Dying breed - Film (2008)

L'idea di recarsi in Australia per verificare l'esistenza della Tigre della Tasmania già avviata dalla sorella, deceduta sul luogo in misteriose circostanze, conduce Nina (Mirrah Foulkes) al seguito di fidanzato e due amici in un posto sperduto, popolato da stravaganti e incivili individui. Parte lento, Dying Breed, con un soggetto ridicolo e tanta banalità ma poi, in zona cesarini, spicca il volo e l'ultima mezz'ora del film si ricorda per l'impressionante parata di violenze assortite, tra le quali il busto disarticolato di una delle protagoniste. Bravissimo Leigh Whannell. Finale nerissimo.

In piena rivalutazione dell'Aussieploitation (termine coniato dall'immancabile Quentin per indicare l'eccentrica cinematografia Australiana anni 70), sbuca questo "Dying breed", che dopo un promettente epilogo in costume s'appiana sugli inflazionati lidi dell'horror d'assedio. Il film non sarebbe neanche male, ma le splendide scenografie naturali tasmane sono perfettamente intercambiabili con le lande desertiche del massacro texano, oppure con le campagne francesi di Frontiers, film col quale condivide i retrivi fautori della razza pura. Trito, scontato.

La tigre della Tasmania diventa il pretesto per l’ennesima variante sulla genia cannibale, sporca e selvaggia: va da sé che l’opera, però, intrattiene senza particolari sforzi, adoperando le location naturali con intelligenza e gusto e regalando più di una scena da applauso (vedi la scoperta della vittima appesa ai ganci o il cattivissimo finale, una discreta sberla). La sceneggiatura, qua e là, si perde nelle foreste e non tutte le dinamiche risultano poi chiarissime; nonostante questo, lo promuovo.