Lurie sposta l'asse dalla poco ospitale Cornovaglia all'afosa e umidiccia Lousiana dei "bifolchi" Stati Uniti del sud (tutti caccia e chiesa, machismo e tradizioni sudiste. Non solo la caccia, ma anche il sermone del reverendo in chiesa da sciropparsi e la partita di football del venerdì sera) e la sostanza non cambia, seguendo passo passo le tracce del capolavoro dello zio Sam.
Lurie rende tributo al primo film non western del "regista della violenza", e riprende anche i momenti salienti (il 1943 cancellato da Amy sulla lavagna di David , per scrivere 1944-in Peckinpah erano le equazioni matematiche di David sulla lavagna, cancellate e modificate da Amy-, il latte del gatto impiccato) non discostandosi molto dal modello.
Vero è che l'Inghilterra trateggiata dallo zio Sam era più cupa e angosciante, così come la violenza rude e selvaggia (lo stupro di Amy che si mutava in piacere nelle espressioni della George) che il contesto settantiano in piena guerra del Vietnam favoreggiava e vero che Lurie si adagia su stilemi collaudati e da al suo film un look "wasp" ripulito dalla laidezza degli indigeni della terra d'Albione ( e dalla carnalità sfrontata della George), ma altresì vero che, nonostante la storia sia risaputa e si sà già come andrà a finire, la tensione tiene botta e l'emotività rimane quasi inalterata , aumentando minuto per minuto , con, in mezzo, un momento straordinario ( David portato a caccia dai redneck e lasciato da solo in mezzo ai boschi nebbiosi, a tu per tu con il cervo, mentre il capo clan fa visita-poco gradita- a Amy, quasi meglio della situazione originaria peckinpahniana, almeno in questo frangente, dove la fotografia di Alik Sakharov dispensa suggestioni ataviche, sino al montaggio alternato della violazione di Amy da parte di Charlie e David che uccide il cervo sacro).
La Amy della Bosworth sbatte i suoi piedini in faccia a David, fa jogging a piedini nudi sudando, sudando talmente che le si vedono i capezzoli attraverso la striminzita canotta che poco lascia spazio all'immaginazione (alimentando la libido degli operai già di per sè cafonissimi e infoiati) è meno capricciosa della Amy della George, ma anche meno sfacciata e, all'occorenza, saprà imbracciare il fucile come nel più classico dei rape & revenge.
Partita di football a parte, le regole non cambiano, e nel sanguinario e furioso finale ritornano i massacri peckinphaniani (l'olio bollente, la tagliola, il piede spappolato con una fucilata, imprigionato nella finestra, con ex novo della sparachiodi-
Spero che ti tagli la gola-e il classico e proverbiale
Oddio, gli ho fatti fuori tutti con un più comune
Gli ho ammazzati), sino alla chiusa apocalittica di roghi infuocati e fiamme purificatrici.
Janice in tenuta da cheerleader che zoccoleggia con il ritardato Jeremy, l'osso che esce dal braccio di Jeremy dopo l'impatto con l'auto di David (particolare gory omesso nell'originale), il bellissimo e lancinante incipit di caccia con il cervo morente, un James Woods rissoso e invasato dalla giustizia sommaria, la canzonetta country del sud (se non ricordo male nell'originale era una composizione musicale di cornamuse) messa sul piatto, le tirate sul cinema della violenza (non siamo più nell'epoca dell'estetica della morte alla
Mucchio selvaggio, ma in quella dei
Saw, come dice uno degli operai cafoni a David, che si prende libertà domiciliari ben poco educate), e i notevoli e dolorosi flashback dello stupro di Amy, contrapposti alla partita di football durante gli scontri fisici dei giocatori.
Un restyling appassionato e appassionante , che cambia poco o nulla rispetto all'originale (un pò come farà Kimberly Peirce con quello di
Carrie), ma pervaso da una "carnalità" sanguigna e viscerale (anche se Lurie non mostra le tette della Bosworth quando, irriverente e insolente, si mette davanti alla finestra mostrandosi agli operai che lavorano sul tetto del fienile), che tiene saldi allo schermo fino alla mattanza conclusiva (con qualche guizzo registico pseudoargentiano, come l'uccisione dello sceriffo visto da David dallo spioncino della porta), tra scivolate nelle vischiose pozze di sangue, mani inchiodate e terribile fucilate (ottimo il contributo di Gary J. Tunnicliffe).
Buoni i dialoghi tra David (Mardsen è una soddisfacente fotocopia del David dustinhoffmaniano) e Amy (soprattutto quello riguardante la provocazione sessuale che la ragazza ostenta continuamente ai belluini machi del posto) e , nel quartetto di rozzi paesani "molestatori", c'è pure un tipo (quello che finirà inchiodato che manco
Venerdi 13) che assomiglia spiccicato a Enzo Salvi (!) (mi aspettavo che dicesse, dà un momento all'altro,
Mamma mia commmme stò, comunque, per me, era lui).
Altro remake messo in saccoccia, e altro rifacimento (di uno dei miei film seminali, per di più) che mantiene l'atmosfera, l'intensità della narrazione, l'ansia e il nervosismo dell'opera originaria, riportando fedelmente sullo schermo quell'acre sapore sanguigno dell'occhio per occhio raccontato cinquantanni fa dallo zio Sam.
Curioso, poi, il differente riferimento ai "Cani di paglia" rispetto all'originale, in Peckinpah ero lo stesso Hoffman "cane di paglia" che prendeva fuoco se provocato sino allo spasimo, in Lurie gli stessi abitanti del posto sono i "cani di paglia", offerti alle divinità e gettati via causa inutilizzo.
Rinnovamento 2.0 ( o nuova versione che dir si voglia) approvato, con buona pace dell'amatissimo zio Sam.