Ennesimo dramma tutto al femminile per Pedro Almodóvar. Con un'eccellente Penélope Cruz nel ruolo di una madre che trova sul pavimento di cucina il marito steso dalla figlia che stava per essere violentata, con l'immancabile Carmen Maura in quello della madre di Penélope Cruz e un labile (ormai sempre di più, visto che Almodóvar ormai preferisce di gran lunga soffermarsi sui ritratti di donna che sulla storia) intreccio giallo che fa capolino nell'ultima parte. Sulla bravura del cast e la competenza registica non si può eccepire, ma certo un soggetto ridotto all'osso che non offre nulla di particolarmente interessante unito a una certa svogliatezza...Leggi tutto percepibile in un ritmo fin troppo blando finisce col produrre un film tra i meno incisivi e coinvolgenti in assoluto del bravo autore spagnolo. Mancano le crisi di nervi, mancano personaggi in grado di vivacizzare la vicenda o almeno rintracciati in quel sottobosco urbano che tante volte ha fornito ad Almodóvar figure memorabili. VOLVER è insomma un film debole, stanco, godibile solo per la consumata esperienza registica che Almodóvar ha maturato nel corso degli anni e che gli ha permesso di imporre uno stile personale universalmente apprezzato. Ma al di là del professionismo di facciata, dell'indubbia acutezza con cui è studiata la sceneggiatura, la sensazione è che VOLVER possegga solo poche delle qualità viste negli ultimi film dell'autore.
Decisamente la debolezza della trama è evidente e questo è un tratto saliente dell'ultimo Almodovar, se vogliamo "commerciale" e sdoganato. Notevole oltre al cast (Carmen Maura resta un mito) la regia, forte della ventennale esperienza, del resto. L'immagine del funerale con il plongé sulle donne in nero simile ad un formicaio e la ripresa delle centrali eoliche con una strana angolazione non sono certo novità, ma qui sono ben contestualizzate. Ridateci il Pedro delle crisi di nervi però!!!
Film non impeccabile (la sceneggiatura è spesso lacunosa) ma assolutamente sentimentale, "Volver" (come da titolo) è veramente un'opera sull'elegia del ritorno: il ritorno riguarda in questo caso i luoghi (la regione della mancha terra d'origine del regista) ma anche i personaggi, che tornano sia fisicamente (il personaggio della donna defunta) che metaforicamente ai sentimenti ancestrali. Da questo bel quadro sono rigorosamente esclusi i personaggi maschili. Volver è infatti incentrato su figure di donna rese dalle brave Maura e Cruz.
Soggetto classico per il regista, quindi storie esclusivamente di donne semplici e dignitose, con gli uomini protagonisti negativi e un alternarsi tra dialoghi profondi e frivoli. La storia è più riflessiva rispetto alle precedenti e non sempre godibile, con troppe contorsioni. Ogni tanto si ride, come nel trasporto del frigorifero che contiene i pezzi del marito. Discorso a parte per la Cruz, intensa e brava, gestualità e sguardi degni della miglior Anna Magnani, che appare negli ultimi fotogrammi del film.
Bellissima e sottovalutata commedia dai toni surreali, piena di colpi di scena e grandi personaggi. Non manca qualche lieve assurdità nella sceneggiatura, ma la regia particolarmente ispirata e gli ottimi interpreti riescono a non far pesare questo difetto. Assolutamente godibile e a tratti quasi toccante.
Un film che gioca con la vita e la morte, spaziando fra l'ironia e il dramma. Almodovar mescola con grande abilità il surrealismo, la vendetta, il gesto catartico, creando delle muse portatrici di amore e dolore, creative e distruttive allo stesso tempo. Il film è esuberante, a tratti assurdo, sostenuto da un meraviglioso cast quasi tutto al femminile. ****
Volver, tornare. Torna il passato, i morti, per ricomporre il presente; riscrivere i vincoli familiari secondo la logica dell’amore. Il sangue non crea legami: scorre alla nascita e nel dolore, scorre per vendicare… Tornano le responsabilità umane (autentiche) dopo l’anarchia esuberante, la catarsi vitalizzante. Almodovar ha bisogno di muse complici amiche amanti per rigenerare il suo contatto adamitico e ombelicale con il mondo, per ri-tornare. Lasciate perdere la grammatica, l’eccesso: questa è una pagina di diario strappata, lasciata al cinema… Una concessione e (è) una liberazione.
Bellissimo film di Pedro Almodovar dove le protagoniste assolute sono le donne: bastano, in questo film, e gli uomini sono solo portatori di dolore. Come dice il titolo "Volver" (tornare) vi è il ritorno di Penélope Cruz, Carmen Maura e ancora il ritorno alla terra, la Mancha, dove soffia il vento del levante. Fantastica Penélope Cruz che in questa pellicola dà il massimo in quanto a bellezza e bravura.
Mica ha perso il gusto del racconto, Aldomodovar: lo si capisce fin dalla bella sequenza iniziale, ambientata nel cimitero assolato e ventoso. Il problema però è che questa volta ad essere carente è la materia del racconto stesso e, al di là della confezione colorata e brillante, la sensazione è quella del solito rimescolio di temi abituali, con le donne tutte belle e/o brave, comunque solidali fra loro (buona parte della vicenda passa in sbaciucchiamenti), mentre gli uomini sono tutti fetenti oppure molluschi. Film certo non brutto, ma superficiale, manierato.
Nonostante Volver non raggiunga i livelli di altri film di Almodovar, emoziona e coinvolge non poco, sia per la buona interpretazione che danno le attrici ma anche per le situazioni che si vengono a creare, specialmente quelle del finale. Toccante la canzone cantata dalla Cruz.
Se c'è oggi un regista di cui riconosceresti stilemi e storie pur avendo perso i titoli
di testa, quello è Almodovar (sia chiaro: è un complimento). Basta poco per capire che
siamo dinanzi ad un film del regista madrileno: tempi, storie, situazioni, modi di narrare sono quelli soliti. E così pazienza se la sceneggiatura non è perfetta e ci sono altri difettucci: chi ama Almodovora apprezzerà, gli altri non si sa. Penelope Cruz è brava, ma la Maura, al solito, ruba la scena a tutti confermandosi una delle signore del cinema spagnolo e mondiale.
L’escamotage del fantasma, improbabile ed effimero, avrebbe potuto essere utilizzato per rinvigorire un racconto frivolo come una telenovela e partorito da quel microcosmo manicheo ed autoreferenziale in cui da anni si è recluso Almodòvar: le donne sono tutte virtuose e sensibili e gli uomini tutti bruti e scapestrati. La sua antica attitudine al grottesco riemerge solo nella stralunata sequenza d’apertura al cimitero e quando è di scena la vecchia Chus Lampreave, caratterista feticcio dai bei tempi de L’indiscreto fascino del peccato e Che ho fatto io...?. Inascoltabile la Cruz cantante.
MEMORABILE: La Lampreave alla Cruz: «Oh, ma come sei magra! Hai già partorito?». La Cruz: «Da quattordici anni, zia!». Lampreave: «Come passa il tempo...».
Notevole film del regista spagnolo. Rispettando i canoni del suo cinema, tra scene multicolore e ambiguità sessuali, si rivela un ottimo dramma condito però da una venatura comunque grottesca, "almodovariana" appunto. Molta carne al fuoco servita con originalità. Lodevole la prova della Cruz, così come della star feticcio del regista, un'invecchiata Carmen Maura.
Contrapposizione uomo/donna nella solita veste manichea di cattivo il primo, buono il secondo, si trascina stancamente per tutta la durata del film esaltando il concetto del ritorno e il suo significato ancestrale. Tra fantasmi e qualche buco narrativo si arriva finalmente al finale, alla pari di uno stanco ciclista che scala una vetta alpina. Poche sorprese, sopravvalutato.
Man mano che passano gli anni il regista iberico affina la sua tecnica registica regalandoci opere che scandagliano in modo approfondito i sentimenti femminili. I personaggi non sono più le macchiette un po' folli e isteriche dei primi film ma persone che non subiscono passivamente gli eventi e che cercano di ricostruirsi una vita con dignità. In Volver si vede la mano di un regista che è maturato e si è evoluto pur mantenendo intatte le caratteristiche principali della sua arte. Anche la Cruz dimostra di essere un'attrice per film d'autore.
Film sicuramente drammatico ma con il ritmo e la tensione di un thriller. Almodóvar analizza e scandaglia nuovamente uno dei suoi temi preferiti (la morte) e lo fa senza mai cadere nel lacrimevole ma anzi, con un pizzico di black humor che rende il tutto scorrevole fino al colpo di scena finale. Monumentale Penelope Cruz, ma non è da meno la fantasma Maura, attrice straordinaria che di certo ha superato la sua "crisi di nervi" e ci regala una madre e nonna memorabile. Buon cinema.
La grande maestria di Almodovar si conferma in questa pellicola che gioca con efficacia con stili diversi (dalla commedia al thrilling) dipingendo personaggi straordinari dotati di un'umanità toccante che permette un'empatia viscerale nonostante l'assurdità di certe situazioni. Un film dove l'universo femminile è raccontato senza stereotipi, nel quale la solidarietà la fa da padrona. Spettacolari e imprevedibili i colpi di scena, soprattutto alla luce del genere a cui si rifà la pellicola. La Cruz in uno dei ruoli migliori della carriera.
MEMORABILE: le scene al ristorante; La Cruz che intona una canzone emozionante; Il paesino d'origine
Tra superstizione e realtà la storia di un gruppo di donne pian piano si rivela. Almodovar lascia da parte le provocazioni sessuali (tranne quelle abbinate alla maternità) e racconta un'elegia dedicata alle donne. Indipendenti, bugiarde, violentate: un'ampia gamma di sentimenti con una sceneggiatura che si dipana come un thriller grottesco. Cruz in parte anche fisicamente e Maura perfetta nel ruolo della madre pentita. Qualche sbavatura ma per situazioni a lato della storia.
MEMORABILE: I baci al funerale; Maura che fa la cinese.
Film "femminista" di Almodóvar in cui, come spesso accade nelle opere del regista spagnolo, sono le donne le figure forti. Ma il film è anche un lucido apologo sull'amore materno che soffoca e protegge (basti pensare alla citazione di Bellissima di Visconti con la Magnani), raccontato con rarefatta e raffinata poesia. Cast in grande forma e molto affiatato, ben diretto da un Almodóvar attento ai dettagli che costruisce con sapienza l'ennesimo, piccolo capolavoro, disegnato tutto a mezze tinte. Da citare le musiche e la solita splendida fotografia.
MEMORABILE: L'allusione della Maura all'improvvisa crescita del seno della Cruz, che fece parlare all'epoca anche molte riviste di gossip.
Affascinante in cui dove commedia, dramma e thriller si intersecano magistralmente: il racconto è ricco di sorprese e i personaggi riempiono lo schermo con la loro vitalità e le loro problematiche. Un film sul ritorno in tutte le forme, tra superstizioni di paese e misteri svelati che ti cattura e ti ammalia forte per l'inconfondibile stile del regista. Ottima la direzione delle attrici (premiate in blocco a Cannes), suggellata dallo stupendo incontro tra le due storiche muse almodovariane. Il grottesco degli esordi fa capolino nella mostruosa parte della TV del dolore.
MEMORABILE: L'incontro tra Cruz e Maura; Portillo nello studio televisivo; Il paesino d'origine battuto dal vento; Zia Paula.
Sceneggiatura particolarmente tortuosa e intrigante, in cui si parte in modo quasi da commedia per poi arrivare a profondità familiari drammatiche e piene di pathos. Come sempre il regista dirige benissimo le attrici, con una Cruz in stato di grazia a capitanare un cast nel quale anche il personaggio meno rilevante ha una peculiare personalità e un vissuto. C'è qualche rallentamento nella parte centrale e alla fine non tutti i nodi sembrano sciolti, ma la capacità di parlare alle persone arriva forte e intatta. Notevole.
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Presentato in concorso al Festival di Cannes 2006, ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura e per la migliore interpretazione femminile (assegnata all'intero cast: Penélope Cruz, Carmen Maura, Lola Dueñas, Chus Lampreave, Yohana Cobo, Blanca Portillo).