Meglio non lasciarsi ingannare dalla sgargiante locandina originale e dal titolo che promette vivaci avventure per famiglie: sull'IMDb il film viene catalogato fra l'altro come
horror, il che la dice lunga sul contenuto effettivo dell'opera.
Nella tradizione dei cartoni rovina-infanzia, dopo titoli cult come
La collina dei conigli,
Felidae e
Le avventure del bosco piccolo, giunge dalla Corea del Sud questo ingannevolmente innocuo e a dir poco terrificante
Swimming to sea.
Sia chiaro, il binomio animazione/cinema-per-bambini è un concetto pregiudizievole e (fortunatamente) sdoganato da tempo, ma quando un lungometraggio animato si serve ai fini della narrazione di animali antropomorfi che parlano, cantano e ridono, l'associazione col cinema disneyano e kid-friendly diventa quasi automatica, e non appena la natura dark del prodotto si palesa, l'effetto è quantomeno destabilizzante, quando non del tutto spiazzante. Basti pensare al classico di Don Bluth del 1982
Brisby e il segreto di Nimh, capace di traumatizzare intere generazioni di bimbi che, attratti ingenuamente dai dolci topolini protagonisti, si ritrovarono davanti a spaventosi esperimenti su cavie, un senso incombente di morte in ogni angolo e persino fugaci scene di sangue.
Uno scherzetto del genere, sempre in materia di animali. era già stato proposto dalla Corea del Sud nel 2011 col poco conosciuto ma ammirevole
Leafie – La storia di un amore, cupo e commovente dramma sull'istinto materno travestito da simpatica favola dai colori brillanti. Il finale è uno di quei tear-jerker che non si scordano più.
Ma torniamo al film in esame.
Siamo in un ristorante sushi coreano, di quelli con la “merce” ancora viva esposta negli acquari all'entrata. Proprio in una di queste vasche finisce la femmina di sgombro Padak, pescata dall'oceano e desiderosa più che mai di ritornarvi. Gli altri occupanti della vasca, al contrario, sembrano aver accettato con un certo distacco il loro ruolo nel “mondo”, e grazie ai trucchetti insegnatigli dal vecchio maschio di platessa che risiede di nascosto sul fondo dell'acquario (essenzialmente basta fingersi morti non appena un cliente si avvicina), la loro aspettativa di vita si è notevolmente allungata. La platessa si è imposta come capo e guida, sfruttando il proprio glorioso passato di abitante del mare: in fondo è facile assoggettare le menti di pesci da allevamento, basta tenerli sotto controllo con finti indovinelli e raccontare un mucchio di storie spaventose sui pericoli dell'oceano. Ma con l'arrivo di Padak e la sua sfrenata bramosia di libertà, la posizione di privilegio della platessa si vede intaccata e il richiamo degli spazi aperti e sconfinati del grande blu inizia a contagiare anche gli altri sudditi, in particolare il giovane labro Spotty.
Insomma, siamo di fronte al classico racconto allegorico con implicazioni socio-politiche: l'acquario diventa un microcosmo retto da un regime dittatoriale, in cui a prevalere è il cinico istinto di conservazione, una sopravvivenza futile, più simile a una procrastinazione della morte che a una reale voglia di vivere; la platessa è il tiranno che soggioga il popolo attraverso l'ignoranza; Padak la ribelle che accende il lume della speranza e della solidarietà in una realtà oltremodo buia.
Ma non ci si limita agli stereotipi: ogni personaggio ha la propria personalità, il proprio arco narrativo (per lo meno i protagonisti), la propria backstory, i propri affetti e debolezze.
Persino l'antagonista, solitamente figura piatta (è una platessa, gioco di parole non voluto) e totalmente negativa in questo tipo di film, si rivelerà al contrario il character più interessante e complesso della vicenda: un villain nichilista e disilluso, tormentato da memorie tragiche, un po' come il Lotso di
Toy story 3, ma destinato a cambiamenti ben più profondi nel corso della storia.
Il messaggio è forte, filosofico ed esistenziale, ma rischia di passare in secondo piano quando l'attenzione del regista si concentra sulle indicibili torture cui sono sottoposti i personaggi, siano esse fisiche o psicologiche. Dall'acquario che li imprigiona, i nostri sono in grado di osservare il trattamento che li aspetta sul banco da lavoro del cuoco. Quasi come se la sequenza pre-credits de
Il senso della vita dei Monty Python fosse portata alle estreme conseguenze. I poveri pesci, infatti, spesso non vengono semplicemente uccisi e cucinati, ma bellamente affettati e serviti ancora vivi e boccheggianti mentre gli affamati commensali si cibano delle loro carni! Dopotutto chi ha visto
Oldboy sa a che livelli può arrivare l'amore per il sea-food fresco in Corea (e in Asia in generale).
Così, fra povere bestiole che vengono misericordiosamente tramortite prima di essere sviscerate o decapitate, e altri amici di pinna meno fortunati che finiscono sul piatto ancora semi-coscienti, la pellicola avanza a suon di shock visivi.
Come se non bastasse, l'orrore si consuma anche all'interno della vasca-regime: si va dai sorteggi per decidere quale compagno dovrà farsi mangiare la coda dagli altri, ai pesci morenti che implorano di essere risparmiati prima che la platessa ne divori gli occhi e getti il resto ai suoi sudditi perché se ne cibino come un branco di piranha famelici.
E quando non c'è la violenza grafica, ci sono montaggi incubotici di denti umani che masticano vittime appena trucidate, resti ittici sanguinolenti e cadaveri che sfrigolano in padella.
In questi frangenti sembra di assistere a una campagna promozionale della PETA.
Lo stile disneyano adottato dall'autore Dae-hee Lee (che compare, fra l'altro, nei titoli di coda del pluripremiato
Parasite fra gli “special thanks”) non fa che accrescere l'impatto disturbante nel momento in cui il gore e le crudeltà fanno freddamente il loro ingresso. Pare insomma di vedere
Alla ricerca di Nemo con la consapevolezza che i nostri eroi, prima o dopo, verranno insensibilmente ammazzati e offerti in sacrificio a mostri bipedi carnivori. Anzi, il collegamento al noto film Pixar viene accentuato con un pizzico di sadica ironia dallo stesso Lee nella sequenza in cui Padak, ridotta alla fame, finisce per cibarsi di un'intera colonia di allegri pesci pagliaccio!
Degno di nota anche lo stile di animazione, che varia a seconda dei personaggi e del loro design. Di base abbiamo un'animazione tridimensionale lavorata per assomigliare al 2D, alla stregua del
Paperman del 2012. Il risultato è efficace sui pesci, grazie ai loro movimenti fluidi e alla caratterizzazione che richiama il tratto disneyano; meno sugli esseri umani, che fra un design pseudo-realistico e movenze legnose fanno venire in mente un'ideale controparte su tre dimensioni del proto-rotoscoping di
Valzer con Bashir. Molto buono il lavoro di voice-acting (prendendo come riferimento la versione originale).
Fra splatter, trovate agghiaccianti e svolte narrative talmente dark da lasciare a bocca aperta (la fine di Spotty, tanto per dirne una), Lee inserisce tre siparietti musicali (ancora una volta il sarcastico allaccio ai classici Disney si mette in evidenza), non essenziali, ma visivamente encomiabili. Sono gli unici momenti del film in cui la tecnica di animazione cambia e passa allo stile tradizionale, muovendosi fra surrealismo à la
The wall (sulle note della prima canzone emerge un esercito di cuochi senza testa che decapitano con meccanica efficienza i pesci da servire), classicismo all'americana (la canzone del grongo, la più superflua ma anche la più orecchiabile, simile alle tipiche villain-song dei prodotti made-in-USA), e pure stilizzazioni infantili à la Raymond Briggs (il toccante brano che Padak dedica alla platessa, sviluppato su splendidi disegni a matita che ricordano
Il pupazzo di neve e
Quando soffia il vento).
Il finale, una volta superato l'impatto di un crescendo disturbante che toglie letteralmente il fiato, è un concentrato di ansia e di sentimento. Al termine di un labirinto di morte e angoscia che ci ha ospitato per settanta minuti, quando finalmente si fa strada la parvenza di una svolta ottimistica, ci si sente così disorientati e si rimane tanto increduli da farsi sopraffare dall'emozione.
Il rischio che
Swimming to sea sarà ricordato dai più per il suo contenuto orrorifico, piuttosto che per la morale individualistica che cerca di trasmettere, è alto e non bisogna stupirsene. Tuttavia, per quanto brutale e sconvolgente, la violenza dell'opera è strumentale e non fine a se stessa: colpisce allo stomaco e stimola le riflessioni, rappresenta un universo cupo e opprimente per veicolare un grido di libertà e di speranza, senza preoccuparsi di indorare la pillola.
Nel panorama dei film d'animazione maturi, anche se non propriamente per adulti (niente riferimenti al sesso né parolacce), resta fra i migliori degli ultimi anni.