FALSI D'AUTORE-Perduti e ritrovati
Per chi scrive
Gli anni luce rimane un capolavoro di rara bellezza e pregnante follia (una sorta di
Anche gli uccelli uccidono più nichilista e pessimista), dove il talento di Tanner straborda in ogni inquadratura. Pellicola bizzarra e quasi unica nel suo genere.
E questa opera tanneriana parte benissimo (che con
Gli anni luce ha in comune le brulle e poco ospitali campagne svizzere) con l'arrivo di Julie (un'intensissima e bravissima Marie Gaydu, così dolce e sfuggente nel suo accento francese-almeno, nell'edizione italiana-) nella nebbia e nella neve di un piccolo paesino ginevrino in culo ai lupi, lasciando le Mauritius (Rose Hill si riferisce al luogo africano dove proviene la ragazza) per un matrimonio combinato tramite corrispondenza con un contadino elvetico già su con gli anni, che vive con la madre rompicoglioni
La ragazza (che si dice fosse una principessa nel suo paese natio) non riesce a integrarsi tra pollai e squallide fattorie immerse nella neve e da una nebbia perenne, rifiutando contatti fisici con il suo nuovo "marito" e mal sopportando l'opprimente "suocera"
Per distrarsi la ragazza si reca in città, ma finisce presto i soldi, perduta in un nuovo mondo che non sembra appartenerle, finchè non incontra Jean, un giovane "figlio di papà" . Tra i due scoppia la passione, ma anche le incomprensioni per un figlio non voluto dal ragazzo (capitato per caso). Scoppiano i litigi e gli asti, e la tragedia incombe dietro l'angolo.
Il primo tempo del film è pregnante e intenso, dove viene fuori la grande maestria di Tanner (l'arrivo di Julie nella fattoria, il muro di incomunicabilità tra Julie e la cecità maschilista del nuovo marito, lo squallido banchetto di nozze a ritmo di valzer e fisarmoniche che fa il verso a quello chabroliano del
Tagliagole, Julie che deve uccidere un pollo e non starsene tutto il giorno con le mani in mano nella sua stanza, ma Julie non riesce a uccidere il pollo, quindi non degna di mangiare a cena, Julie sposata dal contadino solo come mera "bracciante" per i lavori di casa, Julie che si reca in città tra la fredezza generale, Julie che fa l'autostop in una stradina di campagna immersa in una coltre nebbiosa, Julie che scappa dalla fattoria della tristezza, Julie che vomita sul marciapiede, Julie che dorme in un tugurio di stazione ferroviaria, Julie che viene aiutata da Jean, Julie che balla a seno nudo ascoltando musica tribale nel walkman in una stanza d'albergo, il nudo integrale di Julie, la passione amorosa tra Julie e Jean, il padre di Jean che ostacola il loro rapporto)
Poi, però, nel secondo tempo Tanner molla la presa, sceglie un registro narrativo più banale e convenzionale e sfocia nel dramma sentimentale più comune tra crisi isteriche, bambini non voluti (che non avranno 20 anni nel 2000), rimpatri, poliziotti alla porta, zie mattacchione ma simpatiche e un finale tragico che però pare eccessivo e mal gestito, mandando un pò in vacca la narrazione tesa e serrata della prima parte.
Tanner prende a modello
La mia droga si chiama Julie (anche nel nome della ragazza), e anticipa certe tematiche che Kechiche riprenderà in
Venere nera, aiutato da un cast attoriale in formissima (la Gaydu lascia il segno) e dalle desolate location elvetiche, dove le stagioni passano come nelle
Onde del destino di Von Trier e riflettono lo stato d'animo di Julie, "prigioniera" in una glacialità inospitale e da una società prestabilita e attaccata saldamente a convenzioni e valori conformisti
Un melò ancor'oggi attuale (l'immigrazione, il razzismo latente : "
Questi negri, ne mandi via uno e ne arrivano dieci" dice uno dei poliziotti che assediano la casa in cui vive Julie), dove Tanner sottolinea l'ottusità del maschio medio europeo (nella figura del contadino Marcel, nel padre di Jean) e della sua immaturità (Jean che non vuole responsabilità genitoriali convicendo-senza risultati- Julie ad abortire).
Se solo avesse mantenuto la freschezza e la durezza dell'inizio (senza scadere nella banalità da melodramma tra poliziotti, fogli di via, assedi carpenteriani e eccessive resistenze) sarebbe stato un impietoso ritratto di donna smarrita nel mondo cosidetto "civilizzato"
Così com'è intrippa solo a metà. Peccato.
In questo caso funzionava di più
Una fiamma nel mio cuore