Intervista a Luigi Pastore

16 Aprile 2009

Giunti ad un passo dall’imminente uscita del film "Come una crisalide", che ne segna il debutto alla regia nel lungometraggio, abbiamo il piacere di rivolgere alcune domande all’amico Luigi Pastore. Dell'intervista al simpatico e disponibile regista se ne è occupato il caro Hackett, che l'ha personalmente contattato e da lui ha avuto le immagini che pubblichiamo qui sotto.

Luigi, già dal titolo e dalla locandina Come una crisalide si presenta come un film che rievoca l’atmosfera (mai dimenticata) tanto cara agli amanti del thrilling all’italiana anni ’70.  Puoi introdurci brevemente al  film e raccontarci come nasce il tuo progetto?
L’idea di questo film è nata molti anni fa e, all’epoca, non avrei mai pensato che sarebbe diventato il mio primo lungometraggio. Non è stata nemmeno la mia prima sceneggiatura, bensì la quarta, venuta fuori proprio da una serie di progetti mai partiti. Inizialmente doveva essere un film molto sperimentale, quasi tutto girato con la handycam, con cui il protagonista continuava l’autoanalisi dopo aver ucciso la sua psicanalista. Poi negli anni ha preso sempre più forma, ma non mi decidevo mai a realizzarlo, finché un bel giorno Antonio Tentori mi disse che era arrivato il momento di fare un film insieme e autoprodurlo. Così, spronato dal mio amico, riaprii il file della sceneggiatura e iniziammo a riscriverla insieme. L’impronta anni ’70 è voluta, proprio perché anche noi amiamo molto quel periodo e il nostro film vuole essere un omaggio a quel filone, da cui è scaturita la passione per il genere.

Le immagini presenti nel trailer del film, visibile nel tuo sito www.lupafilm.com, trasmettono una certa dose di morbosità e di carica erotica; si tratta di due componenti importanti della trama?
Credo che la sensualità e l’erotismo siano un elemento chiave per questo genere di film. Abbiamo voluto dare una connotazione molto femminile alla storia, descrivendo l’immagine della donna nelle sue varie sfaccettature. La morbosità è un conseguenza indiretta, nata da quel cordone ombelicale metaforico che ci lega tutti ad una donna, fin dalla nascita.

Quali sono i film del passato che ti hanno formato come regista e che hanno ispirato te e Antonio Tentori (coautore della sceneggiatura, coproduttore e attore nel film) in questa pellicola?
Quale film che ha fatto la storia di questo genere avresti voluto dirigere?
Con Antonio ci siamo sempre trovati in sintonia. Con lui ho scritto la mia prima sceneggiatura, abbiamo gli stessi gusti cinematografici, gli stessi punti di riferimento e credo che l’ispiratore, per entrambi, sia sempre stato Dario Argento.
Naturalmente con il massimo rispetto per tutti gli altri grandi autori di genere, ma solo Argento ha quella magia nei film capace di lasciarti un segno profondo. Poi, sia io che Antonio, ammiriamo un altro grandissimo del cinema italiano, Sergio Leone, e apparteniamo alla schiera di coloro che ritengono C’era una volta in America il capolavoro assoluto di tutta la storia del cinema mondiale. Però non credo che avrei voluto dirigere un film che ha fatto la storia di questo genere, non ne sarei stato all’altezza.

Tu arrivi da una lunga gavetta che ha coperto diversi ruoli della produzione audiovisiva: dalle collaborazioni con emittenti televisive locali e satellitari al lavoro svolto nella realizzazione di alcune  pellicole del tuo amico Dario Argento. Come è stato il passaggio dietro la macchina da presa per dirigere un film interamente tuo?

E’ stato un passaggio difficile e sofferto, anche perché abbiamo rischiato in prima persona e Antonio ha avuto grande fiducia in me. Non è da tutti, nemmeno da parte dei produttori più smaliziati, tirare fuori i propri soldi per produrre un’opera prima. Sai, un conto è immaginare di mettersi dietro la macchina da presa, un'altra cosa è  farlo veramente. Ecco… quando decidi di farlo davvero ti trovi ad affrontare una serie di situazioni e di bombe psicologiche devastanti, che ti cambiano per sempre. Allora capisci se è la tua strada o meno.

In una situazione cinematografica come quella italiana, dove la mentalità da fiction televisiva influenza anche la creazione filmica e dove spesso si produce cinema con finalità televisive, che difficoltà si trovano a realizzare un film di “genere” come il tuo? Secondo te il thrilling può tornare agli antichi splendori?

Quando decidi di fare un film indipendente e di produrlo, pensi solo a realizzarlo come meglio credi. Da una parte è un vantaggio perché sei libero dai vincoli imposti dal mercato, dall’altra devi poi confrontarti con la realtà. Per noi era importante fare il film, liberare quel punto interrogativo e trasformarlo in un punto esclamativo. Questo era il nostro sogno e lo abbiamo realizzato. Il mercato è quello che è ma noi siamo autori, innamorati del cinema, ed è una grande emozione sapere che nel nostro film hanno lavorato dei miti come Sergio Stivaletti e Claudio Simonetti, oltre ad un cast artistico e tecnico carico di entusiasmo. Siamo già contenti così e speriamo che il nostro film possa essere un piccolo tassello nell’immenso mosaico del genere thriller/horror che non è mai morto ma, come un “meraviglioso” zombi, può ritornare con nuovi incubi e anche nuovi autori. 
 
Ho accennato prima alla tua grande amicizia con Dario Argento. Dal punto di vista registico, cosa pensi di avere in comune con lui e che qualità  vorresti invece “rubargli”  e fare propria del tuo bagaglio artistico?

Anche se a Dario non piace essere definito così, per me è stato e sarà sempre un grande maestro. Non sarei mai diventato un regista senza i suoi film, questa è la verità. Avrei amato lo stesso il cinema, come spettatore, ma è stato il suo cinema a stimolare la mia creatività. Nel mio film i riferimenti a Dario sono tantissimi e vanno interpretati come un sincero omaggio e non come una “scopiazzatura”.  Credo che Dario lo abbia capito; non ha ancora visto il film ma ne abbiamo parlato a lungo ed è stato favorevolmente colpito. Non potrei mai “rubargli” nulla, proprio per l’enorme rispetto e amicizia che mi lega da tanti anni a lui e di cui sono orgoglioso.

Tecnicamente parlando, qual’ è stata la difficoltà maggiore che ti si è presentata durante la lavorazione?

Gli imprevisti. Ogni giorno capitava qualcosa che si doveva risolvere in poco tempo. La produzione è un gioco ad incastri, se ne salti uno è la fine. Per quindici giorni ho dormito sul set, con una media di due ore a notte, vivendo in condizioni estreme e senza un attimo di tregua. Ma questo è il cinema! E come direbbe il mio amico Rino Di Silvestro: “mica te l’ha ordinato il medico di fare questo mestiere!”.

Sarà un luogo comune, ma si dice sempre che girare film “di paura” sia molto divertente e che spesso sul set ci sia molta più allegria che durante le riprese di un altro tipo di lungometraggio. Sei d’accordo con questa teoria? Hai in merito un aneddoto da raccontarci?

Assolutamente sì. Il set deve essere allegro e anche un po’ libertino, perché il lavoro è tanto e se non lo affronti col sorriso e lo scherzo rischi la defezione da parte della troupe. Io ho cercato di essere molto accomodante, anche perché quasi tutti hanno partecipato gratuitamente ed era necessario stabilire un rapporto gioviale e divertente. Forse l’aneddoto più simpatico è capitato quando, alla mia ennesima richiesta di sangue sempre più abbondante, Sergio Stivaletti mi ha guardato con espressione quasi disgustata dicendomi che gli stavo facendo passare la voglia di fare film sanguinari.

Visto che sei un amico del nostro sito, www.davinotti.com, sicuramente saprai che un nostro chiodo fisso sono le location e che  siamo molto interessati ad approfondire il ruolo delle stesse all’interno di ogni pellicola.
Quanto una location in certi casi può influire sulla realizzazione di una scena e quanto la scena stessa cambia nel momento in cui passa dal copione all’ambiente in cui viene girata?
Le location sono fondamentali e devono essere molto credibili. Nel film ce ne sono tantissime e la maggior parte sono ambienti reali, come la chiesa o la discoteca, ma ho distrutto la mia casa per girare gli interni. Quello che era il soggiorno è stato trasformato in una cantina fatiscente, usata dal protagonista come stanza della tortura. La mia camera da letto è diventata l’alcova di una prostituta, la sala hobby la redazione di un’emittente televisiva, riadattata come sagrestia della chiesa. Terra, calcinacci, arbusti, plastica, mattoni... un vero macello, considerando tutto il sangue schizzato sulle pareti. E’ stato divertente quando, alcuni giorni dopo aver terminato le riprese, è venuto il tecnico della Telecom per aggiustare il telefono e si è trovato immerso in una casa degli orrori con una mano tagliata ancora sul pavimento.

Ringraziandoti per la cortesia e facendoti un grande in bocca al lupo per l’uscita di "Come una crisalide non posso astenermi dalla domanda di rito, immancabile nella conclusione di  un’intervista; più o meno suona così: progetti per il futuro?
Sicuramente vorremmo preparare il secondo film (che poi doveva essere il primo), un horror esoterico/demoniaco con una donna come protagonista. Per adesso siamo in attesa di vedere se la crisalide spiccherà il volo.


INTERVISTA INSERITA DAL BENEMERITO HACKETT

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commenti (6)

RISULTATI: DI 6
    Zender

    20 Aprile 2009 09:23

    Dice Don Masino:
    Un grazie ad Hackett, che ha scritto e sistemato questa bella intervista che ho appena finito di leggere. Ottimo lavoro Hackett! Complimenti!
    Zender

    20 Aprile 2009 09:24

    Ribatte Gugly:
    anche a me piacerebbe vederlo, ma credo che dovrò arrivare nella capitale meneghina.
    Undying

    20 Aprile 2009 09:34

    Complimenti ad HACKETT per la bella intervista.
    Speriamo di riuscire a vederlo, sembra un film interessante.
    Markus

    20 Aprile 2009 09:38

    Grazie all'amico Hackett per l'intevista a Pastore. Spero di poter vedere il film.
    Hackett

    20 Aprile 2009 11:31

    Grazie a tutti! è sempre un piacere!
    Finzi

    20 Aprile 2009 15:45

    Mi aggiungo ai ringraziamenti a Hackett e anche alla curiosità di vedere il film. Speriamo che esca presto