Tanti episodi all'insegna del surrealismo, dell'accostamento assurdo, del grottesco, il tutto sotto gli occhi di uno struzzo, unico trait d'union fra i vari quadretti. Esilarante caleidoscopio bunueliano, pieno di trovate: il vecchiaccio si diverte, facendo suonare il piano alla Asti nuda, facendo fucilare sè stesso, il produttore e lo sceneggiatore, facendo giocare dei frati a poker con i santini e via sbeffeggiando. Il fantasma della libertà si concretizza nella (non) struttura del film. Fenomenale.
Se il film non fosse pieno zeppo di profondi significati più o meno nascosti sarebbe un degno competitore dei più "cheap laughs movies". Invece, ovviamente, quest'opera tutto è tranne che "cheap". E senz'altro l'intento non è di far ridere, ma riflettere. Obiettivo che, per quanto mi riguarda, è stato pienamente raggiunto.
MEMORABILE: Marito e moglie denunciano alla polizia la scomparsa della figlia (che è però li, al loro fianco).
L'equivalente cinematografico dell'incontro casuale tra un ombrello e una macchina da cucire su un tavolo operatorio, quest'opera sembra fluire per libere associazioni di pensiero attraverso episodi ad incastro concatenati arbitrariamente l'un all'altro ma in realtà mostra in filigrana una struttura ferrea di rimandi e simbolismi. Bunuel attacca un palloncino al filo della logica e ci mostra l'assurdità del mondo con gli occhi di uno struzzo, non prima di essersi fatto fucilare nel prologo.
MEMORABILE: La sala per il rito (pubblico) della defecazione, la stanzetta appartata per il rito (privato) della nutrizione.
Rosario surreale di storie collegate tra loro come in un delirio psico-onirico che ha il suo fulcro nel ribaltamento delle convenzioni sociali borghesi. Buñuel ci regala uno straordinario romanzo picaresco-novellistico del secolo delle presunte libertà politiche, morali e individuali (inizia non a caso tragicamente con Napoleone), mettendo a segno episodi folgoranti e stupefacenti che si concludono con l'inquietante visita allo zoo sullo sfondo di sommosse studentesche: dalla cena sulle tazze del wc alla bambina "scomparsa", ecc. Capolavoro.
Libertà di rifiutare lo stereotipo, il conformismo, le convenzioni sociali (superba la scena dei wc), ma anche libertà di non cadere nell'eccesso opposto (il relativismo morale che porta i giurati a congratularsi con l'omicida). Il fantasma del titolo è il surrealismo e il caso alla base della realtà, libertà di rifiutare una visione del mondo strettamente razionalista, che va in pezzi quando i due genitori osservano le foto di paesaggi come se fossero immagini pornografiche.
MEMORABILE: Quando la bambina è "scomparsa": "La maestra le ha contate stamattina [... ] e lei C'ERA!"
Privi di continuità narrativa e apparentemente disomogenei e senza un filo logico che li percorra, in realtà uniti dalla vena dissacrante, iconoclasta ed anticonformistica di Bunuel, questi episodi vanno a comporre una delle opere più straordinarie e divertenti del maestro spagnolo. Da vedere e rivedere svariate volte per coglierne ogni volta aspetti, sfumature, punti di vista e significati diversi. Da visibilio per i fan del maestro spagnolo. Chi cerca un film “tradizionale” è meglio, forse, che giri al largo.
La borghesia come sinonimo del vizio. Appartenere ad una classe agiata, stando a Buñuel, equivale ad assorbire vizi in nètto contrasto con la pulsione della repressione e dell'autopunizione, vera forza motrice delle classi dirigenti di ogni Paese ipocritamente governato e, pertanto, pura espressione di una libertà fantomatica, apparente, enunciata ma non perseguita. La sequenza centrale del film mostra un ospite di una locanda, ovviamente appartenente all'alta società - e quindi "perbene" - sottoporsi chiappe al vento al frustino di una donna agghindata in pelle nera e dotata di frustino.
Molto divertente, questo film di Luis Bunuel, che non si fa scrupoli di lanciare frecciatine alle varie classi della società facendoci ridere ma anche pensare. In alcune scene sembra di vedere la perfida ironia dei Monty Python. Surrealismo allo stato puro.
"Sono ateo per grazia di Dio". Questa sentenza pronunciata da Buñuel descrive bene il personaggio e l'artista aragonese, che a 74 anni si toglie lo sfizio (ma Buñuel gli sfizi se li è sempre tolti tutti) di girare quello che forse è il più surreale dei suoi lavori. Surreale sì, ma non fuori dalla realtà; è solo una realtà invisibile, o meglio visibile solo a chi sa guardare con occhi liberi da ogni condizionamento imposto. Vero è che al centro ci sono sempre la borghesia, il clero, i rappresentanti del potere; custodi e fautori della libertà.
Meno lineare di opere precedenti, fa vivere allo spettatore la curiosità di vedere come viene ribaltata la realtà o che prospettive nefaste possano capitare. Grottesco per gli sberleffi alla polizia e ai frati, decisamente più caustico verso il killer, nel rapporto incestuoso dell’hotel e nell’annuncio del tumore. La scena del pranzo sul wc discutendo di “quantità” è a suo modo geniale come metafora di consumismo di massa. Come svolgimento a volte scorre un filo ingessato.
Buñuel non perde il gusto per il paradosso e per la critica alle convenzioni, alla borghesia e al consumismo e mette in scena una serie di episodi in cui il filo conduttore è la “normalità dell’assurdo”, tra frati che giocano a poker, poliziotti indisciplinati e defecazioni conviviali. Nonostante la loro apparente leggerezza e il sottile umorismo che le pervade, le storie raccontate suscitano interrogativi seri (tristemente profetico l’episodio del cecchino).
MEMORABILE: La coppia che commenta scandalizzata foto di paesaggi; La sala da pranzo usata come WC e viceversa; La bambina “scomparsa"; Il cecchino.
Con la solita sagacia e sfrontatezza Buñuel affonda le mani nel relativismo morale proponendo un insieme di storielle che mirano a sovvertire gli stereotipi a cui la società ci ha abituato. Per quanto le immagini non manchino di impatto, in questa occasione il registro utilizzato sembra più giocoso, quasi farsesco, a metà tra la presa in giro e la decostruzione della sovrastruttura sociale. La stile è sempre orientato al surrealismo più spinto e al limite, ma Buñuel sa come maneggiarlo per bene.
Uno splendido film, di un regista che sa davvero cosa significa grottesco, uno dei generi più difficili da girare, e che insieme a Pasolini è forse il miglior interprete del genere. Con questo film il livello è altissimo e non si contano le scene splendidamente assurde, tutte unite apparentemente senza ragione dal filo del surreale. Il tutto condito da un ottimo cast. La scena della defecazione è da cineteca. Ovviamente non è un film per tutti, per apprezzarlo è fondamentale amare questo tipo di film, ma anche chi non lo apprezza troverà il film di grande interesse. Ottimo.
Opera stupendamente surreale metta a nudo, denunciandole, le molte follie travestite da normalità della nostra società: le convenzioni, i miti, i tabù e le assurdità a volte neanche troppo nascoste. Onirico in certi momenti, sa essere molto crudo in altri. Il messaggio principale dell'opera è che tutte le nostre regole sociali si reggono su convenzioni e come tali non sono universali, immutabili e ovviamente sacre. Nonostante gli anni passati, il film mantiene aspetti di grande modernità.
MEMORABILE: La scena del killer, allora avvenirista, oggi...
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Un attonito gruppo di frati osserva l'insolita scena: Lonsdale viene sottoposto a fustigazione da Anne-Marie Deschott, mentre è addobbato, come la sua aguzzina, in perfetta mise sadomaso.
"Buñuel, cinéaste sadien par excellence, a poussé la représentation des pratiques de la soumission jusqu'à la parodie."