Dopo A TEMPO PIENO, ancora un film francese ispirato alla vicenda di Jean-Claude Romand, "I'uomo che non c'era", capace di mentire per lunghi anni sulla sua professione persino alla propria famiglia. In questi casi, come dice giustamente la frase prima dei titoli di testa, c'è una cosa peggiore dell'essere scoperti: il non esserlo! Più il tempo passa più la menzogna assume connotati preoccupanti, sconfinando inevitabilmente nella follia. Il Jean Marc mirabilmente interpretato dall'eccezionale Daniel Auteuil dice alla moglie e ai conoscenti di lavorare a Ginevra come direttore della ricerca cardiochirurgica,...Leggi tutto in realtà passa le sue vuote giornate in auto senza una meta. Inventa convegni all'estero quando deve assentarsi e vive coi soldi di amici e parenti che credono lui li abbia investiti per loro. Tutta la prima parte, seppur lenta e riflessiva, è al contempo affascinante, diretta con grande consapevolezza, e trova in Auteuil (sulla cui bravura il film fa fin troppo conto) l'interprete ideale: affranto, afflitto da una situazione dalla quale non sa più come uscire, perennemente perso dietro a pensieri di morte. E' solo dopo la prima ora che affiora l'indisponenza del regista destinata a penalizzare un film comunque troppo lungo (oltre due ore): le scene s'interrompono senza una precisa ragione, l’inutile struttura a flashback confonde ulteriormente la narrazione spezzettandola, il finale si trascina privo dell'indispensabile convinzione. Per fortuna c'è l'ottimo cast (diretto benissimo) a salvare l'opera regalandole lo spessore e la profondità necessarie.
Un buon film probabilmente condizionato da una lunghezza eccessiva. La storia, tratta da un fatto di cronaca, è di quelle da brivido. Un uomo s'inventa una vita che non ha: per tutti è un medico ma la verità è che passa le giornate in giro aspettando il momento di tornare a casa. Ovviamente alla lunga la situazione non regge e quando il cerchio comincerà a stringesi intorno a lui la sua follia esploderà del tutto. L'interpretazione di Auteuil è semplicemente strepitosa.
Si potrebbe giudicare male il film facendosi condizionare dalla storia sgradevole. Tratto da una storia vera: il protagonista è un medico per tutti. In realtà medico non è. Non si è mai laureato, ma ha continuato a studiare per poter meglio mentire sulla sua attività. Passa le giornate in albergo o in macchina. Si finge anche esperto in investimenti in Svizzera trattenendosi i soldi dei malcapitati. Quando i nodi vengono al pettine... Bravo Auteil, avversario di se stesso nel film. Agghiacciante.
"Il lento scorrere senza uno scopo...." (da una storia vera). Poche volte mi è capitato di trovarmi di fronte ad un film così lancinante, feroce e spietato. Un urlo senza fiato. Un film che d'improvviso fa sparire i colori dal mondo circostante. La 57 enne regista, algerina come il protagonista, dirige con garbo e misura questa continua Dissolvenza verso una tragedia sovrumana. Atmosfera algida in una Ginevra cupa e infreddolita riscaldata solo dalle chiacchiere e dai tradimenti da parte dei signorotti (con mogli & amanti al seguito) in camice bianco.
Un castello di menzogne costruito gradatamente nel tempo crolla improvvisamente con tragiche conseguenze. E' questo il tema di un film assai disturbante che evita di compiacere lo spettatore ponendolo di fronte ad una realtà sgradevole e brutale. Il film è tratto da una vicenda reale e si segnala per il lucido svolgimento cronachistico amplificato dalla prova dell'ottimo Daniel Auteuil.
Il film è tutto sul groppone del protagonista, che se la cava bene (la faccia è perfetta, segnata dai mille casini che gli procurerà la sua singolare situazione, della quale solo lui è il responsabile). Vive nella menzogna, ma questa, poco per volta, diverrà insostenibile e il poveretto (poveretto fino a un certo punto) dovrà presto fare i conti con se stesso, ma soprattutto con gli altri; e quando un uomo è messo all'angolo...può fare di tutto. La pellicola paga però un ritmo inevitabilmente lento e un copione che non può fare salti mortali. Comunque, nel complesso, non male.
MEMORABILE: C'è qualcosa di peggio di essere scoperti? Non esserlo; Dio disse: "Bisogna dividere in parti uguali. I ricchi avranno il cibo e i poveri l'appetito".
Ottima interpretazione di Auteuil che riesce a trasmettere perfettamante l'angoscia e la frustazione di chi ha mentito una vita intera e stà per vedere il suo mondo a pezzi. Storia dura e di una sorda disperazione, che si avvale anche di ben misurati silenzi e lunghe inquadrature, per ampliare il senso di incertezza. Film crudele come la storia narrata.
MEMORABILE: L'iniziale descrizione della giornata lavorativa reale del protagonista.
Ciò che a questo film riesce meglio è creare nello spettatore l'attesa spasmodica di una incrinatura, tanto necessaria quanto lancinante, nel surreale trascinarsi della vicenda (reale!): è pura asfissia quella che lentamente cresce sino all'epilogo. Il limite è un appiattimento sul piano narrativo-cronachistico, che rinuncia quasi in toto ad un tentativo esplicito e coraggioso di analisi psicologica (nell'accezione dell'etimo); i vezzosi troncamenti delle scene non aiutano. Auteuil è perfetto; alcuni passaggi lenti, che però servono. Gelido.
Un film sulla solitudine assoluta che parte da un banale barare su un esame universitario non superato e arriva all'omicidio plurimo. Pochi film sono stati capaci di lasciarci indagare la mente del protagonista, un magnifico Daniel Auteuil che dà anima al personaggio con sguardi, gesti, espressioni di una normalità assolutamente sconcertante. Una regia nitida, che non concede nulla al voyerismo e utilizza il tempo in formato quasi reale. Bella prova anche di Géraldine Paihas nel ruolo di una splendida Christine Faure.
Ispirato a una vicenda di cronaca dai contorni tanto incredibili quanto agghiaccianti, la storia di un uomo che, per oltre 15 anni, vive una vita fittizia, ingannando tutti coloro che lo circondano. Un film "freddo" come gli ambienti in cui si svolge - naturali o domestici che siano - dominato dal vuoto: vuoto delle giornate passate senza scopo, vuoto dei sentimenti e delle convenzioni sociali. Regia incerta (troppi flashback, eccessiva durata, epilogo frettoloso) ma interpretazione imperdibile di Auteuil, cui basta uno sguardo di sfuggita per trasmettere angoscia.
MEMORABILE: "C'è qualcosa di peggio dell'essere scoperti. E'il non esserlo." - La giornata passata in macchina - Gli omicidi fuori campo
Il film è ben fatto, ma per forza di eventi sarà stato esagerato nei particolari, in quanto mi pare incredibile che per 15 anni e per di più con quell'espressione devastata, il personaggio in questione abbia potuto farla franca. Per quanto concerne la Francia, coi suoi modi di vita, mi ha dato una tristezza immensa... Basterebbe ascoltare bene le parole del brano di Françoise Hardy, L'età dell'amore, per capire l'orrore di una vita a compartimenti stagni, con pochissima fantasia e tanta ipocrisia, e questo film descrive il tutto davvero alla lettera.
Dramma dagli accenti thriller, ispirato alla vera storia di un assassino che per quindici anni era riuscito a ingannare la famiglia facendosi credere un medico. Raccontare un massacro senza mostrarlo è difficile, sicuramente apprezzabile per certi versi ma per altri - inutile nasconderlo - anche deludente. La struttura a flashback pare pretestuosa e non aiuta il coinvolgimento dello spettatore, troncando troppo spesso sequenze senza sviluppo. La regista pensa evidentemente di sposare il punto di vista del folle protagonista lasciando tutto sulle spalle del - pur bravissimo - Auteuil.
MEMORABILE: La quasi confessione della verità di Jean-Marc al suo migliore amico, fraintesa e troncata prima di compromettersi.
Un castello di bugie costruito per anni spinge un uomo a crearsi una vita parallela e un palcoscenico a luci spente in cui rinchiudersi sempre di più. Fino al punto di dover drammaticamente arrivare a una svolta, vinto dalle continue frustrazioni. Il film è tratto da una storia vera e racconta in fin dei conti di un uomo ammalato e incapace di affrontare la realtà e il futuro. Daniel Auteuil dà corpo a questa maschera tragica, penalizzata però da una scarsa modulazione espressiva che la depressione del personaggio giustifica solo in parte.
Difficile far meglio del film di Cantet, ma va dato atto alla Garcia di aver ritratto la vicenda di Romand con stile rigoroso, quasi Foucaultiano epperò cinematograficamente intrigante, compendiando eticità dello sguardo e necessità narrative. Ne viene fuori una sorta di thriller pirandelliano che nell'ultima mezz'ora si tramuta in horror destabilizzante a tratti al limite dell'intollerabile (l'assassinio dei figli). Determinante l"apporto dello score di Badalamenti e di un Auteuil in stato di allucinazione ipnotica. Un filo caricaturale l'amante interpretata dalla Devos. Estremo.
Tratto da una storia vera, a cui anche Carrere dedicò la sua penna, il film si segnala per un taglio quasi cronachistico che lo potrebbe far sembrare piatto, "apatico", agli occhi di qualcuno, ma in realtà è meritoriamente sobrio e capace nel descrivere l'orrore senza mostrarlo, con un grande rigore etico della visione. Tra l'altro dietro quella che sembra essere una certa "glacialità", riesce ad inquietare e persino a disturbare nell'ultima parte che si rivela quasi insostenibile. Gratuita la struttura narrativa. Notevole la prova di Auteuil.
Si passa la prima ora a cercare di mettere insieme i frammenti di una storia piena di misteri e la seconda a soffrire col protagonista, incapace di riconnettere quei frammenti e la sua vita stessa, segnata dalla menzogna. Un grande Auteuil, simulatore nolente (?) e criminale dolente, psicotico della porta accanto, ci introduce in una vicenda reale, rielaborata scavando in profondità nei meandri oscuri della psiche. Bello, inquietante, a tratti serrato e a tratti aperto in squarci divaganti, avviluppa lo spettatore nelle spire di una lucida follia.
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DiscussioneRaremirko • 1/02/23 00:12 Call center Davinotti - 3863 interventi
Sorta di thriller, ispirato ad una storia vera, completamente sorretto dalle spallone di un torbido Auteil, credibile e bravo. Io il lungometraggio però l'ho trovato solo più che sufficiente; 123 minuti sin troppo statici, con qualche intervista ai personaggi qua e là, che inframmentano la narrazione, alla Fontayne, che non è che però funzionino benissimo... Ad ogni modo vedibile, ben musicato ma, ripeto, registicamente sin troppo freddo, distaccato, un maggior ritmo e più brio/varietà non avrebbero guastato. Globalmente sopravvalutato.