Un’autentica delusione, questo THE ABOMINABLE SNOWMAN OF THE HIMALAYAS, soprattutto in virtù del fatto che era sorretto da una sceneggiatura di Nigel Kneale tratta dal suo stesso racconto “The Creature”. Ma evidentemente l'autore della saga di Quatermass non doveva essere troppo ispirato, perché la colpa della scarsa riuscita del film non può essere attribuita in toto al regista Val Guest, altrove apprezzato quando non esaltato per aver contribuito alla realizzazione di classici come IL BACIO DELLA PANTERA. Sarà forse la limitatezza del budget concesso dalla Hammer (nelle persone di Anthony Nelson Keys e Michael Carreras), che...Leggi tutto vede i protagonisti muoversi in scenari poco rappresentativi del fascino del Tibet e dell'Himalaya, con cumuli di neve spesso ricreati in studio. Certo è che la storia, durante la quale seguiamo le avventure della solita spedizione (capitanata dal commerciante Forrest Tucker e dallo studioso Peter Cushing) partita per catturare gli yeti, proprio non funziona, priva com’è di spunti originali e pregna invece di un detestabile ecologismo a buon mercato. Sorvoliamo poi sugli effetti speciali; d'accordo che per Guest è sempre stato meglio suggerire che mostrare, ma qui si esagera: lo yeti catturato lo vedono tutti tranne noi, che dobbiamo aspettare gli ultimi cinque minuti per finire poi col ridere di gusto alla vista di montagne di pelo in controluce e un primo piano sfuggente di un volto degno di un King Kong dei poveri. La prima parte è inutilmente attendista, la seconda manca completamente di suspense.
Deludente horror targato Hammer film. Non basta stavolta neanche la presenza di Peter Cushing per risollevare una pellicola che ha nel copione e nella statica regia di Guest i difetti insormontabili. L'idea di non mostrare il mostro ma di suggerirne la presenza fisica con le ombre non era studiata male ma il ritmo altalenante della pellicola e la
prevedibilità di certe situazioni non giovano al film. Ottimi comunque Cushing e Forrest Tucker.
Le intenzioni buone c'erano, il soggetto poteva essere interessante, quasi una commistione di suggestioni alla Orizzonte perduto e creatures in fondo non così dissimili dagli alieni 'buoni' di Destinazione terra. Peccato che questi saporosi ingredianti siano stati mal assemblati e peggio cucinati: poca azione, inquadrature sbagliate, moltiplicazione sistematica dei tempi morti. Oltre a ciò, un doppiaggio inconsueto (con Peter Cushing doppiato da Arnoldo Foà e Forrest Tucker da Vittorio Sanipoli) non contribuisce certo a migliorare le cose.
Produzione a buon mercato targata Hammer. Agli scenari statici – le bianche cime himalayane sono economicamente ricreate in studio – e alla mancanza di azione è imputabile il limite principale della pellicola, che comunque ripiega con accortezza sui dialoghi, sull’aura mistica del Tibet e su una ridefinizione della figura dello yeti: non più un mostro sanguinario, ma una sorta di vecchio saggio dalle dimensioni gigantesche. Il cast si assorbe nei due protagonisti Tucker e Cushing: avventato cacciatore il primo, prudente scienziato il secondo.
MEMORABILE: L’allucinazione uditiva che ammonisce Cushing a desistere dall’impresa; il volto ieratico dell’uomo delle nevi.
Non male questo filmetto della Hammer con una buona idea di partenza e una buona atmosfera (bello il bianco e nero) che riesce a sopperire alla mancanza di effetti speciali (lo Yeti cercato dai protagonisti si vede solo di sfuggita verso la fine). Bravo come sempre Cushing, nel suo primo ruolo da studioso alla caccia di un "mostro", ma non è da meno nemmeno Tucker nella parte del classico uomo d'avventura senza scrupoli. Intelligente il finale; spesso prevedibile ma divertente, nel complesso.
Mediocre pellicola sullo Yeti, qui visto come una sorta di divinità in attesa...Purtroppo, manca di ritmo e il bestione è più che sfuggente (pochi fotogrammi e in penombra). Ma se non altro, i dialoghi sono passabili e, rispetto ad altri Yetimovie, qui almeno si è cercato di dare un perchè all'essere, protetto e venerato dagli abitanti dei villaggi (proprio il logorroico e seminazizzania tra coniugi capovillaggio che ospita Cushing e moglie è uno dei suoi fan più accaniti). Un'occhiata gliela si può dare, ma perderlo non costituisce di certo un reato.
MEMORABILE: I membri della spedizione, che non rappresentano un pericolo per lo sfuggente bestione, visto che cadono nelle loro stesse trappole.
Anche la leggenda dell'abominevole uomo delle nevi, cioè il mitico Yeti, non poteva non interessare qualche sceneggiatore e l'ambiente della Hammer production. Per la regia di Val Guest un film ambientato tra le millenarie nevi sottozero dell'Himalaya (in realtà ricreate in studio e girate sui Pirenei francesi), dove un gruppo di ricercatori senza scrupolo troverà lo Jeti (appena visibile negli ultimi 5') e anche la morte. La vera brutalità è nel genere umano e non nelle innocenti bestie himalayane (ammesso che esistano)...
Riuscite ricostruzioni himalayane in studio e sui Pirenei innevati, con un bianco e nero che rende l'idea del gelo. Sbagliata l'idea di mostrare al minimo lo yeti, cosa che contribuisce ad una certa staticità della trama. Presente il solito messaggio contro la malvagità umana, ma non ben sfruttato, in cui l'alternativa è un uomo delle nevi dal volto saggio in una contrapposizione tra Occidente capitalista e Nirvana buddista, con tanto di lama e tempio tibetano ben ricostruito con i pochi (ma funzionali) mezzi Hammer.
Discreto film della britannica Hammer che paga pegno per il budget risicato. Ambientazioni teatrali di cartapesta e pochi esterni. Gradevole comunque il b/n e tutta la trama in sé, con Cushing come sempre superbo (nei panni del ricercatore). Delude un po' lo yeti che, come da manuale nelle produzioni a basso budget, si vede poco e solo alla fine. Film comunque godibile, soprattutto in periodo natalizio...
L'ambientazione fra i ghiacci himalayani dona già un senso di mistero (in tal senso ricorda i luoghi claustrofobici de La cosa); il regista vi aggiunge intelligentemente un tocco esotico (il tempio buddista) in modo da far risaltare con più forza la follia dell'avventura occidentale; e la morale conseguente (l'uomo è un essere moralmente inferiore che può solo dominare o distruggere) è meno banale di quanto appaia. Guest mostra poco (e fa bene); peccato che la progressione narrativa a tratti ristagni non poco.
Non cugini alla lontana, primitivi e pelosi, dell'homo sapiens, ma specie superiore che solo per scelta saggia ha deciso di starsene per proprio conto sulle cime dell'Himalaya: è la tesi anti-antropocentrica di questo prodotto Hammer che tutto si affida alla suggestione, mostrando solo per indizi l'abominevole uomo del titolo, a parte un'apparizione nel finale. Prodotto in economia, quasi interamente girato in studio, ma con una discreta sceneggiatura ed un cast che conta due solidi attori come Cushing e Tucker: titolo non epocale, ma importante, fra i pochi dedicati alla figura della Yeti.
Più intelligente di quanto potrebbe sembrare di primo acchito. Si tratta di una bella favola ecologista, suggestiva e affascinante nonostante i mezzi piuttosto limitati. L'azione e la spettacolarizzazione sono ridotti all'osso (dello yeti scorgiamo ben poco), ma la lentezza del ritmo quasi non si avverte, grazie alla qualità dei dialoghi e a quel senso avvincente di mistero che la regia sapiente di Val Guest riesce a evocare. Belle le ricostruzioni del tempio tibetano e magnetica come sempre la presenza di Cushing. Finale poetico. Da vedere.
MEMORABILE: La mano dello yeti; La fatale caduta di uno degli avventurieri; Il Lama in stato di trance; La valanga; Lo scambio di sguardi fra Cushing e lo yeti.
Bisogna dare merito a Val Guest di riuscire ad arrabattarsi in qualche modo, avendo a disposizione un budget davvero risicato (e la cosa si nota assai). Il risultato finale comunque non riesce a convincere molto proprio a causa del suo "peccato originale". Cushing e Tucker s'impegnano, ma il loro sforzo non riesce a compensare del tutto le carenze di messa in scena (ma anche lo script non risulta molto avvincente). Guest comunque riesce a dare una certa vivacità e a suscitare un minimo d'interesse verso un prodotto che, in mano ad altri, avrebbe potuto risultare un fallimento totale.
Kneale e Val Guest muovono il loro yeti in un "territorio" cinematografico tra King Kong (la spedizione guidata da intenti piuttosto commerciali che scientifici) e La cosa da un altro mondo (l'ambientazione minacciosa e "atmosferica") donandogli di originale un mistico tocco zen (l'uomo "evolutivo" delle nevi). Le ingenuità sono inevitabilmente molte e la progressione narrativa conosce momenti di stanca, ma il film si mantiene sempre sobriamente interessante grazie alla scaltra regia che sa sempre quel che fa e alla consueta solidità di Cushing. Ipnotico il Lama di Arnold Marié.
Mentre si inerpicano sulle vette dell'Himalaya alla ricerca dello Yeti, discendono nell'inconscio, nel senso di colpa dell'uomo bianco colonizzatore, incapace di accettare il mistero e rispettarlo. La sceneggiatura di Kneale ribalta la prospettiva antropocentrica amplificando il sentimento arcano che permea tutto il film. Vincente l'idea di suggerire la fisionomia del mostro. Nonostante la monotonia dei paesaggi innevati, Guest rimane figurativamente interessante e mantiene alta la tensione. Cushing eccelle in un personaggio conflittuale. Tra le opere più filosofiche della Hammer.
MEMORABILE: Il tempio tibetano governato da un sinistro Lama, inquietante come un castello gotico; Le apparizioni dello Yeti; Il finale mistico.
Uno dei primi film dedicati alla leggendaria figura dello yeti, che la sceneggiatura di Nigel Kneale rappresenta non come una creatura mostruosa ma come un essere superiore la cui saggezza si contrappone alla volontà prevaricatrice dell'uomo. A fronte di un budget risicato (ma il villaggio e il tempio tibetani sono ben ricostruiti), Val guest riesce comunque a creare una buona tensione lavorando sulle allusioni e sfruttando al meglio i suggestivi paesaggi innevati. Cushing inaugura la sua galleria di ragionevoli uomini di scienza, Tucker è il tipico avventuriero con pochi scrupoli.
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Del racconto "The creature" di Nigel Kneale, ne era già stata realizzata una versione televisiva (dal titolo omonimo) che vedeva lo stesso Cushing nel ruolo John Rollason. Altri interpreti comuni ad entrambe le trasposizioni: Arnold Marlé (il Lama) and Wolfe Morris (Kusang)
Il dvd Pulp (durata: 1:26:24) presenta alcune scene in lingua originale senza doppiaggio e senza sottotitoli italiani. Potrebbero essere scene tagliate nelle versioni con durata inferiore.