quegli uomini non avrebbero forse avuto diritto ad un giusto processo?
MEMORABILE: La lettura della lettera, anche se è poco verosimile che un mandriano possa averla scritta in quei termini, costituisce un momento indimenticabile
Western atipico, senza troppe sparatorie e cavalcate, ma improntato al dilemma morale. Impostato come se fosse un dramma teatrale, è tutto ambientato in esterni ricostruiti in studio che danno un sentore di angoscia allo spettatore al pari della storia raccontata. Si vive appieno il dramma dei tre condannati e ci si incuriosisce riguardo alla loro effettiva colpevolezza, anche se nessuno dei personaggi emerge per particolare carisma o sfaccettature. Fonda è comunque già l'abile interprete che conosciamo, Quinn molto più anonimo. Buono.
Sin troppo spesso nei western di tutte le epoche accade che quando a un innocente viene messo il cappio al collo, arrivi un eroe salvatore all'ultimo decimo di secondo. Non è così in questo film, il migliore del regista anche se girato totalmente in interni. La lettera scritta da Martin alla moglie fa venire in mente, per le circostanze, la modalità di scrittura e la destinataria (meno per i contenuti che qui sono troppo retorici), la lettera scritta da Langlois alla moglie in Orizzonti di gloria, anche se il riferimento va molto più al romanzo di Cobb che al film di Kubrick.
Un allevatore viene ucciso e tre uomini condannati. Il soggetto è il tema della giustizia sommaria: anche chi ha il potere non garantisce un giusto processo. Argomento sempre attuale, ancora di più decenni or sono. La famigerata lettera finale sa essere universale, con il piccolo difetto di essere scritta in punto di morte. Fonda finisce col mescolarsi a buoni caratteristi; Quinn nei panni del capo avrebbe dato maggiore impulso all'errore marchiano di chi ha giudicato. Le ambientazioni ristrette sono una buona scelta.
MEMORABILE: La ex fidanzata che fa una breve apparizione; Il gesto dell'impiccagione.
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Il regista William A. Wellman amava il romanzo "The Ox-Bow Incident" di Walter Van Tilburg Clark e desiderava da tempo trasformarlo in un film, ma i detentori dei diritti insistevano affinché inserisse nel cast Mae West, cosa che Wellman riteneva ridicola. Alla fine, Wellman acquistò lui stesso i diritti e realizzò il film "a modo suo".