Secondo film di Bergman, dopo l'insuccesso di Crisi. Trama convenzionale ma narrazione fluida e ben strutturata, con qualche momento particolarmente riuscito (la scena del processo, ad esempio). La solitudine, in Bergman, è il peggiore di tutti i mali; e qui il concetto viene ribadito in modo esplicito. Interessante la figura dell'angelo custode che apre il film, e c'è (forse) un cammeo del regista nei panni di un uomo alla biglietteria della stazione.
Nel narrare le vicissitudini di una giovane coppia di derelitti e la difficoltà di essere onesti tra ipocriti e avvoltoi, Bergman, al solo secondo film, stupisce per la disinvoltura con cui accosta armonicamente al registro drammatico quello da commedia (i due ladruncoli svitati, la vicina di casa, il proprietario del vivaio e la moglie arpia) e al realismo quotidiano l’allegoria del Destino (l’uomo con l’ombrello). La scena del processo poggia su una tipica struttura teatrale e al personaggio del padrone di casa, uomo abietto ma anche malato di solitudine, l’autore non nega una certa pietas.
MEMORABILE: L’avvocato con gli occhiali che gli penzolano da un orecchio; il padrone di casa dinanzi alle fotografie dei cari che lo hanno abbandonato.
Sebbene lo stile sia per certi versi ancora acerbo, nel film si rincorrono diversi elementi fondanti della poetica del regista svedese. L’ingenuità e la fragilità della coppia sono l’incudine su cui battono senza pietà l’indifferenza e l’egoismo di laici e clerici, in antitesi alla loro natura. La chiave dicotomica è abbastanza evidente in tutta l’opera e segue un andamento quasi didascalico e impostato, non riuscendo sempre a cogliere nel segno oppure a dargli quell’imprevedibilità di fondo. In ogni caso non è affatto un’opera scontata.
Un ragazzo (pregiudicato) e una ragazza (incinta ma non sa di chi) si conoscono alla stazione e si mettono insieme. Bergman dirige una storia sentimentale a modo suo, speranzosa nella relazione tra ultimi e oscurata dal mondo esterno che li vuole schiacciare. Il suo stile si fa riconoscere già nell’attenzione ai primi piani e all’uso di una fotografia tagliente. Discreta la fase processuale, per i tempi e i contenuti. La voce introduttiva non sembra necessaria e le figure del “Gatto” e la “Volpe” non sono originali.
MEMORABILE: Il perimetro della casetta; Il messo che comunica l’esproprio; Le testimonianze al processo.
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