A causa di un insulto si instaura un girone infernale che riaccende vecchi e nuovi rancori fra due popoli differenti in una stessa terra, quella libanese. Un ottimo pretesto per illuminarci su una situazione geopolitica lontana da noi, dove però i motivi di rancore inter-razziale sono comuni anche nel nostro occidente, illustrando le ragioni delle guerre che sono alla fine confuse e comunque irragionevoli. A volte esagerato negli snodi narrativi, ma efficace nel suo intento.
Più che buon film relativo all'eterno conflitto tra libanesi e palestinesi residenti; l'escamotage di partenza è classico (un tubo abusivo, un operaio che lo ripara, volano parole grosse) ma è una partenza per un trial movie che mette sul piatto decenni di storia libanese. La messinscena è a metà tra un quasi docufilm e lo stile classico americano (e infatti la pellicola è in corsa per gli Oscar). Nonostante questo compromesso il film svolge bene la sua funzione, grazie anche a un cast di assoluto livello.
La prima parte è quasi perfetta nel gestire il crescendo drammatico e nel ripartire
equamente "torti" e "ragioni". Nella seconda purtroppo però il film, pur ammettendo
che si mantiene interessante e coinvolgente, si lascia troppo andare ad una deriva
americana: vedi l'uso delle musiche, le scene a effetto o colpi bassi che dir si voglia (lo scontro tra avvocati che si rivelano essere padre e figlia), dialoghi e battibecchi simili a mille altri film processuali. Così quello che poteva essere un gran film perde di finezza e potenza, restando comunque un'opera abbastanza riuscita ed interessante.
A Beirut una banale lite tra un nazionalista cristiano e un profugo palestinese diventa il pretesto per far riemergere l’odio etnico e religioso mai sopito dopo tanti anni di sofferta guerra civile. Un film interessante e istruttivo, di grande attualità, illuminante sull’incapacità di voltare pagina che caratterizza le popolazioni mediorientali segnate da ferite storiche insanabili.
MEMORABILE: “Nessuno può avere il monopolio della sofferenza”.
Buona prima parte, basata sull'escalation di offese e di orgogli maschili messi alla prova. Il tutto in un contesto ancora ricco di potenzialità. Quando si tratta di sviluppare la fase processuale e di analisi delle cause ecco che il racconto diventa scolastico, documentaristico e la sceneggiatura denuncia limiti che fanno perdere mordente nonostante la bravura degli attori. I contenuti ci sono e non c'è abuso di stereotipi o di scene madri; però ci sarebbe voluta una maggiore capacità di sfumare e plasmare il racconto.
Le origini ataviche dell’intolleranza spesso impediscono di fermarsi di fronte alle provocazioni. Succede in questo bel film ambientato in uno stato (il Libano) pedantemente influenzato dalla presenza di profughi palestinesi. Un film dal grande impatto drammatico che deriva dal passato dei personaggi, ben illustrato da una sceneggiatura più efficace nella prima parte, laddove la seconda ha una deriva processuale più spettacolare ma meno incisiva. Bravissimi i due attori protagonisti. Film Intenso e utile.
Può una banale lite degenerare al punto da diventare un caso di rilevanza nazionale? Evidentemente sì, se ci troviamo a Beirut e i protagonisti sono un libanese cristiano e un rifugiato palestinese, vittime di uno smisurato orgoglio e della atavica sofferenza delle loro etnie e per questo incapaci di compiere il classico passo indietro. Malgrado qualche eccesso di drammatizzazione nella fase processuale, un film originale e in grado di suscitare riflessioni su un tema che è sempre di scottante attualità. Molto buone le interpretazioni.
Una banale lite tra un cristiano libanese e un profugo palestinese scatena una battaglia senza fine che coinvolge tutto il Libano facendo emergere tristi ricordi e ripercussioni drammatiche. Un'ottima pellicola che si avvale di interpreti magistrali e uno sviluppo narrativo notevole. La prima parte è impeccabile mentre nella seconda si assiste a un duello serrato in tribunale che regala un finale forse scontato, ma ciò non toglie nulla alla bontà del film.
MEMORABILE: Il momento in cui l'accusatore sistema il veicolo dell'altro.
Nel paese dei cedri basta una scintilla, come un banale litigio tra un cristiano e un palestinese, per far riattizzare una brace evidentemente mai del tutto sopita. Se magari si può far notare una certa impostazione ponderatamente didascalica, non si può biasimare troppo Doueiri se la storia del Libano contemporaneo può far sembrare i nostri tremendi anni di piombo una scampagnata. Dove si può muovere qualche appunto è invece sulla parte processuale, un po' troppo "americana" e su di un finale facilmente prevedibile ma forse necessario.
Concentrata nelle vicende di due personaggi è la tragedia di una Beirut martoriata da contrasti e pregiudizi mai pacificati. Perciò un'inezia si trasforma in una sorta di faida verbale e materiale, solo apparentemente dovute all'irruenza dei rispettivi caratteri. Dramma forte e credibile che rivela gradualmente le ragioni di tanto orgoglioso astio, risanabile forse solo a livello individuale, oltre le decisioni politiche e l'iter della giustizia. Una regia coerente e stringata, compresa la parte processuale che rivela i nodi di quel momento storico.
MEMORABILE: Il ruolo mediatore delle mogli; Le impossibili scuse; L'auto in panne; "Il monopolio della sofferenza non ce l'ha nessuno vostro onore".
Un film molto libanese, nel senso che entra come una lama affilata – pur sul filo del grottesco e del paradosso – nelle ferite pulsanti di quella società post-guerra civile, e al tempo stesso capace di portare in primo piano questioni più ampie, come quella palestinese e dei profughi, fino a staccarsi dal Medio Oriente per raccontarci come in un esempio in vitro il meccanismo dell’escalation che va dall’incomprensione, dal pregiudizio e dalla rigidità all’esplosione dei conflitti. Finale un po’ banale ma necessario, e non solo per il Libano.
Se l'incalzare di narrazione e montaggio, comedel la spettacolarizzazione "esemplare" della parte processuale, pur propedeutici all'universalità della visione, son succedanei a certo fastidioso cinema mainstream, il cuore dell'opera (il conflitto tra due personaggi simbolo che, proprio nella loro inconciliabilità, conservano un paradossale margine di reciproco rispetto e comprensione) colpisce nel segno e testimonia l'espressione d'un pensiero etico, politico e cinematografico. Doueiri pondera bene didascalismo, ragione e sentimento. Affilatissimi Karam e El Basha, bellissima Hayek.
Durante la ristrutturazione di un quartiere a Beirut, un cristiano maronita libanese e un profugo palestinese per un banale diverbio si scambiano scortesie e qualche parola di troppo: sassolini che, una volta portata la disputa in tribunale, innescano una valanga in una terra come il Libano, terremotata da decenni di guerra civile e ancora segnata da ferite almeno in apparenza insanabili. Al netto di qualche forzatura non necessaria come il legame che unisce gli avvocati delle parti avverse, un bel film problematico che non fornisce facili risposte ma invita alla riflessione.
Come un piccolo mozzicone di sigaretta può provocare un incendio di dimensioni catastrofiche nelle "giuste" condizioni ambientali e climatiche, anche una semplice parola può dare il via a una catena di eventi in grado di stravolgere i già delicati equilibri interni di una nazione. Buon dramma giudiziario che, partendo dal singolo, richiama in causa i sanguinosi trascorsi politici e sociali del Libano, ammettendo l'impossibilità e l'inutilità di individuarne una precisa causa scatenante e auspicando una forse troppo ottimistica riconciliazione. Il finale, comunque, non suona forzato.
MEMORABILE: Il litigio da cui esploderà il caso; Il primo inefficace tentativo di riappacificazione; La testimonianza del cuoco paralizzato; L'incidente stradale.
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Essendo un film libanese (anche se in coproduzione francese), e quindi parlato in arabo, mi è sembrato strano che il titolo originale fosse in francese. Infatti ricordavo nei titoli di testa di aver visto il titolo in arabo che conteneva un numero ed era ben diverso da come è conosciuto in Occidente. Così, dopo breve ricerca (e ri-verifica dei titoli di testa), confermo che - nonostante in molti punti venga dato come titolo originale quello francese - il titolo originale dovrebbe essere in arabo, e cioè: Qadiyya raqm 23. Ecco l'immagine del titolo all'inizio del film: