L’immigrazione – regolare e clandestina – dei siciliani in USA e i loro codici d’onore che lavano l’onta nel sangue sono l’argomento del dramma di Miller portato sullo schermo in una coproduzione franco-italiana presieduta da Lumet: aggirando le angustie dell’origine teatrale, la regia si sofferma sul realismo di interni ed esterni ed alimenta passioni incandescenti da cui divampa infine una potente tragedia classica. Vallone supera se stesso e il suo Eddie Carbone - retrivo, maschilista, geloso e violento – va ad assidersi accanto al Kowalski di Brando nell’Olimpo degli indimenticabili.
MEMORABILE: Lo scandaloso bacio sulla bocca dato da Vallone a Sorel per umiliarlo.
Trasposizione cinematografica del dramma teatrale di Arthur Miller, Uno sguardo dal ponte è una passionale analisi dei drammi sentimentali e sociali di immigrati in terra straniera (in questo caso gli italiani a New York). Il film (diretto dal grande Lumet) è decisamente riuscito sul versante del realismo dell'ambientazione e della potente e sentita prova del cast (specie Vallone) anche se lamenta una certa "freddezza narrativa" e una non costante capacità di coinvolgere lo spettatore. Interessante.
Il portuale Eddie Carbone, che vive a New York con la moglie e una nipote diciottenne cui è molto legato, offre ospitalità a due connazionali immigrati clandestinamente negli Usa. Quando fra il più giovane dei due e la nipote nasce un sentimento d'amore, in Eddie scatta la molla della gelosia... Adattamento piuttosto fedele del testo di Miller - a parte il finale - ben fatto e bene interpretato da Vallone, vigoroso e tormentato, si fa ricordare per alcune scene di forte intensità drammatica, anche se complessivamente manca quel "quit" in grado di farlo rientrare fra le opere migliori di Lumet.
MEMORABILE: Giustamente famosa, la scena del bacio imposto da Vallone a Sorel - lo scontro finale in mezzo alla strada
La scelta del cast (qualche dubbio su Sorel, comunque all'altezza) è la prima delle armi vincenti per rappresentare il dramma scritto da Miller; c'è poi l'ottima direzione di Lumet e una foto in bianco nero "drammatica" al punto giusto che riesce a smorzare anche l'atmosfera natalizia, evidenziando solo l'aspetto freddo e umido della stagione, in contrapposizione con il calore (per non dire bollore) umano, in tutte le sue sfaccettature tradizionali e antropologiche. Cura nei dettagli, a partire dai pantaloni di pelle di Eddie Carbone.
Lumet sa cogliere il lirismo delle pagine di Miller e offre a un ispiratissimo Vallone il ruolo migliore della sua carriera. Molto buona comunque la prova di tutto il cast, dalla Stapleton a Sorel, segno di una regia solida dalle idee chiare che riesce a valorizzare ogni scena madre del racconto. Di ottimo livello anche la confezione, con le splendide location newyorchesi splendidamente fotografate dall'esperto Kelber. Interessanti anche i rimandi alla situazione storica dei tempi narrati, che mostra impietosamente il lato oscuro del sogno americano. Vibrante e intramontabile.
Lo sguardo di Arthur Miller si concentra, come al solito, su un ambiente domestico occupato da povera gente immigrata a NY, così claustrofobico (l'ambiente) da esacerbare conflitti interiori che non potranno che portare nulla di buono. In più l’accusa a vuoto di omosessualità altrui rimanda a una personale dimensione sessuale non del tutto risolta. Ottimo il cast per una storia raccontata con tempi teatrali, in cui Raf Vallone sa destreggiarsi con padronanza. Dirige il grande Sidney Lumet.
Italiani trapiantati a New York ospitano due cugini entrati illegalmente. Storia di emigranti, di valori, ma anche di possessione e onore tradito. Prima parte più "nostrana" nel descrivere la vita dura di chi vive all'estero e prosieguo al limite del patologico nelle questioni amorose. Vallone ha la presenza del padre di famiglia e Sorel è meno ingessato del solito. L'epilogo è anche fin troppo epico e viene aiutato dal clima suburbano delle strade newyorchesi.
MEMORABILE: La prova della sedia; La delazione; Il bacio al cugino; Il gancio in mano.
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