Se la storia è simile a un melodrammone vecchi tempi (ma siamo pur sempre nel ’27), dal punto di vista della tecnica il film è avanti anni luce rispetto al periodo in cui fu girato. L’incipit già stupisce e stordisce con le meraviglie registiche che Murnau dissemina poi per tutta la pellicola, regalando allo spettatore svariate leccornìe visive, impreziosite da un eccellente fotografia. Le emozioni maggiori le regalano parte iniziale e finale, mentre quella centrale (pur bella) ha qualche minuscolo calo. La Livingstone può essere considerata la prima femme fatale della storia del cinema.
Donna cittadina seduce giovane campagnolo convincendolo a uccidere la moglie e fuggire con lei. Melodrammone dai sentimenti intensi, condotto con sublime maestria. Anzitutto eccellente sceneggiatura che dosa con bravura romanticismo, tragedia, spettacolarità e umorismo, trasformando il film in una "commedia umana" a 360 gradi. Poi Murnau, coadiuvato da un ottimo cast, si rivela grandissimo nella concezione delle immagini, nelle invenzioni teniche e nella capacità di mettere in ogni momento quella sensibilità in più che affascina e incanta.
Murnau riesce nel suo più grande intento: creare un linguaggio cinematografico universale, in cui le immagini sostituiscono le parole e superano le barriere linguistiche, tanto che, come ci viene ricordato all'inizio del film "è una canzone che potreste sentire ovunque, in qualsiasi tempo". Il comico, il drammatico, il sentimentale e il tragico si uniscono meravigliosamente e i personaggi assurgono a veri e propri simboli umani. Avere più di 80 anni e non dimostrarli...
MEMORABILE: La seduzione attuata dalla perfida Donna di Città.
Capolavoro mancato, per poco. Dico "mancato" per quel finale che rovina parzialmente le eccezionali sequenze che lo precedono (chi ha visto il film sa a cosa mi riferisco). Nella conclusione si poteva spingere sul tragico, sul beffardo, invece che puntare sui buoni sentimenti. Per il resto: eccelsa la regia e fenomenale il montaggio; ottima anche la fotografia. Comunque sia e a buona ragione, nella storia del cinema.
Prima opera hollywoodiana di Murnau, premiato con ben tre statuette alla primissima edizione degli Oscar, si avvale del talento espressivo dei suoi protagonisti, fluidità narrativa e novità tecnologiche. Il dolce volto di Janet Gaynor resta immutabile e memorabile nella storia del cinema e nel ricordo dello spettatore.
Protagonista la donna. La donna emancipata, elegante e senza scrupoli, la donna di città e la donna buona moglie e madre, raffigurata come donna di campagna. L'uomo diventa lui, l'oggetto conteso da una e l'uomo della sua vita per l'altra. Grande metafora dell'essere umano e della vita. Lo spostamento tra la serena tranquillità della campagna e le attrazioni della città, è la necessaria conoscenza per poter scegliere deliberatamente, la natura è l'imprevisto. Grande tecnica e innovazione nel muovere la MDP e nel gestire le luci.
MEMORABILE: È l'amore che riesce anche a bloccare il traffico impazzito della città. Le spalline che cadono continuamente, ma si possono solo sollevare.
Primo film con una colonna sonora originale, Aurora è uno dei bianco e nero più maestosi della storia. Murnau dirige una favoletta morale a tratti maligna a tratti troppo imbevuta di buoni sentimenti, ma sempre affascinante visivamente e portata avanti da due ottimi interpreti. Soprattutto la Gaynor è deliziosa nel suo essere povera ragazza di campagna che rischia di fare una brutta fine, ma anche O'Brien è un bruto, tutto sommato, tenero. Fotografia eccellente, drammatica colonna sonora e flop di pubblico... ormai volevano tutti il sonoro!
MEMORABILE: Il marito viene tormentato dai suggerimenti dell'amante; la gita in città dei due piccioncini; i maialini scappano ovunque.
Uno di quei capolavori che oggi può essere assaporato solo con l'occhio critico di chi ama "leggere" dalle immagini. I volti dei protagonisti e la dolcezza della Gaynor rimangono impressi, la storia invece rimane un classico del melodramma che non presenta picchi di interesse, ma le immagini e le interpertazioni colmano la mancanza. Da vedere.
L'opera di Murnau propone una trama affascinante che mescola personaggi senza nome, luoghi e il modus vivendi del presente di allora. Il regista è un genio della macchina che, attraverso un montaggio sorprendente, dimostra quanto abbia innovato e progredito l'idea di fare cinema. Il tema è contornato di tradimenti e rimorsi, vita di campagna e vita di città, insomma odio e amore che cercano riflessione e giustizia in una società in forte sviluppo e sempre più divisa. Janet Gaynor si adatta in maniera perfetta al ruolo.
Comunque si veda il cinema, Sunrise è un inequivocabile paradigma per chi ad esso pensi come settima arte. Murnau “capitalizza” i soldi della produzione hollywoodiana edificando un caleidoscopico capolavoro di poesia e tecnica, che non ha timore di macinar registri (thriller, melò, commedia sentimentale), inquietando ancora oggi per la ontologica plasticità come per la sua semplice compattezza. Se Janet Gaynor è uno scricciolo di rara potenza espressiva, unico neo si può rintracciare nella talora affettata recitazione di George O’Brien. Straordinario!
MEMORABILE: L’uomo e la donna che lasciano la chiesa lanciandosi gioiosi e incuranti nella folla metropolitana di gente e automobili.
Esempio assoluto di melodramma a tinte forti. Epocale, paradigmatico, visionario, intenso, potentissima forza di immagini atte a raccontare i sentimenti e le psicologie attraverso sequenze di pura suggestione, dissolvenze, sovrapposizioni, ricordi tentatori che (ri)appaiono come fantasmi. L’avvicendamento Donna di città e Donna di campagna è la metafora di due mondi (società) agli antipodi in cui l’Uomo, tragicamente, dovrà giungere a una scelta, con la natura e il destino elementi imprevedibili. Ma l’aurora riscalderà un domani lucente.
MEMORABILE: La Livingston che appare come uno spettro tra le braccia di O’Brien; La riproposizione dell’omicidio; La panoramica sovrapposta sul luna park.
Una bellissima favola. Non servono le parole (il film è del 1927 e è muto), bastano le immagini, le musiche, i colpi di scena e i sentimenti per far girare e rendere indimenticabile questa pellicola. Due amanti clandestini si incontrano al chiaro di luna e sognano di commettere l'omicidio perfetto. Ma l'uomo è pronto a uccidere la sua dolce e giovane moglie, vendere la sua fattoria e trasferirsi in una vita più eccitante in città con la sua amante? La risposta sta nella visione di questa perfetta favola in bianco e nero. Consigliatissimo.
MEMORABILE: "Questa canzone di un Uomo e di sua Moglie è di nessun luogo e di ogni luogo; La si può ascoltare ovunque, in ogni momento".
Classicone lontano dalla perfezione di cui si legge in giro (troppo sbilanciato sulla parte centrale da commedia, peraltro la più povera di contenuti) ma sorprendente sia per maturità registica (sorpresa relativa, vista la firma) che per l'andamento non scontato e difficilmente prevedibile, col dramma uxoricida che sfocia nella commedia e poi ancora in altro, il tutto in un arco temporale ristretto che fa un po' Fuori orario e un po' Playtime. La mistress, tipica "bellezza" anni '20, risulta il vertice più opaco del triangolo sentimentale.
Una storia di rara semplicità a cui le definizioni di "melodramma" o "drammatico" vanno strette: siamo nel campo della fiaba a lieto fine, ma dal sottofondo plumbeo. La parte centrale a ritmo di commedia (quasi da two reels hollywoodiano) serve a far risaltare inizio ed epilogo, speculari e altamente simbolici (la barca come metafora della morte). Ciò che più impressiona, tuttavia, è la modernità della messa in scena (il plenilunio) e la limpida fluidità dell'incedere che mai reclama didascalie poiché riecheggia temi universali ed eterni.
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Altro grandissimo lavoro di Murnau che, come già accaduto in passato, dimostra tutto il suo talento visivo grazie anche al contributo della splendida fotografia di Karl Struss e Robert Rosher. Decisamente avanti rispetto ai tempi in cui fu girato, si ricorda anche per le belle interpretazioni degli attori (in particolare quella della Livingstone, che può essere considerata una delle prime femme fatale della storia del cinema).
Se la storia è simile a un melodrammone vecchi tempi (ma siamo pur sempre nel ’27), dal punto di vista della tecnica il film è avanti anni luce rispetto al periodo in cui fu girato. L’incipit già stupisce e stordisce con le meraviglie registiche che Murnau dissemina poi per tutta la pellicola, regalando allo spettatore svariate leccornìe visive, impreziosite da un eccellente fotografia. Le emozioni maggiori le regalano parte iniziale e finale, mentre quella centrale (pur bella) ha qualche calo. La Livingstone può essere considerata la prima femme fatale della storia del cinema.
Il Maestro Zender ha provveduto a sostituirlo
in tempi più che celeri e quindi meritevoli di lodi sperticate :)