Sospeso, rarefatto, profondamente nordico, eggersiano fino al midollo (il caprone di
The Witch, l'isolamento di
The Lighthouse che crea mostri o creature ancestrali), immerso in un'atmosfera caliginosa e desolante, tra nebbia e natura inospitale circostante.
Opera prima notevole, che si barcamena tra cinema d'autore e cinema fantastico, dove l'incipit nella stalla lascia pochi dubbi sul dipanarsi misterioso della vicenda (attenzione anche al comunicato radiofonico del ritrovamento di un sito archeologico dedicato al Dio Pan), che il finale vendicativo svelerà senza troppe sorprese.
Scontro tra madri, faide familiari (una umana, l'altra mitologica), il lancinante belare di mamma pecora , la sua crudele uccisione, trascinata nel fango, la sepoltura, l'incubo ovino/infernale della Rapace, il gigantesco montone che ansima nella nebbia, l'occhio sbarrato, la consapevolezza della piccola (e tenerissima) Ada, creaturina antropomorfa e assai curiosa, di non appartenere al mondo degli esseri umani (Ada che si specchia dubbiosa, il quadro con il gregge, dove Johannsson stringe
stendhalianamente fino a invadere lo schermo), che cammina goffa su quegli stivaletti di gomma e imbottita in quei cappottini (di toccante tenerezza quando esce con lo zio a raccogliere fiorellini, mentre l'uomo, puntandole il fucile addosso, non riesce a premere il grilletto su quell'esserino, e verranno ritrovati dalla Rapace addormentati, abbracciati, sulla sedia. O il suo dolore nello straziante finale).
Elaborazione del lutto, mitologia, paganesimo, maternità interrotta, cristianità (l' inseminazione avviene la notte del 25 dicembre in una stalla, la Rapace si chiama, guarda caso, Maria) il tutto miscelato con sapienza registica e suggestione, dai tempi dilatati del vivere quotidiano in una fattoria sperduta sui monti lontana da Dio e dagli uomini.
Con l'arrivo dello zio (scaricato in malo modo da un gruppo di amici), il film diventa quasi un grottesco e surreale quadretto familiare, una sit com dell'assurdo, fino a quando la natura (o chi la rappresenta) viene a chiedere il conto per essere stata defraudata della sua prole.
Durante la narrazione Johannsson tenta strade alternative (follia femminea? Perdita della ragione dovuta all'isolamento? Il rifiuto di accettare la perdita di una figlia?), ma non ci si casca, perchè l'inizio è sin troppo chiaro e inconfutabile, in un raro caso dove lo spoiler viene sbattuto in faccia allo spettatore appena dopo il titolo iniziale del film, penalizzando le varie chiavi di lettura o le possibili interpretazioni
SPOILERSi aspetta che la creatura umanoide, metà uomo e metà montone, che ha ingravidato la pecora nella stalla faccia la sua comparsa prima o poi. E infatti...
FINE SPOILERA suo modo originale, che rifugge da ogni convenzionalità, trattando delicatamente (e con rigoroso stile quasi dreyeriano) un tema che poteva scivolare nella pagliacciata (e non immune da goliardiche e pecorecce battute). Forse un po ambizioso, ma pregno di fascino misterioso, da vedere assolutamente a mente libera e distante anni luce dalle baracconate yankee stile
The Barrens (occhio al finale).
E la piccola e dolcemente mostruosa Ada rimane nel cuore.