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La nostra recensione di La quattordicesima domenica del tempo ordinario

Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Si riaffaccia al cinema l'ennesima malinconica vicenda di un “loser” della canzone, di quelli che in gioventù riescono a incidere un pezzo di buon successo (il cui titolo corrisponde qui a quello del film) per poi scomparire nelle paludi dell'irrilevanza, condannati a ricantarlo tristemente presenziando da meteore a eventi minori per sfruttare fino all'ultimo granello la polvere di stelle. Non sarebbe in verità il caso di Lodo Guenzi, l'attore protagonista, che con i suoi Stato Sociale (bolognesi, guarda un po'...) ben più di un brano noto ha sfornato (e a Sanremo ci è andato eccome!). Qui è stato scelto da Avati per impersonare...Leggi tutto Marzio da giovane nei tanti flashback che di fatto costituiscono la parte più ampia del film, lunga rievocazione dei momenti in cui aveva sposato Sandra (Ciraolo da giovane, Fenech nel presente) e tentava di sfondare nel mondo della musica insieme al suo amico Samuele (Russo da giovane, Lopez oggi) con il duo "I Leggenda".

Non sappiamo ancora tutto di loro, ma abbiamo già una buona visione anticipata di quello che accadrà grazie alle parole di Samuele, che quando incontra Marzio (Lavia nel presente) si sente rinfacciare di quando ebbe una relazione con Sandra svelandole che lui per una sera, da ubriaco, era andato a letto con la bassista di un'altra band. Piccole rivelazioni che non danneggiano le sorprese di una vicenda che vive soprattutto delle emozioni dei protagonisti, del carattere difficile di lei, di quello possessivo di lui, geloso oltre ogni logica e incapace di mettere a frutto il successo di una canzone per superare le difficoltà della vita. Maturato ma ancora solitario, alle prese con un'esistenza che non può definirsi soddisfacente, rivede Sandra al funerale di Samuele (suicidatosi nelle prime scene in seguito alla morte per malattia del figlio trentaseienne) riaprendo con lei un discorso mai davvero interrotto. Perché esiste ancora un barlume di complicità, dietro la scorza rude di una donna che non ha mai saputo amarlo come forse avrebbe meritato, e Marzio cerca di sondare fin dove può spingersi nel tentativo di riavvicinarla.

Ancorché over settanta, la “divina” Edwige mantiene ancora quei lineamenti così caratteristici e singolari che le regalano un fascino mai estinto, al punto che risulta difficile, impossibile rinvenirne la luce (che tanto abbagliante fu) nella pur bella Ciraolo. Chiunque abbia più di quarant'anni non può immaginare la Fenech giovane con tratti diversi da quelli che la resero il sogno proibito di una generazione. Ma il cinema costringe anche a questo e tocca abbozzare, seguendo le vicissitudini di due giovani più uno (Samuele resta defilato), il loro rapporto tormentato sullo sfondo di una Bologna che da sempre rappresenta il teatro ideale per le nostalgie di Avati. E si può ancora cogliere la mano felice nella direzione degli attori, nella descrizione dei sentimenti, delle disillusioni, della malinconia e della frustrazione del protagonista, incapace di reagire a un destino disgraziato, che sa di doversela prendere prima di tutto con se stesso.

Non c'è niente di nuovo in ciò che Avati racconta, solo la grazia di chi ancora può facilmente attingere a una riconosciuta poetica personale per mettere in scena con grazia e autenticità i drammi della gente comune, delle tante vite che resistono, all'ombra della gioia, accontentandosi di quel che possono avere lasciandosi andare a sfoghi isolati e comprensibili prima di rientrare nel grigiore di un quotidiano (il tempo ordinario cui fa riferimento il titolo) non troppo diverso da quello di tanti. C'è molto di Avati in quest'opera forse poco incisiva, magari a tratti anche ingenua ma che sa alternare durezza e tenerezza trovando nel personaggio di Sandra la figura più tormentata ed enigmatica (non solo agli occhi di Marzio). Lavia e la Fenech meno in scena dei loro “doppi” giovanili, mentre Lopez, già defilato nei flashback, si vede solo per pochi minuti nelle fasi iniziali. Sydne Rome ha un breve cameo piuttosto superfluo, Cesare Bocci è il padre di Marzio, che appare in sogno al figlio in due o tre occasioni.

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Tutti i commenti e le recensioni di La quattordicesima domenica del tempo ordinario

TITOLO INSERITO IL GIORNO 6/05/23 DAL DAVINOTTI
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Markus 6/05/23 19:26 - 3777 commenti

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Il più tipico esempio di cinema cosiddetto "avatiano" fatto di voci fuori campo, la città di Bologna del tempo che fu, ampi spazi di nostalgia dal sapore un po' malinconico nell'ormai logoro canovaccio che... purtroppo non funziona più per mancanza di grandi attori e dalla fotografia digitalizzata che rende tutto artificioso. Chi poi s'aspetta il gran ritorno della Fenech rimarrà in parte deluso, perché di fatto l'opera utilizza maggiormente i ruoli interpretati dai giovani Ciraolo/Guenzi. Lavia continua a non funzionare in ambito cinematografico. Musica avvolta d'eccessiva mestizia.

Gabrius79 8/05/23 12:11 - 1527 commenti

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Avati quando si tratta di rievocare il passato ambientandolo nella sua Bologna va detto che ci sa fare con consumato mestiere. Anche qui ci regala un film più che discreto, intriso di tristezza, in cui si tende più a parlare del passato che del presente (e forse insistere sul presente era meglio, per utilizzare l'interessante coppia Lavia-Fenech). Va detto che la coppia "del passato" Ciraolo-Guenzi è comunque gradevole. Camei per Lopez e Bocci. Di passaggio la Rome in un ruolo francamente poco utile ai fini della storia.

Rambo90 8/05/23 17:55 - 8068 commenti

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Avati rievoca ancora il passato, intrecciandolo con un presente doloroso, ma lo fa in modo molto appannato rispetto a una volta. Non rende giustizia alla sua storia proprio una regia stanca, forse ormai poco avvezza a certe tecniche, né un cast in parte. Se la coppia Lavia/Fenech funziona non si può dire altrettanto di uno spirito Guenzi, che è in scena molto più dei suoi colleghi più bravi e regala poca simpatia al suo personaggio. Sprazzi del grande regista di un tempo qua e là affiorano (le pareti blu, il bel brano dei Leggenda).

Nick franc 21/05/23 10:51 - 549 commenti

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Sin dalle prime note si capisce in quali territori ci troviamo, poi il tutto segue i binari stabiliti: una storia dove avatiano sembra diventare sinonimo di malinconico e il rischio maniera è sempre dietro l'angolo. Il regista più che il presente racconta il passato, ma i volenterosi Guenzi e Ciraolo hanno la spalle troppo piccole per reggere il peso dei loro personaggi e mentre Lavia ci mette la voce e il mestiere, la Fenech ha ancora qualche riflesso dello splendore che fu. La capacità di raccontare rimane, l'elegia dei perdenti a tratti funziona ma il film non appaga del tutto.

Reeves 28/05/23 07:28 - 3130 commenti

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I perdenti da sempre affascinano Pupi Avati e sono l'architrave sul quale costruisce le sue storie. Come sempre sa essere patetico e ironico, come sempre sa dirigere splendidamente gli attori come fa in questo caso con Edwige Fenech, alla quale regala un sontuoso ritrorno al cinema. Molto bravo anche Lodo Guenzi, un po' sopra la righe Lavia ma il film è comunque piacevole.

Zaratozom 30/05/23 19:00 - 64 commenti

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Avendo già girato parecchie volte storie come questa, si correva il rischio di cadere nel già visto e di non poter respirare quella nostalgia canaglia così foriera di emozioni già portate in scena dal regista bolognese. E infatti qui manca un po' il senso dell'inedito, del piatto già assaggiato ma condito con un ingrediente diverso. Fenech bellezza senza età lascia il segno su un film a tratti noioso come il continuo passaggio della canzone più melensa della filmografia di Avati. Non ce ne voglia Cammariere, ma anche cantata da lui è una pizza...
MEMORABILE: L'interpretazione di Lopez e quella di Bocci: il primo utile, il secondo meno, usato solo come scusa per tenere le fila della storia.

Caesars 31/05/23 08:59 - 4026 commenti

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Spiace sempre  bocciare un film di Avati, perché è autore con una poetica personale che ama il cinema, ma siamo davanti a un film poco riuscito, con una storia che viene allungata inutilmente (il brano, pure bruttino, che dà il titolo alla pellicola viene riproposto mille volte senza che ve ne sia necessità) e con un interprete principale (Guenzi) decisamente poco adatto a reggere sulle spalle il grosso del peso della pellicola. I temi tipici del regista bolognese ci sono tutti, ma la messa in scena non riesce a convincere e, peccato grave, non si simpatizza con nessun personaggio.

Myvincent 21/07/23 00:39 - 4058 commenti

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In un giorno sfortunatissimo Marzio perde le due cose più importanti che aveva: la moglie, e l’amico con cui sognava un duetto musicale di successo. Passa il tempo, sopravvivendo con coraggio a se stesso, incontrando di quando in quando il bellissimo padre mai veramente conosciuto. Avati racconta una storia sempre attuale in cui ai fallimenti, le illusioni, i sogni di un uomo, si aggiungono inaspettatamente capitoli nuovi, anche quando tutto sembra avviato ad una conclusione. Attori, sia della vecchia guardia, che contemporanei, in grado di amalgamarsi bene fra di loro. Magicamente.

Nando 19/10/23 17:53 - 3918 commenti

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Un Avati crepuscolare e malinconico che narra le vicende di due giovani musicisti e del loro effimero successo inframmezzato da un matrimonio poco riuscito che si collega con le vicende giovanili dei protagonisti. Una pellicola interessante che si avvale di una sfolgorante Fenech ben coadiuvata da Lavia, tormentato come a teatro; Lopez appare solo all'inizio mentre Guenzi è in parte ma non è un vero e proprio attore.

Enzus79 25/04/24 23:25 - 3346 commenti

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Storia che si svolge nella Bologna degli anni Settanta e dei giorni nostri: fine di un'amicizia e di un'amore. Poco interessante. Dinamiche prevedibili in cui aleggiano la tristezza e una nostalgia esasperata, anche nei momenti (pochi) nei quali si ravvisa una parvenza di serenità. Personaggi troppo compassati e poco riusciti. Difficile da digerire la canzone perno del film.

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