Brooks ultimo atto, che getta una luce rancida sulla ludopatia che afflige la metà degli americani (a Brooks venne l'idea del film dopo aver passato un week end a Las Vegas).
Indeciso tra dramma e commedia (ma prevale quest'ultima), e parzialmente manomesso dalla MGM (il finale pensato da Brooks era ben più pessimista del brutto happy che chiude il film), l'ultimo film di uno dei vecchi leoni di Hollywood è un confusionario e scombiccherato viaggio tra slot machine, tavoli da gioco, jackpot, roulette, couprier, corse di cavalli, partite di football e su tutto quello in cui si può scommettere, che, alla fine, annoia per la sua ridondanza sotto le luci scintillanti di Las Vegas, perchè il troppo, poi, stroppia.
O'Neal scommette su ogni cosa, invasato com'è dal demone del gioco, accumulando debiti su debiti, fino a toccare quota 89 mila dollari, con creditori alle calcagna, inventadosi qualsiasi cosa pur di procurarsi i soldi (la rapina al rivenditore di auto usate, dove O'Neal si reca per vendere la sua jeep e si ritrova nel bel mezzo di una sparatoria tra i rapinatori e la polizia), e il film, alla fine, gira e rigira solo su O'Neal che si addentra sempre di più nella ludopatia (c'ha pure una crisi d'astinenza quando tenta di smettere) che alla lunga finisce per stancare nella sua monotonia.
Brooks non dice nulla di nuovo (e lo fa anche un pò convenzionalmente), e dall'autore di
In cerca di Mr.Goodbar ci si aspettava qualcosa di più sinceramente, che non il solito film ambientato nella casa dei giochi, perdipiù con un loffio finale buonista (anche se imposto dalla produzione).
Qua e là affiora la mano brooksiana (il terribile incidente d'auto notturno della moglie di O'Neal, il vecchio che cerca dsperatamente,a terra, il biglietto vincente, la provocante milfona che vince tutto al tavolo da gioco e se la ride alla faccia di O'Neal, la guarigione di O'Neal e il suo discorso, sul pulpito, con alle spalle una croce luminosa stile
Il figlio di Giuda, il sicario che spezza a calci le gambe a O'Neal come veniva pestato Paul Newman nel finale di
La dolce ala della giovinezza), ma sono solo flebili momenti, e si arriccia un pò il naso quando si vede lo scagnozzo Panama (un sempre grandioso William Smith) che gira con un collare mascellare e si muove come
Robocop per uccidere O'Neal, in una pantomima comicarola degna del peggior action movie.
Giancarlo Giannini sopra tutti (il "diabolico" e raffinato giocatore miliardario e mafioso), mentre O'Neal (che assomiglia vagamente a Richard Brooks, soprattutto quando stà alla macchina da scrivere) gira per tutto il film con quell'aria da cane bastonato, che passa a umiliarsi per chiedere in prestito i soldi per giocare (lo schiaffo che le ammolla la Hicks dopo che lui le dice "ti amo" solo per farsi prestare cento miseri dollari) fino a frequentare un'anonima giocatori per uscire dal giro vizioso dei tavoli verdi.
Campioni di rugby da corrompere, un soldatino che tenta il suicidio nei bagni, una figlia ben più sveglia del papà, vecchiette che svengono quando vincono alle slot e la luminescenza dei dadi tra le dita di O'Neil nell'ultima giocata che sistemerà le cose.
Un Brooks poco memorabile, salvato in parte dalla fotografia di William Fraker, dall'istrionismo di Giannini e da alcuni momenti inaspettati (l'incidente), ma ben lontano dal Brooks (anche ludico, vedi
Il genio della rapina) che abbiamo imparato a conoscere e amare e a poco servono pure le tirate "cinefile" (O'Neal dolorante alle gambe che si guarda in tv
Mezzogiorno di fuoco).
Curioso come Brooks chiuda la sua carriera registica con un film sul gioco, proprio come aveva fatto tre anni prima Don Siegel, ma se Siegel ancora riusciva a divertire lasciando tracce del suo miglior cinema, Brooks pare più stanco e molto meno incisivo.