Alla ricerca dell'autocoscienza perduta sotto quintali di (anni di) piombo. La Cina è lontana, compagni e fasci si equivalgono, l'eroina di stato ne ammazza a plotoni, la DC si frega le manine e la lotta non continua più, naufragando nell'individualismo e compiaciuti piagnistei su com'era rossa la nostra valle salvata dai partigiani. Alle spalle le brucianti assenze di Moro e Pasolini a segnare il passo, davanti i germi del rampantismo che sigleranno gli 80. Grande la confusione e a un disincatato e sarcastico Bucci non resta che perdercisi. Disomogeneo come quegli anni, ma resta il Giordana più coraggioso e interessante di sempre.
Al rientro in patria dopo 5 anni di Sud America, ex sessantottino militante si ritrova, ahilui, in un paese che sta radicalmente cambiando, voltando quasi smaccatamente identità (e pagina). Il disordine genera la ricerca di certezze: doveroso è imbarcarsi in un amarcord tristemente vacuo, sconfortante e portatore solo di auto commiserazione. Triste ed inesorabile ma penetrato anche da sprazzi d'ironia (amara), è un bel film d'esordio, nel posto giusto al momento giusto.
Pur tra evidenti ambiguità e incongruità, che gli anni impietosamente si premurano di sottolineare, Maledetti depone già a favore della peculiare sensibilità di Giordana, autore di un cinema di poesia sul reale a volte saccentemente ingenuo ma sempre passionalmente franco. Curiosa la condivisione della struttura a sketches con gli esordi di Moretti e Nichetti, ma se alcune stripes tengono (il partigiano; destra e sinistra), altre han perso smalto e senso (la festa, la cocaina soffiata stile Woody). Bucci aderisce simbioticamente al disincanto di Svitol.
MEMORABILE: La canzone di David Riondino “Ci ho un rapporto”.
Un film ironico e pungente sullo sfacelo dell'estrema sinistra italiana negli ultimi anni settanta, tristemente attuale e sorprendentemente azzeccato in gran parte dei suoi sketch. Un certo schematismo e una leggera ripetitività di fondo demoralizzano un po' l'insieme, ma nulla che comprometta la credibilità del discorso. Confezione grezza ma funzionale, Bucci perfetto, finale non sorprendente ma coerente. Il miglior Giordana tra i pochi che ho visto, oltre che il più consapevole e autocritico.
Fine anni Settanta: gli anni del reflusso, garantiscono gli storici. Moro è morto, il compromesso storico pure e la sinistra più di tutti. Chi non balla il sabato sera ostenta il suo disincanto: si chiama droga. Svitol, tornato dopo cinque anni dal sud America, lo sa meglio degli altri. Si ispira a "I Ching" senza l'atarassia necessaria, cita, en passant, l'esitenzialismo di Sartre (parodiando l'essere in sé, "compiuto", del tavolo, rispetto a quello incompiuto, in divenire, dell'uomo) e celebra la sconfitta della sua generazione sulle note di "Años de Soledad". Finale scontato.
MEMORABILE: Svitol nella fabbrica abbandonata; "Certo era molto meglio quando si potevano riconoscere, i nemici"; Anche "il tavolo è stanco di fare il tavolo".
Dopo le grandi illusioni arriva il riflusso; un riflusso fatto di piombo, di eroina, di perdita di ogni speranza. Marco Tullio Giordana fotografa con grande precisione e con intelligenza un momento storico molto particolare, supportato da uno straordinario Flavio Bucci e da Riondino (David) che come direttore di giornale è davvero fantastico. Una sorta di elegia funebre per il '68, portata avanti con grande partecipazione emotiva ma anche senza alibi.
Marco Tullio Giordana HA DIRETTO ANCHE...
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DiscussioneFauno • 11/02/14 10:20 Contratto a progetto - 2748 interventi
Ricordi Schramm l'ultima nostra interminabile discussione?
Ecco, ti do atto per questo film di avere fatto veramente un bel commento, chiaro, che lascia qualcosa a chi lo legge, e soprattutto che lo stimola ad andare oltre. A me son questi i commenti che piacciono. FAUNO.
Il film che Svitol (Bucci) e il Commissario (Pelligra), vanno a vedere al cinema "potrebbe" essere Il Vaso di Pandora" del 1929, nei due fotogrammi si riconoscono rispettivamente Louise Brooks e Fritz Kortner