Da un romanzo di Luigi Malerba, quasi un ritorno al filone comico medievale di fine Anni Sessanta, con il suo italiano d'epoca maccheronico e una serie di situazioni tra il lugubre e il grottesco. Funziona in parte per il cast (grande Gassmann) e per una serie di assurdità che caratterizzano la prima metà. Purtroppo poi la sceneggiatura si sfilaccia arrivando a un finale che sa di inconcludente. Regia poco svelta, meglio il reparto costumi e scenografie. Alcuni spunti interessanti, ma poteva essere molto di più.
Il principale problema del Pataffio è che il paragone con L'armata Brancaleone è pressoché ineludibile (troppe cose ricalcano il medioevo gretto e scalcinato di Monicelli) e da un tale confronto il film non può che uscire con le ossa rotte. Se si riesce a “dimenticare” questo precedente ingombrante, tuttavia, quella del Pataffio rimane una visione godibile, nonostante il ritmo non sia travolgente e si sorrida più che ridere.
Preso possesso del feudo ricevuto in dote a seguito delle nozze con Donna Bernarda, il Marconte Berlocchio scopre che il castello è un rudere, la terra arida e sassosa, il popolo affamato... Inevitabile ma ingiusto il confronto con il più creativo tra i capolavori di Monicelli: questo Pataffio non ha grandi ambizioni ma, a differenza dei suoi personaggi, non fatica a guadagnarsi la pagnotta del gradimento non tanto per la sceneggiatura, che appare a tratti poco rifinita, ma per le prove di un cast particolarmente azzeccato. Medioevo lercio e puzzone per un film fresco e simpatico.
Più affine per idea iniziale (nobile di dubbie origini si insedia in feudo spiantato con abitanti da sottomettere) a un film del 1972 di Festa Campanile che alla pellicola monicelliana, da un registro comico/farsesco il film vira in modo imprevisto nella malinconia se non nel dramma (la sorte di Bernarda, quella di Micone e dei due soldati); Musella si smarca dai criminali e Gassman gigioneggia con gusto, tuttavia chi si aspetta un film percorso da battute in latino maccheronico (che pure ci sono) e situazioni ridanciane potrebbe rimanere interdetto; ottimi costumi e fotografia.
Ambientato in un luogo imprecisato durante il feudalesimo, narra la vicenda di un "marconte" che raggiunge una proprietà dote della sua consorte in cui campano in maniera rozza famiglie di villani poveri e cattivi. Una narrazione che riporta alle saghe di fine anni Sessanta, con l'utilizzo di un italiano maccheronico farcito di termini latini. Buon cast con un valido Musella ben coadiuvato da Mastandrea, Tirabassi e Gassman, tuttavia il sorriso latita e a parte qualche lieve colpo di scena si giunge a un finale appena abbozzato.
Torna alle atmosfere medioevali del passato il cinema italiano, con un film tratto da un romanzo di Malerba. Il pregio maggiore è la prova collettiva di un cast scelto con mano felice. Brillano il protagonista Musella (scelta coraggiosa e vincente), Giorgio Tirabassi, Gassmann e Mastandrea, ma anche gli attori impegnati in ruoli minori. Non altrettanto lo è la vicenda, piuttosto scontata, con una sceneggiatura che perde forza in una seconda parte evidentemente poco ispirata. Buona la colonna sonora.
Commedia medievale che ci propone quell'epoca per quello che era: un periodo violento, di fame e di malattie, un ambiente che paradossalmente è sottilneato in questa sua feroce natura proprio dai toni di commedia, come avveniva in L'armata Brancaleone. Grande interpretazione per Lino Musella, ma tutti gli attori tengono il punto anche quando, come per Gassman e Mastandrea, si tratta solo di partecipazioni.
Spiccano su tutto i costumi, la scenografia, il trucco, le splendide musiche di Stefano Bollani e la notevole interpretazione di Gassmann (anche se sembra uscito pari pari dal Nome della rosa). La vena tragicomica forse va scemando durante il film, ma tutto sommato si apprezza questa trasposizione cinematografica fatta con rispetto, attenzione e anche diligenza.
MEMORABILE: "Scusate, ho magnato!" (villano Micone).
Il nuovo feudatario prende possesso del suo castello in malora, con pochi sudditi malridotti e alla fame: dal romanzo di Malerba un film che gioca con gusto col plot, col variopinto magma linguistico e con l’inevitabile (ma solo formale) riferimento filmico brancaleonesco. Questa è piuttosto una caustica "profana rappresentazione" del potere e delle sue angherie, così come del malmostoso popolino, tra ignavia e rivolte a suon di “vaffa”. Un divertente e amaro tuffo nella Storia ma soprattutto nelle dinamiche di politica e società.
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