Un contadino ritorna dopo tanti anni di espatrio in Sicilia e lotta contro la mafia. Lo elimineranno. Tutto sommato è una buona opera, anche se i Taviani non mi hanno mai entusiasmato. Ma c'è Volontè che ci pensa a trasformare questo film mediocre in buono. Comunque da vedere.
Film che racconta la vera storia di un siciliano che ritorna a casa dopo anni per sconfiggere la mafia. Rimarrà deluso e ne farà le spese. I propositi sono buoni, ma la lentezza di molte scene fanno cadere il film nella noia. Forse uno dei minor film di Volontè, anche se lui è sempre lui...
Un uomo torna in Sicilia dopo molto tempo e tenta di richiamare i compagni per una lotta concreta contro la mafia. Una mafia rappresentata da un piccolo boss proprietario di estese terre. Un po' distaccato dalla realtà, in quanto i pensieri e gli ideali si allontanano da quegli uomini che senza coraggio si differenziano dai comportamenti portati avanti dal protagonista. Teatrale e drammatico e un Volontè, come sempre, sopra le righe.
MEMORABILE: "Se uccidi me e come se uccidessi il Cristo" (affascinante metafora)
Lotta contro la mafia e il latifondo, passa al loro servizio ma poi li sfida identificandosi con Cristo. L'impegno politico del film è soprattutto nella descrizione del contesto di trasformazione siciliana dalla mafia terriera a quella degli appalti con conseguente spiazzamento delle lotte sindacali. In realtà cuore dell'opera è la figura complessa e ambigua inventata dagli autori, in cui si sovrappongono tensione civile, turbamenti psicologici, ambizione. Belli i duri paesaggi siciliani. Poco fluida la narrazione.
Ottimo esordio dei fratelli Taviani che dirigono (affiancati da Orsini) un bel film ispirato alla figura del sindacalista siciliano Salvatore Carnevale, dando così subito
spazio al loro impegno civile ed a contenuti che saranno poi spesso alla base delle loro opere. Cinema già maturo ed interessante, sia tematicamente sia stilisticamente e
che ha anche il pregio di essere godibile. Volontè era già attore di razza.
MEMORABILE: Verso la fine del film Salvatore dice: "Sento che c'è bisogno di me, della mia morte".
C'è una buona fotografia, paesaggi di Sicilia, case e figure umane ben ripresi in b/n. Grandangoli su masse umane che si spostano su terreni ripresi dall'alto. L'argomento è anche interessante, mafia locale, potere con tutti i mezzi (usando pure le mogli), lavoratori, sindacati, finestre aperte e chiuse. Gli interpreti sono all'altezza, siciliani e non. Volontè, protagonista, risente della frammentarietà del lavoro, per cui la sua recitazione risulta un po' schizofrenica, seguendo l'insieme delle scene che a fatica legano tra di loro. Di maniera.
Tutt'altro che valida quest'opera prima dei fratelli Taviani incentrata su un protagonista plateale e inconcludente, che fa la fine del pelandrone e del fanfarone. Figurati se uno vuole aver la pretesa di fare il termometro della situazione e sfidare la mafia irridendola e facendo baccano... Viene irriso a sua volta perfino da sua madre! Quasi più simpatici i mafiosi, specie Don Carmelo e il nipote pugile, vista la cattura che subisce. Fa sghignazzare la battuta sul cornuto, che in Sicilia anche oggi è offensiva mentre a Nord lascia indifferenti.
MEMORABILE: Da salvare l'ululato e la scena d'amore con la Malfatti, sempre assoluta fuoriclasse anche nelle apparizioni.
Affiancati da Orsini, i fratelli Taviani debuttano alla regia con un film di denuncia ispirato al sindacalista Salvatore Carnevale. Ottimo nella resa ambientale, con i suoi paesaggi siciliani desolati e aspri, fallisce invece nel suscitare quella sincera indignazione che, visto l'argomento trattato (contrapposizione tra la mafia del latifondo e i contadini che vorrebbero occupare le terre), sarebbe stato lecito attendersi. Volonté bravo, anche se in seguito lo sarà ancora di più, e cast di contorno all'altezza.
Solida storia di socialismo e mafia, coeva del Mafioso di Lattuada. Il premio critica a Venezia valse per l'impressione che suscitò uno dei primi film centrati sul volto non più banditesco quanto imprenditoriale di Cosa nostra. Già di statura Volontè cui fa da contralto morale Turi Ferro, compassato padrino. L'occupazione contadina è ricorsiva del periodo (l'anno prima trattato da Castellani ne Il brigante) ma viene potenziata dalla sagacia autoriale di Orsini e dei Taviani, esordienti senza titubanze aiutati dalle rasoiate in b/n di Antonio Secchi.
Sindacalista torna in Sicilia per contrastare la mafia. Esordio dei Taviani in un film più politico che territoriale. Il primo tempo è il migliore in quanto le vicende dei latifondi si sposano con lo stile registico e il bianco e nero dà profondità alle condizioni lavorative. Nel prosieguo la figura di Volontè diviene scespiriana assumendo connotazioni poco realistiche; l'immedesimazione nel Cristo ha poco a che fare con le fucilate. Il personaggio più coerente è quello della Perego.
MEMORABILE: L'ululato; Il passaggio agli appalti delle cave.
Reperto archeologico italiano ineguagliabile. Le lotte di Salvatore Carnevale in Sicilia nel fior fiore della carestia, la disperazione sbraitata con l'accento feroce. Il protagonista è ombroso, profondo, testardo, un soggetto adatto per la regia che si cura dell'introspezione generale lavorando con precisione nell'alternare luci e ombre. Le ambientazioni sono luoghi caratteristici della Sicilia antica nei quali vengono testimoniati i fatti realmente accaduti, dalla desolata campagna dove avviene l'occupazione del feudo al teatro dove l'incompreso Salvatore dichiara il No alla mafia.
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