Tre leggende del rock e un tastierista sempre troppo sottovalutato e perennemente associato al jingle di “Video killed the radio star” (in realtà la vera mente degli Asia è sempre stato lui, unico presente in ogni incarnazione del gruppo) sul palco del Rolling Stone a Milano. Gli Asia in formazione originale sono già un spettacolo sulla carta, e quando attaccano le prime note dell’immortale “Only time will tell” si capisce subito che l’affiatamento dei quattro è sicuramente aumentato rispetto alle prime date del tour. Palmer in particolare ha ripreso ad essere la macchina perfetta che tutti conoscevamo, mentre Wetton conferma lo splendido stato della sua voce, capace di elevarsi ancora...Leggi tutto oggi a livelli stratosferici. Si prosegue con un altro estratto dal primo disco: “Wildest dream” è un nuovo capolavoro, eseguito alla perfezione e in grado di restituire la magia che proviene ancora dal drago che emerge dal mare di tenebra. Con “Never again” siamo invece nell’ultimo cd, “Phoenix”, da cui si è estratto il pezzo più ricalcato sulla grandiosità dei vecchi classici. La musica infatti si integra alla perfezione con quella fin qui sentita e la performance di tutti si rivela ancora impeccabile. Tuffo nel passato con “Roundabout”, proveniente da “Fragile” degli Yes: fortemente caratterizzato dalla chitarra di Howe, un classico mai dimenticato che però, in versione Asia (pur reso molto bene), sembra perdere un po’ della delicata magia Yes. Breve pausa e si riparte con “Time again”, ancora dal primo disco. E’ la canzone che, fin dall’inizio, marca la differenza rispetto agli standard del periodo (primi ottanta): la batteria di Palmer si scatena creando un tessuto ritmico tutto da ascoltare, Asia al cento per cento. La prima parte del concerto, insomma, è di qualità straordinaria: la resa è fantastica, l’acustica del Rolling Stone buona e la scaletta eccellente. Si comincia allora coi solos: parte Downes che recupera la coda strumentale di uno dei tanti magnifici break di “Asia”, prosegue Howe che imbraccia l’acustica, comincia ad arpeggiare per poi finire immancabilmente in “The clap”, suo cavallo di battaglia da sempre. Conclude Wetton che recupera dalla sua era King Crimson “Book of saturday”, giusto per sfoggiare la potenza delle sue meravigliose corde vocali. Si passa al momento “unplugged” come da tradizione di questo lungo tour: con “The smile has left your eyes” e “Don’t cry” si ha però come nel 2007 la sensazione che il vero trade-mark Asia consista anche in un wall of sound difficilmente riproducibile in versione acustica. Il confronto con i pezzi originali è impietoso, nonostante l’indubbia validità delle due composizioni. Si torna in full-band con la poco conosciuta “Daylight”, magnifico B-side di “Don’t cry” rimasto inedito: forse non eseguito al meglio ma ancora un pezzo meraviglioso. Come possa essere stato confinato a dimenticato lato B è un mistero (come la magnifica “Ride easy”, in fondo). Con “Open Your Eyes” si ripesca uno dei capolavori di “Alpha”: la lunga coda strumentale conclusiva è uno degli incredibili highlight del concerto (come lo era su disco), con un Palmer letteralmente incontenibile e un delirio sonoro da brividi. Magia allo stato puro! Palmer ancora protagonista in “Fanfare for the common man”, il suo contributo al “Works” degli Emerson Lake & Palmer. Ritmo incredibile, un tour de force di batteria con Downes sulle tracce del virtuoso Emerson (che fu notoriamente il suo idolo). Buona resa per “Without you” (tra i pezzi più sentiti di “Asia”) e spazio al secondo e ultimo pezzo da “Phoenix”: “Extraordinary life” è singolo di grande impatto, che avrebbe meritato ben altro successo. Scritto benissimo, suonato meglio, è testimonianza della bontà del nuovo lavoro partorito dalla reunion della line-up originale. Dal repertorio King Crimson viene riproposto “In the court of the Crimson King” mentre niente poteva evitarci la celeberrima “Video killed the radio stars”, con Downes sugli scudi e Palmer che cerca di dare una seria struttura ritmica a un pezzo nato praticamente senza batteria. Una canzone ancor oggi efficace, nobilitata dal lavoro dei tre qui comprimari, che ne moltiplicano l’impatto. Ritorno ad Alpha per “The heat goes on” (con annesso consueto solo devastante di Palmer per la gioia dei batteristi in sala) e chiusura con “Heat of the moment” prima del bis “Sole survivor” (entrambe ottimamente interpretate). In definitiva un meraviglioso concerto in cui i quattro mostri sacri confermano la validità di un suono unico che ha saputo combinare meglio di qualunque altro i tecnicismi dei Settanta con l’easy listening degli Ottanta. Wetton e Palmer i migliori, Howe più timido ma ancora spettacolare, Downes più in ombra del previsto e non sempre al meglio. Ma lui ha già dato in sede compositiva e nella ricerca di suoni: non esisterebbero gli Asia, senza Downes, e tanto basta.
Bellissimo concerto. Presenti troppo poche volte in Italia, gli Asia. Sono passati dieci anni, il Rolling Stone non c'è più e neanche, ahimè, il grande John Wetton. Quella sera un po' sottotono Steve Howe e a tratti un po' "senza tiro" la band, ma l'emozione fu grandiosa. Geoff Downes è sempre stato un tastierista sottovalutato e anche la produzione dell'era Payne resta veramente notevole. Ci mancheranno...
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DiscussioneZender • 31/01/17 17:43 Capo scrivano - 49133 interventi
Che mazzata... E' inutile che adesso scriva quanto ho amato la sua voce fantastica che ancora oggi suonava meravigliosa a distanza di tanti anni, quanto l'abbia sempre ritenuto uno dei più grandi compositori rock (con una strepitosa attitudine pop), quanto abbia amato e quanto conservi gelosamente i dischi suoi, degli Asia, dei Crimson, degli Uk, dei Family e di tutti i gruppi dove ha suonato, cantato e composto... Considerato il valore delle sue ultime produzioni una perdita colossale. Sapevo che era malato ma sembrava fosse guarito. Poi invece... E' anche l'aver perso quello che di grande poteva ancora dire a intristirmi terribilmente.