Sempre introdotto dall'ammaliante sigla (strumentale) dei Pooh, comincia il terzo dei Racconti fantastici di Poe diretti per la Rai da Daniele D'Anza. E’ il "Delirio di William Wilson", già portato sullo schermo da Louis Malle nell'episodio con Alain Delon di TRE PASSI NEL DELIRIO. Qui, a interpretare il combattuto protagonista (che si è pensato di attualizzare trasformandolo in un pilota di corse automobilistiche), troviamo il bravo Nino Castelnuovo, che vediamo nel prologo a colloquio con Philippe Leroy/Roderick Usher pronto a ricordare la propria avventura in un unico flashback. La comparsa...Leggi tutto dell" "altro" William Wilson (Giorgio Biavati, aiuto regista di D'Anza) avviene su un circuito: porta lo stesso nome del protagonista, è nato a Manchester lo stesso giorno... ma chi è veramente? La soluzione, ovviamente costruita su basi psicanalitiche come si conviene, derivando da uno dei più personali racconti di Poe, si svela pian piano mentre il telefilm, partito bene, tende progressivamente a sgonfiarsi proprio come avveniva nell'episodio di Louis Malle. Difficile da portare su schermo, l'opera del grande scrittore americano, eppure ci si lascia tentare dalla forza dello spunto iniziale. Ma presto la sceneggiatura concede troppo spazio alle parole, ai dialoghi/monologhi e si finisce con l'annoiarsi pregustando un succoso epilogo, che invece si attua anonimamente in casa Usher. La Agren è insieme moglie e sorella.
Nella terza puntata della serie dedicata a Poe è protagonista il racconto di William Wilson, dove l’ego prepotente e violento di Castelnuovo si scontra con la sua coscienza buona rappresentata da Biavati. Come prodotto televisivo è senz’altro dignitoso, ma D’Anza non riesce a restituire il fascino oscuro e misterioso che contraddistingue ogni opera dello scrittore di Boston. Tra i comprimari un tracotante Maestri e la bella Lentini.
Un baffuto Castelnuovo alle prese con il suo palloso e grilloparlantesco doppelgänger. Già rispetto a Delon si parte male, se poi il palloso ha la faccia (e il taglio di capelli) di Biavati non può che finire peggio. Ambientazione (con tripudio di Fernet Branca e Pejo) e attori secondari (il patron... ) ammazza-atmosfera, sulla partita di biliardo aleggia un'eco fantozziana, manca solo il "coglionazzo". Non bastano la succulenta Agren e lo spartano party mascherato con zorrata finale a salvare un episodio fiacco.
Spenta riduzione televisiva del celebre racconto di Poe (già portato sul grande schermo, con risutati deludenti, da Malle). Mancano tensione ed interesse:
la causa non è solo la scelta sbagliata degli attori, ma anche una sceneggiatura debole e con dei dialoghi banali e, in alcuni frangenti, da latte alle ginocchia.
Rispetto ai pessimi prodotti televisivi di oggi, ha una sua dignità.
Peccato che questo adattamento moderno del William Wilson di Poe non sia all'altezza né del racconto né del piccolo capolavoro diretto da Louis Malle. Nino Castelnuovo non è Delon ma non è neanche così malaccio; in generale è l'impianto della storia a non essere reso in modo convincente. E come alter ego si poteva scegliere certamente di meglio... Piccoli ruoli per Janet Agren e Licinia Lentini. Lieve flessione per questa terza puntata dello sceneggiato di D'Anza dopo i due primi episodi molto buoni.
Si ritorna alle atmosfere inquietanti del primo episodio. Leroy nuovamente impeccabile, ma si guadagna la preziosa presenza di Janet Agren nei panni di Leonora sorella di Usher, personaggio interessante ottimamente interpretato dalla svedese. Ottimo anche Castelnuovo nei panni del corrotto William Wilson, che avrà non pochi problemi con la sua coscienza. Citazioni dai precedenti episodi (la presenza della moglie in quadro, che continua ad aleggiare sulla macabra dimora Usher), bello il finale.
MEMORABILE: Leroy annuncia che quella notte la moglie tornerà; Il duello; La partita a poker; Castelnuovo mette le mani al collo della Agren.
In questo terzo episodio lo stacco su una storia "contemporanea" e alla luce del sole (ambientata in un autodromo) appare fin troppo artificiosa e pretestuosa. Per fortuna si ritorna spesso sul centro di gravità che è l' inquietante magione, sede e causa di rovinose vicende. Leggermente inferiore nella qualità espressiva, ha comunque nel finale psicoanalitico un suo motivo di pregio. Bella e piacevole la presenza dell'attrice romana Licinia Lentini. Slegato al resto dei racconti, ma anche propedeutico.
Discreta la prima parte in cui la relazione tra il vero Wilson e il suo contraltare (la coscienza che rimorde oppure il simbolo d'un altro da sé più desiderabile e impossibile da impersonare) è in costruzione e, perciò, appena accennata. Il prosieguo cade malamente su elementi scopertamente didascalici che dissolvono l'aria di ambiguità dapprima instaurata. Castelnuovo è sin troppo mediterraneo per fare la canaglia, ma funziona; più deboli gli altri personaggi. Di troppo Leroy, inessenziale allo sviluppo della trama.
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