4 episodi (due brevi, due lunghetti)che satireggiano in maniera più o meno feroce e riuscita l’istituto matrimoniale. Il primo è un semplice divertissement, il secondo più prevedibile (ma va considerato che siamo nel 1965 e quindi non lo è poi così tanto), il terzo interessante ma con più audacia (visto il tema trattato: il sesso) sarebbe stato meglio, mentre l’ultimo mi è sembrato il più riuscito nel suo cupo pessimismo sul futuro del genere umano e soprattutto su quello dei rapporti di coppia. Il risultato è discreto e molto "ferreriano".
Forzata umanizzazione degli animali da compagnia, insonnia e bruciori di stomaco, gruppi di autocoscienza che sembrano riunioni di condominio (o di alcolisti anonimi), rapporti adulterini che sanno di disperazione, consumati in cucina: non c'è rimedio alla desertificazione dei sentimenti, alla noia del sesso coniugale... o forse sì? Nell'ultimo episodio, il più "ferreriano", futuristica apocalisse sullo sfondo di un paesaggio incontaminato, manichini-robot sembrano sapere ciò che gli uomini hanno scordato. Ciao maschio, ciao femmina: il futuro è... automa!
MEMORABILE: La puntuale, asettica disquisizione sul tema: è preferibile fare l'amore di pomeriggio, di mattina o di sera?
Per Ferreri il matrimonio nella società contemporanea è un’istituzione ipocrita, opprimente e pianificatrice, tesa a piegare ai dettami del raziocinio e far rinsecchire nella consuetudine la naturalezza dell’affetto e del sesso; la sua acredine, trattenuta con il sorriso del primo episodio sugli accoppiamenti canini, si intensifica nel milieu piccolo-borghese del secondo e del terzo, sublimandosi infine nel distopico scenario di un’umanità grottesca e ridotta ad automa. Rambaldi predispone i manichini gonfiabili; contenuto Tognazzi.
MEMORABILE: La routine imposta ogni sera a Tognazzi per mettere a letto il figlio («Papà bello! Papà brutto!».
Quattro caustici racconti sulla crisi dell’istituzione matrimoniale, trasformata in modello per cani, depressa dalla stanca quotidianità fino all’astinenza, rafforzata da terapie di gruppo, rifondata con coniugi di plastica. Gli episodi convergono nella critica beffarda, come un mosaico blasfemo contro i canoni borghesi-religiosi della più ipocrita italietta familista, oscillando tra farsa surreale (il primo) e commedia all’italiana (il secondo), satira di costume (il terzo) e fantascienza concettuale, spietata ma un po’ scialba (l’ultimo).
Amore coniugale nelle sue varie forme: programmato quello canino, che vede due coppie alto-borghesi impegnate nelle nozze fra i rispettivi bassotti di razza; reso stanco dalla routine quello in cui la moglie addormenta con le consuetudini casalinghe le voglie del marito; fintamente aperto nell'episodio americano, con il gruppo di autocoscienza matrimoniale; infine, sarcastico nell'episodio futurista, in cui l'unico barlume di umanità è affidato ad una lacrima di plastica. Apologo non del tutto riuscito, meno graffiante del previsto, ma pienamente ferreriano nel suo pessimismo.
Ferreri crea il film a suo modo, ancora con il contributo di surrealismo spagnolo di Rafael Azcona; ma lo affronta spezzandolo in episodi, com'era in gran voga a quei tempi, rischiando l'ira dei critici. I modi appaiono per forza di cose datati, specie per quanto riguarda il "futuribile". Gli ingredienti sono a volte prevedibili e ovvi, altre volte meno. Il futuro, che ora è già passato per noi e che prevede nel quarto episodio, è ovviamente fuori bersaglio. Non immaginava che che noi avremmo condotto le nostre relazioni per via telematica.
MEMORABILE: Tognazzi con la moglie-manichino, ormai stufo, che dice "E adesso che me ne faccio?" Se fosse stata in carne e ossa, avrebbe detto la stessa cosa.
Col senno critico del poi, lo leggo piuttosto che come apologo sì riuscito ma tutto sommato prevedibilmente schematico sull'istituzione matrimoniale, come momento di passaggio nel cinema ferreriano. Così, se in "Prime nozze" lo spirito caustico-grottesco dei primi film trova mirabile misura nella durata e "Dovere coniugale" pare contaminato dalla nascente commedia anni '60, "Igiene coniugale" è un esperimento spurio in cui la trovata iniziale mostra il fiato corto, lasciando spazio in "Famiglia felice" a quel respiro cosmicamente doloroso del Marco che verrà.
Mezza delusione per il grande Ferreri. Il film distilla troppo gli sketch e il voluto distacco dalla tematica di fondo nella messinscena annacqua l'assunto stesso del film (l'istituzione matrimoniale ormai allo sfascio). Per cui alla fine le storie sembrano non avere "morale" e appaiono solo scipiti episodi. Solo nell'ultimo c'è una evidente chiarezza di intenti, ma si rimpiange la pupazza di sabbia di Mafioso (idea sempre di Azcona). Pare non manchi nulla se non il sale, e questo per Ferreri (maestro della "distanza") è grave.
La stagione dell’amore non viene più, va soltanto. E va male. Se istituzionalizzata da sacri vincoli, poi, non se ne parla. In mezzo al vischioso benestare, per il disinganato Ferreri la coppia non è che statico proforma, fragile involucro vuoto cui intonare più marce funebri che nuziali: per la spontaneità fattasi coazione a ripetere, per la fantasia che da elisir di lunga vita coniugale si traduce nell’adulterio, per il finis hominis dove l’amore non è che reificata solitudo senza beatitudo. Il depuratore censorio l’ha sensibilmente bonificato, ma l’aria di necrosi serpeggia semiclandestina.
Terzo film italiano di Marco Ferreri: molto meno tellurico rispetto alle precedenti prove con Tognazzi ma qualche candelotto di dinamite scoppia qua e là. Soprattutto nell'episodio dei bambolotti, profetico scenario da relazioni consumate in serie industriale. Disturbante nella copula canina, e pure lungimirante: spesso oggi gli animali domestici sostituiscono i figli; più canonico nel frigidume delle vaporose coppie borghesi.
“Prime nozze” (2,5). Saggiamente breve, è una presa in giro non tanto del matrimonio quanto delle maniacalità cinofile. Oltre Tognazzi, si ricordano il veterinario di Bonagura e gli occhioni della Germani. “Dovere coniugale” (2,5). Ironia sulla banalità del sesso dopo anni di matrimonio. Un po’ ripetitivo, ma con discreta efficacia, specialmente per l’epoca. “Igiene coniugale” (2), debole, talora casuale, talora prevedibile: né interessante, né pepato. “Famiglia felice” anticipa La fabbrica delle mogli (qui anche “dei mariti”), ma senza che i problemi di noia vengano risolti… (2,5).
Quattro episodi di vita matrimoniale. Il più ferreriano (con annessa barbetta) è l'ultimo, nel quale si va oltre il grottesco e il pessimismo sul genere umano prevale. Anche il primo, a modo suo, è della stessa natura, pur se in modo più frivolo. Quello sui doveri coniugali ricade nella commedia e non è incisivo. Sofisticato il terzo, girato in America. Tognazzi è sempre in parte e dà il meglio come seduttore.
MEMORABILE: Gli aggettivi ai cani; La pancera; L'ora degli amplessi; Il modello Z.
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