Rassegna estiva:
Postatomica-L'estate italiana del dopobomba Soffocante e angoscioso kammerspiel sugli
ultimi bagliori di un crepuscolo, dove il clima di un possibile (e forse imminente) attacco nucleare è condotto da Montaldo (che torna al cinema dopo lo sceneggiato Rai su
Marco Polo) con cipiglio ansiogeno e con una regia chirurgica e realistica, dal respiro fantascientifico/pandemico, dove l'autore di
Giordano Bruno si concede pure uscite da cinema di genere alla
Dèmoni (il panico che si propaga all'esterno del bunker, per le strade della città, guarda tu il caso tedesca).
Nella rassegna è sicuramente il film più ad alto budget (Franco Cristaldi alla produzione con quote straniere, con di mezzo mamma Rai), cast tecnico di prim'ordine : Armando Nannuzzi illumima, Ennio Morricone musica (che in un momento clou, forse il più inquieto, quando i 15 "sopravvissuti" indossano maschera antigas e tuta protettiva e Zeudi Araya ha una crisi di claustrofobia, il compositore ritira fuori le note della
Cosa) e Ruggero Mastroianni assembla.
Questo non toglie al film quell'aurea da perfetto "post apocalittico" con tutte le tematiche care al (de)genere (l'atmosfera apocalittica dell'insieme, l'organizzazione per una possibile sopravvivenza, la paura tangibile dell'olocausto nucleare, l'attacco con missili a testata atomica che diventa realtà, la legge del più forte, il panico che prende il sopravvento), chiuso nelle mura protettive di uno stabile antiatomico dove monta, a poco a poco, la tensione, le imcomprensioni e soprattutto la paura.
Un televisore che, poco prima, aveva trasmesso
Amarcord , diventa ricettacolo di menagramo con catastrofiche notizie
romeriane, con l'ecatombe prossima ventura che, in questo caso, non solo fa pensare ma mette anche paura e con almeno una parentesi di partecipazione emotiva quasi insostenibile (al pari di quella dell'invasata religiosa di
The mist): fuori dal bunker, che può ospitare un massimo di 15 persone, scoppia il kaos, la gente disperata vuole entrare (tra cui donne e bambini), il gruppo si divide in due fazioni: i soliti buonisti che vorrebbero correre il rischio e farli entrare per salvarli (capitanati da Ben Gazzara) e quelli più conservatori, consapevoli del pericolo e raziocinanti (capitanati da Erland Josephson) che optano per una scelta sì crudele, ma nonostante tutto necessaria per non sovraffolare il bunker (per la cronaca io stavo dalla parte di Josephson).
Etica e scelte drastiche mentre il mondo, fuori, va allo scatafascio, su cui Montaldo riesce a calare lo spettatore in una dimensione di apprensione e riflessione, non dimenticando la spettacolarità puramente cinematografica (e, in parte, del suo cinema: la passione per le donne di colore come in
Tempo di uccidere o le armi in mano a borghesi che si mutano in pericolose mine vaganti
Il giocattolo)
Nel mezzo del cammin del the day after escono sprazzi notevoli: la morbosa nottata dove un sudaticcio (e cornuto) Josephson spia sua moglie (la bellissima e cinica Cyrielle Clair) fare all'amore con il bello e dannato di Andrea Occhipinti, lo scatenato ballo "lolitesco" di Lavinia Segurini che fa ingrifare alcuni maschietti e di contro si becca uno schiaffone dalla stizzita Clair (
sfacciata puttanella), la temperatura che aumenta fino a toccare i 43 gradi, la corsa per prendere i fucili mitragliatori, il panico che si estende dopo la terribile notizia dell'attacco, Zeudi Araya che drasticamente sceglie di tagliarsi le vene come la Cindy Leadbetter del matteiano
Rats.
Cast in palla (svettano la Clair e Josephson), con Flavio Bucci che fa il mago Silvan e le caraterizzazioni dei personaggi ben delineate e psicologicamente credibili.
Peccato che, alla sua uscita nei cinema (visto censura del marzo del 1987, ma la rivista
Ciak lo recensiva, negativamente, nel maggio del 1987) fu un mezzo disastro al botteghino e sia praticamente stato snobbato un pò ovunque (tarda anche la messa in onda televisiva), perchè è un opera che coinvolge, che fa riflettere, che anticipa le coordinate del futuro
Grande fratello televisivo e che trasuda del miglior teatro della crudeltà.
Forse il finale poteva essere più cattivo e senza speranza, ma lo sguardo in macchina di Burt Lancaster (che oltrepassa la quarta parete) mette parecchi dubbi e poche certezze.