Il serpente di fuoco - Film (1967)

Mi piacque da morire quando lo vidi la prima volta al cineforum più di 20 anni fa. Merita tanto, ma solo a tratti riesce a far entrare lo spettatore in full immersion con la storia. Come per molti film americani, gli strumenti ci sarebbero, ma manca l'impatto emotivo. È più curiosità che pathos.

Gioiello di un genio del basso budget, girato in tempi strettissimi con effetti visivi ancora oggi di grande impatto. Riesce a tenere vivo l'interesse grazie alle improvvise accellerazioni che culminano in espolosioni di luce e colore facendo capolino in un plot esilissimo (ma così deve essre) che si regge sulle allucinazioni del protagonista Peter "I don't know" Fonda. Fondamentale come descrizione di un'epoca.

L'incursione drammatica di Corman è assolutamente in linea con quel tempo, con i suoi costumi e con le sue trasgressioni. Si tratta di una delle pesti di quel tempo: la droga chimica del viaggiatore onirico si chiama LSD. La storia è abbastanza semplice, fragile anche. Manca l'ispirazione, indispensabile per vivere. L'occasione di trovarla si presenta con l'uso di uno strumento diffuso, quasi come le sigarette, allora. Ed il trip diventa bed trip, si passa dal sogno all'incubo, con la realtà che ti insegue ed alla fine ti ricorda come è il mondo concreto.

Un'esperienza sensoriale (visiva ed uditiva) semplicemente unica: lo schermo sapientemente plasmato dalla mano del regista si trasforma in un coloratissimo caleidoscopio magicamente adornato da melliflui ed impalpabili affreschi allucinogeni dove la solida consistenza del reale finisce per perdersi nella mescalinica ed illusoria intangibilità del (bad) trip da LSD. Se si tralasciano alcune divagazioni leggermente datate la festa per gli occhi è garantita e giunge felicemente inaspettata la finale riflessione sulla provvisorietà dei sogni hippie.

Canonico esempio di un Cinema figlio del suo tempo, The trip è, alla visione dello spettatore contemporaneo, fonte ancora di molte curiosità para ed extra filmiche, disorientando peraltro il tentativo di sviluppare un giudizio nello specifico. Certo il manipolo di Selvaggi (altro titolo Cormaniano) border hollywood che lo conduce è da antologia: Roger alla Regia, Nicholson allo script, Fonda, Dern e Susan Strasberg nel cast. Avvincente nelle parti psichedeliche, ingenuo in quelle visionarie e esilissimo sul versante realistico. Propedeutico a Easy rider.

Il titolo originale rende bene l'idea: un trip in cui la storia quasi non c'è ma ciò non importa. L'aspetto interessante è infatti quello visivo e sotto questo punto di vista il film non tradisce: un caleidoscopio di luci e colori dalle tante fogge che si susseguono sullo schermo, con qualche pausa, quasi senza sosta. La musica che coadiuva le immagini è quella giusta. L'andamento è ondivago ma il ritmo è buono così come i risultati. Un'operazione figlia del suo tempo che oggi sarebbe impossibile da realizzare: basso costo, bel cast pieno di divi, regia professionale e di livello.

Un trip allucinogeno, un viaggio psichedelico dove mente e corpo, meditazione e trasmutazione, immagini e sensazioni si fondono in un orgasmo di paceri. Da Corman non mi aspettavo certo una pellicola come questa ma, quando ho saputo che c'era la mano di Jack Nichloson, ho compreso il senso di quest'operazione. Diseducativo ma altamente cinematografico. Una girandola di sensazioni impregnerà la vostra mente persa nalla ricerca di un filo conduttore che non c'è. Non vi fate condizionare, è solo cinema.

Regista proverà l’acido per scoprire sé stesso. Esperimento lisergico in cui Fonda (forse meglio sarebbe stato Hopper) cavalca il serpente e passa dai deliri all'angoscia. Viaggio molto colorato con regìa che cerca di mostrare lo sballo con giochi di luce, montaggio veloce e distorsioni. Omaggio a Ginsberg, agli hippie e alla cultura beat. Conclusione morbida nella quale poteva succedere di tutto tra i deserti, le discoteche e i paesi dei balocchi.

Un affascinante sguardo figlio della propria epoca (ma nonostante ciò risulta ancora ancora oggi capace di stimolare un dibattito) sull'esperienza allucinogena dell'LSD da parte di un regista in ricerca di ispirazione e in crisi con la moglie. Visivamente molto intrigante, riesce ad andare oltre la semplice ricercatezza visuale degli effetti lisergici e Corman riesce anche a infilarci sapientemente riflessioni esistenziali ed etiche sull'utilizzo cosciente delle sostanze psichedeliche senza pretendere per incensamenti a priori o proibizionismi moralistici.