Poca cosa davvero, questo telefilm "truccato" da film vero e proprio. Perché siamo davanti ad un'opera che sa veramente di sceneggiato televisivo, sia per l'ambientazione tutta in interni, sia per l'interpretazione di tutti i protagonisti che per la regia di Giorgio Bianchi. La storia non riesce a destare molto interesse: il nostro tenente ha 48 ore per scoprire chi ha rapito e ucciso un bambino: se non ci dovesse riuscire andrebbe sulla forca un'innocente. Si può vedere, soprattutto se si è legati a un certo modo di fare tv che oramai non esiste più.
Visto oggi, è di quasi commovente ingenuità. Più uno sceneggiato che un film, recitato con la teatralità televisiva dell'epoca, svolto quasi solamente in interni, ai quali si cerca di dare una patina statunitense per rendere verosimile l'ambientazione californiana. Bianchi è più a suo agio nei toni di commedia dati dal personaggio del giornalista (Corrado Olmi) che nelle movenze poliziesche. Chiave di volta risolutiva non certo originale, ma il bello è che si capisce chi è l'assassino a metà film, prima ancora di avere il minimo indizio, perché se le cose andassero diversamente...
Trasposizione cinematografica delle avventure del mitico tenente Sheridan con soluzioni estetico-drammaturgiche che non si discostano da quelle del piccolo schermo a partire dalla netta prevalenza delle scene in interni. Al grande Ubaldo Lay e al giovane Umberto Orsini si affiancano attori poco noti e uno stuolo di belle donne, purtroppo sempre vestitissime, ballerine comprese (siamo nel 1960!). Certo, non è un capolavoro, ma si lascia seguire volentieri e, scena dopo scena, cresce un po' infantilmente la curiosità di sapere come va a finire.
MEMORABILE: I preparativi per la camera a gas nella parte iniziale. Non so quanto siano realistici ma sicuramente mettono un certo brivido.
Sullo slancio del successo televisivo si realizza questo film incentrato sulle capacità investigative dell'astuto Sheridan; il risultato è molto modesto in quanto si osserva un'opera poco credibile dotata di un ritmo ipercompassato e di uno sviluppo narrativo privo di appeal. Lo stacco televisione-cinema non si nota.
Versione cinematografica del mitico tenente che risulta infinitamente inferiore alle serie delle quattro donne ma anche ai successivi telefilm del 1967, visto poi che questo è di ben sette anni prima risultando quindi più datato. Sceneggiatura nella media di un prodotto di genere del periodo, il film parte non convincendo per nulla ma quantomeno poi migliora. Non riesco a capire se sia montato malissimo o meno (seppure qualche caduta di fotogramma nella versione tv che ho visto ci sia).
Buon esempio di poliziesco basato su una serie tv di grande successo di quegli anni, il film riesce a ricreare, nonostante gli evidenti limiti di budget, una versione credibile (almeno per quell'epoca) di un "giallo all'americana", con Ubaldo Lay nei panni del tenente Sheridan della polizia di San Francisco, impegnato a salvare una donna condannata a morte per omicidio nelle poche ore che la separano dall'esecuzione. Buone interpretazioni, discreta suspense e finale soddisfacente. Più di quanto ci si aspetti.
Unica sortita "cinematografica" del noto detective, ma in realtà è quello che oggi si direbbe un tv-movie, con atmosfere di americanità posticcia e caricata (il gangster... ) accentuate dalla buona colonna sonora crime-jazz del sempre affidabile Trovajoli. Belle donne però. Insieme legnoso come il protagonista. Tessari aiuto-regista, apparizione di Luciano Pigozzi.
Tentativo non troppo riuscito di replicare sul grande schermo il successo televisivo del tenente Sheridan. L'inizio con i preparativi per l'esecuzione suscita una certa inquietudine, poi ci si incanala in un'indagine verbosa e compassata (non per niente Bianchi era regista dedito alle commedie) in cui non si avverte la corsa contro il tempo per salvare la condannata a morte (ma con quali prove?), e solo in dirittura d'arrivo la tensione sale leggermente. Lay è sempre bravo, ma stavolta lo affianca un cast di contorno più modesto (il confronto con le quattro donne è impietoso).
Una chiamata al 22-22 mette in moto il tenente Sheridan in lotta contro il tempo per chiarire e fermare l'esecuzione di una condannata a morte nella camera a gas. Solo la sua acuzie riuscirà a disseppellire una trama fittissima in cui gli indiziati paiono tanti. A parte l'ambientazione finto-americana (che più italiana non poteva sembrare), il film desta più di qualche interesse per le angolature noir e la presenza magnetica di Ubaldo Lay. Finale che i più scafati sapranno indovinare senza sforzi.
Giallo finto americano e vero televisivo, visto oggi ha il fascino delle cose lontane e della televisione in bianco e nero. La trama gialla è elementare, i colpi di scena telefonatissimi ma Ubaldo Lay con la sua grinta riesce a riscattare il tutto e a valorizzarlo sia pure sotto il segno del vintage e della nostalgia. Il film è lui, gli altri attori sono completamente oscurati dal ritmo lentissimo della vicenda.
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Uno degli sceneggiatori, Giuseppe Aldo Rossi, è un enigmista di grande rilevanza nazionale. Il suo pseudonimo è Zoroastro. Per anni ha pubblicato una rivista mensile, destinata agli esperti, intitolata IL LABIRINTO.
Corrado Olmi e Carlo Alighiero si ritroveranno 11 anni dopo sul set di un altro giallo, diretti stavolta da un Maestro del genere. Il film è "Il gatto a nove code".