La Breillat ha coraggio da vendere, su questo non si discute, ti sbatte in faccia umori femminili colanti, sangue mestruale che schizza e imbratta corpi, sessi, letti, in penetrazioni quasi splatter (da antologia il fiotto di sangue che sprizza a penetrazione ultimata), dita che profanano e penetrano l'interno femminile con fuoriuscita di ogni liquido cronenberghianamente possibile e immaginabile, la lametta del rasoio che squarcia carni bianche e candide, non si tira indietro mostrando una bambina con la vagina esposta al ludibrio innocente di alcuni bambini (che le estraggono gli umori con la stanghetta degli occhiali), colpisce duro facendo schiacciare e calpestare violentemente un piccolo passerotto con furia e crudeltà da un bambino.
Il suo è un cinema di corpi, di infezioni, di secrezioni, di sangue, di umori, di anatemi sulla carne, di liquidi corporei che lo apparenta strettamente al cinema di David Cronenberg (di cui mi veniva alla mente durante la visione), e non per nulla la Breillat ebbe a dire :"
David Cronenberg è un autore che ha il medesimo approccio con la sessualità dei miei film", e non posso che essere d'accordo.
Ma anche certo cinema pasoliniano (
Salò, guarda caso un altro film che mi veniva a mente, e un personal cult breilletiano), qualcosa di Ferreri, e un finale surreale e sospeso, trasognato e onirico, come se fosse un film di Jean Rollin.
Al di là dei dettagli anatomici (ma la vagina che in primo piano espelle a piacimento il "pene di pietra", ha un che di chirurgico, quasi da parto osceno, come fosse una creatura aliena e non poteva venirmi alla mente l'occhio vaginale di
Spell), del pene eretto e possente del Rocco nazionale, c'è qualcosa che và al di là , e il tutto e funereo, mortifero, olezzante di morte e sangue rappreso, per nulla erotico o eccitante. Basti per tutte l'orgasmo a occhi sbarrati e quasi allucinati di lei.
Vero che alcuni dialoghi filosofici e piuttosto ridicoli rasentano il weird, ma la cruda nudità viscerale della Breillat va oltre le parole pretenziose, e esplora la vera "anatomia dell'inferno" (titolo azzeccatismo e consono, tradotto da noi malamente e sciaguratamente) e non ha paura di mostrare un cristo in croce, quasi un alter ego del corpo offerto e aperto della Casar.
La scena del tampax imbevuto di sangue mestruale e bevuto come una tisana da entrambi e l'apoteosi del non ritorno, bevetene e assaggiatene tutti, come i discorsi di sbudellamento, di urina e feci, di vagine sfondate e "inutilizzabili" che fà Siffredi ad un amico al bar, puro
Salò!
La concezione di vittima/carnefice, isolamento, sangue mestruale, rapporto malato ha più di un punto in comune con
Il miele del diavolo fulciano, ma dove in Fulci era lo scatenarsi di una vendetta, nella Breillat e l'esplorazione delle intimità più recondite che aprono ferite sanguinanti.
Grande inizio al locale gay stile
Irreversible, e la Breillat apre il film su una fellatio omo esplicità, al pari di quella che Verhoeven filmò in
Spetters
Anche qui siamo dalle parti di un autrice che divide, che non fà sconti, che picchia duro, che ami o odi senza riserve, libera da ogni pregiudizio e moralità.
Film che spacca, chi lo trova noioso, inutile, fine a sè stesso e ridicolo, ma che non lascia certo indifferenti.
Per il sottoscritto un esperienza carnale e marciscente nei meandri della sessualità, ma quella oscura e sanguignia, con un fortissimo odore di morte che rasenta il cannibalico.
Più che il tanto strombazzato porno, una macelleria dei sensi, un vero e proprio horror sull'incomunicabilità tra i sessi.