Film apparentemente poco più che amatoriale (la durata raggiunge a fatica l'ora e dieci), LA CAPA GIRA ha ottenuto invece discreti consensi di pubblico e critica arrivando fino al Festival di Berlino. Girato rigorosamente in dialetto pugliese stretto (tanto che si sono resi necessari i sottotitoli per ogni singola frase), è la storia di uomini e ragazzi di malavita nella Bari del 1999. Piccoli spacciatori, gestori di una sala di videopoker, incrociano le loro vicende in un ritratto da neorealismo puro. Recitazione spontanea, dialoghi che fanno della loro apparente incomprensibilità il motivo d'appartenenza a una sorta di tribù che pare vivere fuori dal mondo. Si intuisce...Leggi tutto la voglia di descrivere una società povera, abbandonata a se stessa, priva di valori, legata chiaramente all'immediato e ai bisogni primari (il sesso, più presente di quanto non sembri a prima vista). Il film scorre via tra brevi scene montate talvolta senza molta logica e su tutto, prima di tutto, a colpire è sempre l'effetto straniante dato dal ricorso costante al dialetto pugliese, che inevitabilmente à la caratteristica del film che tutti ricordano. Il resto sono scorci urbani dominati da case in disfacimento, interni spogli, la televisione spesso accesa sullo sfondo e una miseria generalizzata. Si penserebbe che l'uso del dialetto possa far sorridere anche senza volerlo e invece no: tolte due o tre gag praticamente involontarie, non c'è proprio nulla da ridere, in LA CAPA GIRA. E la fotografia cupa, sporca, povera, sta Iì a confermarlo.
In una specie di locale bar adibito a bisca clandestina e luogo di spaccio scorrono le vite di una serie di personaggi legati alla criminalità locale barese. A farla da padrone sono il degrado e la desolazione, elementi che sembrano addirittura giustificare in un certo qual senso, l'impossibilità di sopravvivere lavorando sodo e nella legalità. Piva sa dove mettere le mani per fotografare una realtà cruda e ci regala tante piccole istantanee di un mondo che sembra essere chiuso in se stesso. Tutto in lingua barese e sottotitolato in italiano.
Nonostante la forte connotazione regionale (è recitato in stretto barese ed è difficilmente comprensibile senza sottotitoli), La Capagira è un film piuttosto godibile; un tentativo riuscito di proporre uno spaccato della società meridionale più deteriore ma purtroppo drammaticamente reale adottando una cifra stilistica grottesca e una caratterizzazione ambientale di voluto squallore e povertà. Ottima la prova degli attori.
Un film piccolo ma davvero delizioso, perché si mantiene concentrato con umiltà su ciò che vuole raccontare (le disavventure di un gruppetto di piccoli spacciatori scalcagnati in una giornata piena di imprevisti) e lo fa con un sottile sostrato ironico, aiutato dall'uso del dialetto barese stretto, senza mai scadere nel grottesco, nel pittoresco o nel volgare. Insomma, la vicenda è cruda e "verista", ma fa sorridere amaramente nella perfetta delocalizzazione di una trama noir nella provincia mediterranea. Una bella opera prima.
La piccola criminalità barese protagonista del film conduce un'esistenza mediocre in luoghi squallidi, ma viene raccontata con leggerezza. È questo contrasto (unitamente alla simpatia dei personaggi) a rendere piacevolmente agrodolce la pellicola: si sorride spesso ma con un'amarezza di fondo. I protagonisti sbarcano il lunario come possono e spesso lanciano minacce ma, perché qualcuno si faccia davvero male, deve arrivare gente "da fuori". E un treno che ti porta lontano forse è l'unica soluzione.
Opera calata così profondamente nella realtà locale da poter aspirare a lanciare un messaggio universale proprio nella sua rozza naivetè, lontana da ogni sciocco minimalismo estetico-stilistico. Fatta la tara al mio spirito appulo partigiano, il film cerca di descrivere con sincerità un sottobosco che mi rendo conto ad alcuni potrebbe apparir bozzettistico, ma che più che criminale è in realtà più generalmente sociale. Sarebbe semmai da discutere sull'empatia nei riguardi di quell'ambiente, tale da inficiare il distacco critico. Grande Dante Marmone.
Ci vuole coraggio a proporre un lungometraggio del genere. Evidentemente Piva ne ha da vendere, visto che come pochissimi in questi periodi riesce a proporre un vero film neorealistico. Esteticamente sporco per scelta, Lacapagira ha tutte le carte in regola per non essere criticato tecnicamente: regia, fotografia, OST. Tutto a buoni livelli. La sceneggiatura può non piacere, ma è una questione di gusti. Anche perché per quanto possa apparire una commedia, in realtà è uno spaccato tragico di alcune realtà pugliesi. Grandissimi Abbrescia e un po' tutto il cast.
Il regista Piva ha coinvolto i migliori caratteristi baresi che hanno accettato di partecipare gratis a questa scommessa. Ne è venuto fuori un piccolo capolavoro del Neorealismo italiano da 300 milioni di lire, con un sottobosco criminale fuori dagli stereotipi del genere e incredibilmente vero. L'uso del dialetto è senz'altro un plusvalore, fotografia "sporca" da Oscar, recitazione a livelli altissimi, regia impeccabile. Insomma, un piccolo capolavoro da riscoprire. Imprescindibile!
MEMORABILE: Il dialogo fra Nicola e il poliziotto; La scena del dente; La scena a casa di Carrarmato.
Un film recitato in stretto dialetto barese (difatti ci sono i sottotitoli) e con un cast decisamente in forma. Il regista Piva con discreta bravura prova a descrivere in modo grottesco ma veritiero uno spaccato di vita quotidiana. Personalmente leggere i sottotitoli e seguire la storia non conoscendo bene il barese rimane un po' difficile e confusionario.
Un gruppetto di delinquentelli amici e le loro gesta di microcriminalità, ruotano attorno a un baretto nelle visceri maleodoranti di Bari. C'è la droga, ci sono gli albanesi corrieri e poi i cellulari GSM: tutto sembra appartenere a un centinaio di anni fa. Il regista insiste sull'innocuità dei gesti, laddove c'è ancora spazio per una ruvida solidarietà fra maschi. Il dialetto barese stretto avrebbe meritato dei sottotitoli per i non meridionali.
MEMORABILE: L'ispettore di polizia e la sua faccia che non si distingue da quella dei mariuoli.
Sgamate figure popolari che si crogiolano nell'esercizio dell'illegalità, tra coloriti sproloqui, "ferri" e birre ghiacciate. Budget (very) low, ma grande partecipazione dei migliori comici/caratteristi baresi e del cast tutto. Attenta la regia; si pensa a Marco Risi nel paragonare l'uso della macchina da presa in questo tipo di ambienti, ma il taglio di Piva verte al surreale. Paga il suo ostinato (ma necessario) uso del dialetto barese, che rispetto ad altri slang (napoletani, romani e siciliani, identitari di tanto cinema e teatro) è meno fruibile, e una trama di corto respiro.
MEMORABILE: I contrappunti elettronici; La magica sequenza della discarica; L'alterco del chioschetto; Le attese nella bisca; "Stoich' a 3000!".
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Nonostante io sia un fans di questo film e lo abbia visto decine di volte. Piva e' stato veramente molto bravo a inquadrare la dura realta' della micro crimine e analizzando tutti ma propio tutti gli aspetti di essa, dalla tratta dei profughi albanesi, allo spaccio di droga, fino alla corruzzione per cosi dire " nascosta dal sorrisino e dall'amicizia" con forze dell ordine compiacenti.
Dato l'enorme e assolutamente inaspettato successo del film, (che in diversi cinema della Puglia e non solo nel lontano Natale del 2000 incassò più dei vari cinepanettoni) venne riprogrammato dato l'enorme richiesta in alcuni "buchi" di palinsesto anche molti mesi dopo.
Si sono sempre seguite voci di di un sequel, ma Piva per il momento sembra non pensarci visto che si e' concentrato su altri film nel corso del tempo.
Ieri sera specialone di Stracult sul film, con interviste a tutto il cast e al regista Piva, con annedoti e curiosità legate al film , come quella, che visto il ridottissimo budget (neanche 200mln delle vechie lire!!) il film è stato girato con una vecchia telecamera a 16mm e ogni volta che dovevano riopetere una scena dovevano controlare in controluce il fotogramma sulla pellicola:)) inoltre il racconto di come è nato l'idea del film nella sala giochi del figlio di uno dei protagonisti, oppure il fatto che visto che non potevano pagare tutti gli attori alcune comparse avbbiano recitato gratuitamente solo per qualkche monmento di celebrità o per una semplice birra pagata da Piva, inolktre alcune difficoilà riscontrate nel girare nel borgo antico di Bari vecchia, per via della vera micro criminalità barese.
Per una grande puntataper un un mio film cult che riguardo sempre con piacere, inoltre le '99 a Bari fece piu incasso di Jurassic Park che non è poco!
"Guagliò calmi....che la Capa gira"
Indimenticabile Ruber:cribbio (come diciamo noi oriundi milanesi)...ancora me ne ricordo la visione al cineforum del Nuovo di Bisceglie.
Bravissimo Piva a cogliere gli umori terrigni del nord barese e soprattutto a "esportarli" con verità e senza tema di ghettizzazioni e macchiettismo
Buona serata
Nello speciale di Stracult durante l'intervista a Dino Abbrescia ad un certo punto viene fuori la domanda che tutti avrebbero voluto fargli: "Ma tutta la droga che lui assume (spesso in compagna di Sassanelli, e quasi sempre spinelli) é vera o finta?" Mitica la risposta del'attore barese, che nicchia, sorride, abbassa lo sguardo e poi dice: "Ma no, figurati!" biascicando ancora qualche altra improbabile motivazione a sostegno della sua tesi, sapendo benissimo di non essere nè credibile nè creduto. Per me basta guardare i suoi occhi nel film per capire tutto, ed inoltre credo che il fatto di aver interpretato quelle scene con perfetto "metodo Stanislavskij" abbia contribuito non poco al grandissimo exploit del film. Del resto non sarebbe stato nè il primo nè l'ultimo...
Il dvd della Medusa e andato da tempo fuori catalogo ma il film in seguito è stato distribuito online su youtube dalla stesso regista in alta definizione lo trovate qui:
Nel cast mancano Dante Marmone che interpreta Sabino (il gestore della sala giochi) e Nicola Pignataro, che interpreta Nicola (uno dei suoi due compari). Sono entrambi fra i protagonisti del film.