Con The lost questo è il film che ridefinisce l'orrore quotidiano insito nella provincia americana. Non a caso entrambi sono imbastiti su una novella di Jack Ketchum, l'unico scrittore ad aver contaminato l'epica da frontiera di McCarhty con la spietata lezione delle primissime opere di Stephen King. La storia è di quelle essenziali, brutali, le migliori: viziato rampollo di un clan che ricorda da vicino quello patriarcale dei Bush uccide il cane di un veterano che pretenderà giustizia. L'affresco pisicologo è accurato, i dialoghi realistici.
Di nuovo soprusi gratuiti sulle sponde di un lago edenico. Di nuovo tale padre tale figlio e ogni scarrafone è bello a mamma sua. Data la giustizia divina ritardataria, e quella burocratica pavida, fuoco alle polveri di quella umana: visto che con le buone non funziona e con le cattive si ottiene il 2 di ripicche, il prozio di Harry Brown, esaurita ogni scorta di pazienza, ricorre alle pessime, annunciate da un altro cane, messaggero di Dio (Dog vedi caso palindromo di God) e dagli egizi a noi caronte per l'Ade. Dal vangelo secondo Ketchum, un solido dramma sorretto da un cast pieno di grazia.
Ex soldato, con una tragedia familiare alle spalle di quelle che fanno tabula rara, Cox è un uomo testardo che crede ancora nella giustizia. Ed infatti, quando tre ragazzi del paese gli ammazzano il cane per un atto di stupidità crudele, non cerca vendetta, ma "solo" giustizia, peccato sia proprio la cosa più difficile da ottenere e, quando nonostante tutto l'avrà in qualche modo ottenuta, sarà amarissima. Un altro tassello dell'affresco ketchumiano, con qualche pecca nella sceneggiatura ma nobilitato dalla prova superlativa di Cox: Ave, Brian!
MEMORABILE: Il monologo con cui Cox rievoca i fatti che hanno portato alla morte della moglie
Gli attori sono scelti e utilizzati bene, ma quello che dona al film molto del suo sapore è la massiccia prova di Brian Cox, la sua determinazione quasi orientale nel volere giustizia. Nella trama non tutte convince: non mancano passaggi schematici, Ave Ludlow è un filino troppo "in forma" per la sua età e lo stesso finale l'avrei diluito meglio. Ma rimane un film estremamente godibile, che non fa sconti alle responsabilità genitoriali (roba impensabile per noi latini) e che sguazza bene nel malsano di provincia.
Quanto costa un semplice atto di giustizia? Lo stupido e crudele rampollo di un arrogante e ricco tamarro di provincia uccide per divertimento l'amato cane del vecchio e tormentato Ave, che chiederà e cercherà una difficile riparazione morale. Red è il nome del cane, ma è anche il rosso sangue che - suo malgrado - l'anziano ex soldato scatenerà verso gli aguzzini, che scopriranno quanto può essere letale un uomo che non ha niente da perdere. Film solido, essenziale e ben recitato.
I primi dieci minuti ti assestano subito un gran bel pugno nello stomaco. Detto questo la storia si sviluppa tutta intorno alla ricerca di giustizia del protagonista (un ispiratissimo Brian Cox). Impossibile non essere dalla sua parte, anche perché si trova di fronte a una famiglia fastidiosa e capeggiata da un padre odioso e senza scrupoli. In definitiva il prodotto è molto ben confezionato, tant'è vero che riesce a supplire a una sceneggiatura molto semplice e lineare attraverso la trasmissione di emozioni molto forti.
Altra storia di dolore e sofferenza nella cinica provincia americana, dove la dignità e l'orgoglio, a quanto pare, hanno un prezzo carissimo. Avery, uomo coraggioso che cerca solo giustizia in un mondo che l'ha persa. Durissima accusa al sistema amministrativo a stelle e strisce, che sottolinea l'ottusa e assurda facilità nell'acquistare armi da fuoco; e altra stoccata al falso perbenismo dei valori tramandati alle nuove generazioni. Ketchum ci dice che il futuro non è dei più rosei e Diesen/McKee lo mettono in scena in modalità convincenti.
Quanti revenge movie abbiamo visto con il protagonista che si vuol vendicare di un torto facendosi giustizia per conto proprio? In questo film a fare la differenza sono l’ottima regia e soprattutto l’intensa, partecipata, toccante interpretazione di un meraviglioso Brian Cox (doppiato superbamente da Dario Penne), capace di dare spessore a un personaggio altrimenti stereotipato. L’inizio è di quelli che non lasciano indifferenti, per cinismo e crudeltà; qualche cedimento nella parte centrale, ma nel complesso convince e avvince.
Rispetto ad altri film che sfruttano il filone della vendetta questo si segnala per la forte impronta realistica. Il protagonista infatti è ben caratterizzato non tanto per quello che fa, ma perché in ogni cosa che fa c'è una logica che segue una normale escalation di azioni. Girato chiaramente a basso costo, è in larga parte aiutato dall'ottima performance di Cox, che cattura fin da subito per introspezione e veridicità. Regia di routine, sceneggiatura invece ben sviluppata. Buono.
In un'America dimenticata da Dio vive un pensionato, rimasto solo dopo la tragica perdita di moglie e figli e del suo cane. Il tutto scorre tranquillamente fino a quando tre ragazzini per gioco gli ammazzano il cane; da qui comincia la lunga vendetta del protagonista. Trattasi di un revenge movie diverso dal solito: la vendetta infatti è cercata non attraverso la violenza e il sangue ma attraverso la giustizia e la legge che però è ceca nei confronti dei potenti. La trama scorre piuttosto lentamente fino allo scoppiettante finale. Bello!
La provincia è quella dei Coen; le figure quelle di un Lynch loachizzato. L'animalità a far da bilico fra una giustizia inconseguibile e una vendetta impraticabile. Lo stile secco, pulito, quasi televisivo scelto dagli autori infonde all'opera una pregnanza naturalistica serena e posata, intensificandone antropologicamente gli umori più irosi e amaricanti. Cox vi aderisce nel migliore dei modi: un samovar contenutissimo di rabbia, dolore e ritegno, con l'impressione di esser sempre lì lì per esplodere ma che nella sua ferrea misura umana ebolle al dunque solo un forte senso di salda moralità.
MEMORABILE: La carogna sventrata del cane assassinato...
L'accoppiata Ketchum/McKee sforna un dramma molto lontano dagli stilemi iperviolenti legati al nome dello scrittore. Anche se di violenza ce n'è (l'uccisione a sangue freddo di Red è sconvolgente), l'approccio è molto diverso dallo standard dei film sulla vendetta. L'ottimo Brian Cox non va in cerca di una rivincita bronsoniana: lui vuole giustizia e cerca di ottenerla con tenacia e diplomazia. L'estrema lentezza del tutto è compensata da ottimi dialoghi e da un finale nero, sanguinario ma per niente exploitativo. A tratti noiosetto, ma valido.
MEMORABILE: La rabbia che suscitano i teppisti e i loro famigliari; Cox presenta la carcassa di Red a casa di uno degli aguzzini; Lo scontro conclusivo.
La pervicacia per ottenere giustizia o almeno riconoscimento della verità: è questo che guida l’anziano solitario a cui era rimasto un cane, ucciso per scherzo da tre teppistelli figli di papà (ricco). Film bello, rigoroso sull’affermazione del diritto; direi poco “americano” per lo sviluppo narrativo e una gestione rispettosa e profonda di dialoghi e silenzi. E se le figure dei giovincelli sono forse stereotipate, lo studio psicologico sul protagonista (un notevole Cox) ripaga abbondantemente. Merita la visione.
Un atto di crudeltà gratuita nei confronti del cane Red induce il suo padrone, ex militare con alle spalle più che tragici eventi familiari, a ottenere dal responsabile e dalla famiglia almeno un'ammissione di colpevolezza e di pentimento; ma le cose andranno assai diversamente. Un dramma molto sbilanciato nei presupposti e nello svolgimento, con non poche incongruenze e inutili divagazioni (la giornalista, lo scoop) dal messaggio quantomeno equivoco sul concetto di giustizia personalistica. Regia di mestiere, vale la visione quasi soltanto per l'intensa prova "psicologica" di Cox.
La giustizia umana è veramente uguale per tutti? O è dalla parte di chi può permettersi un avvocato coi fiocchi? Un uomo abbattuto dalle vicissitudini della vita subisce un attentato da un gruppetto di teppistelli arroganti e la vittima sarà il suo vecchio cane, Red. Un “revenge movie” con qualcosa di più, cioè una storia ben articolata, ma penalizzato da un ritmo decisamente televisivo e una sceneggiatura non all’altezza del progetto. E così si arriva alla fine con la sensazione che manchi qualcos’altro all’ appello.
Non ci si aspetti un altro John Wick. Un'assolutamente detestabile famiglia ricca si mette d'impegno per far scattare la scintilla della violenza vendicativa nel Nostro ex militare privato del suo fedele amico, ma lui vorrebbe "solamente" giustizia... e questo gli porterà parecchie complicazioni. Ne risulta un film molto amaro ma anche assai realistico (solo la giornalista, discretamente retorica, stona un po'), in cui Cox tratteggia ottimamente un personaggio ben approfondito (si capirà bene come mai egli non ami le maniere forti) per il quale è impossibile non provare empatia.
MEMORABILE: L'aggressione con la mazza finisce male per l'aggressore; "Perché non ci lascia in pace?".
Film penalizzato da una limitata distribuzione nelle sale, che ha così finito per nasconderlo al grande pubblico. Non lo meritava Cox, autore di una prova di quelle che qualificano un grande attore e neppure il resto del cast, di prim'ordine (Sizemore, Englund, Plummer). Forse a determinarne l'insuccesso sono stati il fatto che a un certo punto McKee è stato sostituito da un altro regista (il meno quotato Allister Diesen) e un epilogo della storia decisamente sotto tono, dopo che la trama, pur minima, aveva sviluppato un notevole crescendo di tensione. Con squarci di grande cinema.
MEMORABILE: Il racconto del protagonista sulla storia della sua famiglia, con climax drammaturgico che ricorda quello celebre di Quint nello Squalo.
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DiscussioneDaniela • 9/07/11 23:09 Gran Burattinaio - 5940 interventi