Dopo il celebrato Il posto delle fragole Bergman girò questo film inusuale, una sorta di pamphlet anti-abortista. O almeno questo era il film nelle intenzioni del governo svedese, che decise di finanziarlo... Tenere il talento di Bergman rinchiuso da paletti è però operazione difficile, tanto che vedendo il film si ha l'impressione di assistere ad uno dei suoi tipici ritratti femminili (qui le donne sono 4), mentre gli uomini sono lasciati -letteralmente- in un angolo, quasi fuori campo. Certo non un capolavoro, ma un'opera interessante.
In un ospedale si intrecciano le storie di un'infermiera e tre donne in gravidanza che affrontano la possibilità di perdere i loro nascituri. La poetica di Bergman è qui zavorrata dal propagandismo antiabortista imposto dal governo svedese, che rende le diverse situazioni poco credibili e fa affiorare il rischio del patetico. Ciò nonostante, i ritratti delle quattro protagoniste mostrano il tratto del regista, mentre gli uomini sono volutamente lasciati in secondo piano.
Tre donne: un aborto spontaneo, una gravidanza indesiderata, un bambino atteso. Paradigmatico nella struttura narrativa, teatrale nella messa in scena, nondimeno capace di evocare una bruciante autenticità emotiva e di conferire alla gestazione la sua portata di sconcerto e timore. Nato come film anti-abortista su commissione, graziato dalle tre meravigliose interpreti (splendida Eva Dahlbeck), perviene a conclusioni problematiche e paradossali: se la vita rimane un mistero impenetrabile, dalla morte possono scaturire ispirazione e senso. Anticipa, per molti versi, Sussurri e grida.
MEMORABILE: La successione di porte che si aprono e chiudono senza amplificare l'ambiente. Il personale medico che espleta le sue mansioni con fare impiegatizio.
Spietato Bergman, che per parlare della soglia della vita ribalta l’assunto iniziale e ci rinchiude in un’asettica clinica con una donna che ha appena abortito, una ragazza incinta mollata dal presunto fidanzato e una premurosa entusiasta mogliettina che darà alla luce un bambino morto. Un universo femminile e materno, ribadito da mammelle e poppate di altre madri, in cui i maschi risultano cinicamente residuali. Un orizzonte quasi livido, ma rasserenato da una consapevole accettazione del fato.
Uno dei film di Bergman più "sorprendenti" e per diversi motivi: in primis perché rappresenta un deciso passo indietro del regista che non ci si aspetterebbe dopo le due opere che lo avevano preceduto (un capolavoro ed un gran film). Il secondo motivo è nelle tematiche di un film che si presenta antiabortista e ciò meraviglia sia per il regista che per la nazionalità della pellicola. Ma ciò non vuol dire nulla: il film è buono ma non all'altezza dei precedenti e sconta un finale di rara prevedibilità e assolutamente incline ad appoggiare la tesi su cui si impernia. Ottimo il cast femminile.
Tre donne in una stanza del reparto maternità di una clinica: la prima ha subito un aborto e medita di abbandonare il marito, la più giovane non vuole diventare una ragazza madre, la terza attende con gioia la nascita del primogenito... Melodramma ospedaliero quasi interamente al femminile che lascia perplessi per l'impostazione fortemente tradizionalista sui temi dell'aborto e dell'indissolubilità del matrimonio, incongrua rispetto ad altre opere del regista. Merita la visione soprattutto per le prove del quartetto di attrici ed in particolare della commovente Eva Dahlbeck.
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