Hammer house of horrorUno dei titoli Hammer più fiammeggianti che tiene sugli scudi il blasone della mitica casa di produzione inglese (epoca vittoriana, la magia nera esotica che irrompe nella quotidianità di un tranquillo villaggio, l'accesa e goticheggiante fotografia di Arthur Grant che dona, sui titoli di coda, la villa
pre fulciana avvolta dal fuoco purificatore, come ogni gotico che si rispetti) con parecchi punti in comune con il fisheriano
Lo sguardo che uccide (là la gorgona, quì una donna serpente venuta dal Borneo).
Una donna mostro tanto viscida quanto affascinante (la muta nel letto, custodita nella grotta del lago di zolfo sotto una coperta), serpente(ssa) antropomorfa che, alla fine, suscita certa pietà e compassione per la sua (in)colpevole condizione dell'impossibilità di essere normale ("
Ho freddo") e tra le icone mostruose più riuscite di casa Hammer (naif ma d'effetto il make up rettiliforme di Roy Ashton, che sarà preso a modello, soprattutto, dalla Ediperiodici per la collana
Terror), che nel finale tra le fiamme estroflette lascivamente la lingua verso una terrorizzata Jennifer Daniel.
Di questo piccolo diamante grezzo se ne ricorderanno
Kowalski e la figlia di David
Lynch e alcuni momenti suggestivi/esoticheggianti azzeccatissimi (Anna che suona il sitar e la reazione violenta del padre, la musica orientale che echeggia tra le brume del paesino della Cornovaglia, la collezione di animali in gabbia, il laido "servitore") dopo un inizio sonnacchioso, dove John Gilling riformula la coltre misteriosa e orrorifica che si cela nel "sabato del villaggio" dopo i suoi
(si)lenti zombi e con riverberi dalle
Jene di Edimburgo nel disotterramento dei cadaveri, vittime dei morsi del "cobra reale".
E su tutto brilla la magnifica, stupefacente e malinconica bellezza di Jacqueline Pierce.