Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Ciò che alza il livello del film è senza dubbio il personaggio di Jennifer, ben costruito e con una Megan Fox in versione "mangiauomini" più che mai di livello. Bella e brava, si usa dire in questi casi, e in effetti soddisfa a pieno gli occhi e la mente dello spettatore, con battute e denti molto taglienti. Nella seconda parte, ovvero dal momento del rewind esplicativo, c'è aria di delusione, perché si sarebbe potuto scrivere qualcosa di diverso e meno banale. Anche il finale sembra perdere quell'alone di originalità.
Un narcotrafficante messicano sanguinario si fa aiutare da un'avvocata per completare in sicurezza il proprio processo di transizione da uomo a donna. Passati anni le due si incontreranno di nuovo e daranno vita a un'associazione benefica. Questo di Jacques Audiard è un musical che affronta una tematica molto importante con uno stile narrativo insolito a cui bisogna abituarsi poco alla volta. Non tutte le parti cantate funzionano alla perfezione ma la storia è potentissima così come indimenticabili sono le interpretazioni delle protagoniste (su tutte quella di Karla Sofía Gascón).
Un’irriverente satira sociale mascherata da mockumentary, "Borat" è un’esplosione di comicità estrema e dissacrante. Sacha Baron Cohen crea un personaggio indimenticabile che smaschera i pregiudizi più radicati dell’America profonda. Diretto con mano ferma, è crudo, provocatorio, ma sorprendentemente rivelatore. Un’esperienza che fa ridere, riflettere e a tratti rabbrividire. Una commedia audace e grottesca, che solo il vero cinema satirico osa proporre e sdoganare.
Ispirato da "Mano armata", autobiografia del gangster ebreo Grey/Goldberg, Leone affresca con mano barocca cinquant'anni di storia americana illustrandola dalla prospettiva della malavita, ma soprattutto da quella degli immigrati. De Niro ne è l'interprete più riuscito, prima di diventare in altri film la caricatura di quel ruolo; Woods e la McGovern ne rappresentano il contraltare imborghesito. L'intreccio vertiginoso del tempo narrativo e degli stessi luoghi delle riprese ne fanno una una saga universale, più letteratura che cinema, un romanzo del Novecento tra Dos Passos e Mailer.
Buon film di mistero, che non dimostra affatto i suoi anni. Le atmosfere sono intriganti, l'intreccio convincente, la fattura ottima, e anche la partitura musicale risulta moderna, per il 1941. La durata risicata aiuta a superare senza fallo certe ingenuità del cinema d'epoca. Il "mostro" è giustamente fumettistico e la pellicola riesce a porre l'accento sull'ambiguità dell'animo umano, prima ancora dell' "horror" fine a se stesso. Inquietante la sequenza del primo omicidio col bastone d'argento, non male anche i rapporti umani, le parti con gli zingari e il "mantra". Da premiare.
Il film è incentrato su una scolara che sperimenta i primi turbamenti sentimentali e non solo... La cosa che più stupisce (nonostante sia una caratteristica specifica della cultura cinematografica giapponese) è la pretestuosità della trama, che partendo da un'ipotetica esaltazione dei corpi (femminili soprattutto) inserisce prevedibili sequenze erotiche che lasciano il tempo che trovano. Il regista, al fine di mascherare la precarietà dei mezzi, inscena un falso documentario dedicato a gente comune e girato pure in maniera approssimativa. La protagonista è graziosa, ma non basta.
Una coppia davvero molto affiatata, quella composta da Francesco Brandi e Ippolita Baldini: in scena quasi sempre insieme su di un palco in cui è presente solo una sedia con un orsacchiottone di peluche adagiato sopra, appartengono (nella finzione) il primo a questo mondo e la seconda a... quell'altro (quello dell'aldilà). Lui, Giacomo Strada, è un uomo apparentemente felice sul punto di festeggiare i quarant'anni, lei è... l'anima di Bobby, l'orsacchiotto d'infanzia di Giacomo, ereditato dalla madre. Morta in un incidente stradale, è stata...Leggi tutto assegnata a una nuova “vita” nel corpo dell'orsacchiotto - dov'era finora rimasta in silenzio – ancora da prima che Giacomo nascesse, al punto di aver assistito addirittura al momento del concepimento di quest'ultimo (dopo una festa in maschera, nell'auto della di lui nonna)...
Sulle prime Giacomo, trovandosi d'improvviso in casa una donna che dice di essere "l'anima" di Bobby, tende naturalmente a non crederci, ma basta che quella gli riferisca alcuni particolari della sua vita, noti solo a lui, per capire che non scherza. Comincia così un lungo confronto tra i due, con Giacomo che spiega perché si sente felice, a suo modo realizzato, e lei che ribatte di non crederci, spingendolo a liberarsi e a raccontare le cose come stanno. Un confronto che mette in luce una bella padronanza dei tempi comici, con battute spesso argute ma soprattutto ben interpretate, da un Brandi che fa valere uno spirito caustico e di cocciuta rivalsa nei confronti dell'ospite "ultraterrena" e da una Baldini che replica spesso col sorriso anticipando - perché le immagina - le reazioni di lui.
L'orsetto, in poche parole, diventa solo un mezzo, uno stratagemma come un altro (e presto accantonato) per portare in scena un lungo botta e risposta tra un uomo e quello che potrebbe essere una sorta di suo angelo custode, anche se si capisce da subito come il ruolo della Baldini punti decisamente in un'altra direzione. Gli rinfaccia di non essere intimamente soddisfatto della propria vita ("Ma se sono il più giovane direttore delle poste!", ribatte lui con orgoglio), di non amare Valeria, la donna con cui sta, perché non ha mai dimenticato Irene, la sua ex. Di non avere il coraggio di esprimere liberamente i suoi sentimenti, perfino di non saper ballare! Inutile nasconderle la verità: basta una “telefonatina” in Paradiso (ciclicamente la Baldini indossa un paio di occhiali scuri e comunica con i "piani alti" in primo piano, mentre Brandi tace nell'ombra) e viene a sapere qualsiasi cosa, persino chi ha spedito l'sms appena ricevuto da Giacomo la cui origine lui le aveva nascosto.
Un emissario celeste simpatico e brillante insomma, al quale la brava attrice regala tutta la sua verve e il suo chiaro talento. I due non sbagliano un passaggio, recitano senza soste fino alla fine dello spettacolo e riescono entrambi a divertire con un approccio rispettivamente antitetico che tuttavia si completa mirabilmente, dando modo di capire quanto non sia necessario avere nomi clamorosi in cartellone, per confezionare un buono show teatrale. Senza salire inutilmente sopra le righe o urlare, Brandi parte subito bene quando racconta in apertura come è cominciata - in modo disastroso - la sua giornata, col presunto furto della sua auto ("Chi ruba una Peugeot del 2005?"). Poi la scoperta, in casa, di una donna alta (“una pertica”), invadente e petulante che, uscita dall'orsacchiotto, si mette in testa di psicanalizzarlo. Ma con leggerezza, sempre tenendo salda la barra della commedia disimpegnata, con implicazioni che aiutano facilmente a riconoscersi nella vita "anonima" del protagonista favorendo riflessioni elementari ma sincere nonché una piacevole empatia. La scrittura è valida, ma soprattutto si nota come Brandi (che ne è l'autore) riesca a ricavarne freddure e gag - evidentemente patrimonio del suo repertorio - con estrema naturalezza.
Si riprende la guerra contro l'Intelligenza Artificiale partita per la tangente in un turbinio di informazioni che ci cascano addosso e che dovremmo poter organizzare mentalmente per poter godere almeno in parte dell'ultimo capitolo (o almeno così pare) della saga di MISSION: IMPOSSIBLE. Se il precedente si era chiuso in modo altamente spettacolare con le acrobatiche riprese sulla diga, qui si riapre in maniera molto più compassata facendo già intuire come l'azione sia di qualità...Leggi tutto nettamente inferiore alle attese. Difatti, se escludiamo la lunga sequenza con Cruise che si attorciglia intorno a un biplano in volo (niente che non si sia già visto) e una ancor più estenuante all'interno di un sommergibile, nella quale se non altro il rimbombo dei rumori sordi e l'acqua che riempie lo schermo danno qualcosa in più, il film è un'interminabile, sfibrante, verboso concentrato di tecnicismi che si impegna a spiegare cose che interessano quasi a nessuno.
In film così ci si aspetta l'azione, e Christopher Quarrie aveva già dimostrato nei suoi ultimi capitoli di aver dilapidato per strada lo slancio spettacolare che ci aveva saputo tenere sulla corda per l'intera durata agli esordi della saga: senza offrire una scena realmente memorabile (quelle son tutte patrimonio dei capitoli non firmati da lui), si impelaga in una trama inutilmente contorta quando avrebbe potuto essere molto più essenziale, limitandosi a descrivere il recupero della chiavetta contenente il codice sorgente che dovrà essere utilizzato per togliere di mezzo la pericolosissima Intelligenza Artificiale intenzionata a far scoppiare una gigantesca guerra nucleare.
Alla ricerca del suo Sacro Graal, Cruise trottola al solito un po' dappertutto, prediligendo questa volta scenari neutri, lontani perlopiù dalle grandi città: ghiacci, vallate, oceani... Qualche scampolo romantico, ironia pressoché rasa al suolo (e ciò è grave, soprattutto potendo disporre di un protagonista che col suo celebre sorriso si presterebbe e di un Simon Pegg che qualcosa prova sempre ad aggiungere, in questo senso), le caratteristiche corse da soldatino di Tom Cruise che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere, un Ving Rhames col quale scambiare un paio di dialoghi sui massimi sistemi tra una bomba e l'altra, effetti speciali relativamente contenuti e soprattutto quasi tre ore che sembrano non finire mai, ricolme di passaggi che potevano essere sintetizzati senza perdere nulla, anzi guadagnandoci magari in chiarezza.
Non esiste vera tensione, i personaggi - escluso Ethan Hunt - hanno spessore pari a quello dell'Intelligenza Artificiale, nemico lontano e inconsistente, la minaccia nucleare non si percepisce mai come davvero incombente. Si può insomma archiviare questa secondo "reckoning" relegandolo nel novero dei sequel utili giusto a fare numero, stinti ricettacoli di luoghi comuni del genere, articolati in una trama confusa faticosa da seguire e priva di alcun fascino. Persino il brano classico in colonna sonora esplode sui titoli di testa, ripreso blandamente in un finale che va avanti per interi minuti a inquadrare gente che sorride al rallentatore come se la cosa dovesse darci soddisfazione. Certo, poi la tecnica è sempre buona, Cruise ancora impeccabile nel ruolo, la colonna sonora professionale così come lo è ogni prodotto hollywoodiano dal budget sostanzioso, ma dei tanti capitoli resta uno dei meno convincenti.
Anomala produzione australiana che nasce (su YouTube) come omaggio a un certo tipo di cinema exploitation dei Settanta (ma non solo) di matrice italiana, dichiaratamente, anche se a dire il vero il genere che per primo sembra oggetto della parodia è quello dei lottatori messicani, dei Santo e dei Blue Demon, quelli che sgominavano a calci e pugni intere bande di criminali intenzionati a conquistare la Terra o poco meno. Poi certo, ci siamo accodati anche noi coi nostri “fantastici Superman” e va detto che qui...Leggi tutto una delle particolarità più divertenti è che i protagonisti parlano un italiano abbozzato tutto da ridere, mescolato a qualche parola in inglese piazzata all'interno di una lingua talvolta indistinguibile (non a caso compaiono i sottotitoli "obbligati", lungo tutta la serie).
Dieci episodi brevissimi che sono stati successivamente riuniti in un mediometraggio di 40 minuti che può essere visto come una storia unica, in cui un meteorite precipita sulla Terra e viene catturato dall'immancabile scienziato pazzo. A cercare di rimettere la cose a posto arriva per l'appunto l'Italian Spiderman (Ashby), con un rozzo costume da uomo ragno e una stazza non esattamente associabile a quella del noto superoe Marvel: cicciottello, look alla Ron Jeremy, mascherina nera d'ordinanza, parla poco e raddrizza i torti a modo suo, soprattutto facendo grande uso di armi da fuoco. Il film, infatti, trita generi diversi in una resa pulp assolutamente perfetta: pellicola rovinata, definizione bassa, colori impastati (stona solo il formato 2.35:1, inconcepibile al tempo per produzioni del genere), fondali finti durante un impagabile inseguimento in moto, primi piani inutili...
La tecnica è magnificamente ispirata agli Z-movies a cui fa riferimento, con dialoghi elementari nei quali si agisce parodiando oltremodo l'imbecilità di quelli di allora, frasi biascicate in italiano, idee ed elementi piazzati ovunque per prendere in giro il cinema di basso livello tout-court (si pensi al ragazzo che resta incantato muovendo la testa a bocca aperta quando indica qualcosa). Chi conosce quel tipo di film non può insomma che restare estasiato di fronte all'accuratezza con la quale ci si diverte alle spalle di quel genere già di per sé ai confini del trash: le sciocchezze non si contano, con il “succo” estratto dal meteorite che produce una clonazione immediata del soggetto a cui viene iniettato. Più è il liquido, più aumenta il numero dei cloni che scaturiscono d'improvviso dal nulla.
E' del tutto evidente come la storia sia un semplice pretesto per mettere in scena un gran bel numero di trovate folli sostenute dall'ottimo senso dell'umorismo degli autori i quali, pur muovendosi nell'ambito della goliardata, azzeccano molte gag dedicate anche ai non esperti del campo (a cui, comunque, il film resta indirizzato). Belle ragazze (ma niente nudi), maschi di contorno ricercatamente idioti, una enorme quantità di sparatorie e musiche di accompagnamento assolutamente perfette. Certo, a lungo andare il gioco stanca e chiudere dopo 40 minuti era necessario per non annoiare, ma intanto godetevi lo spiderman nostrano che si difende durante una gara di surf chiamando a sé i pinguini! Una delizia per intenditori e amanti di quel cinema fatto di niente, ingenuo eppure così amabile...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA