Un ragazzo dei bassifondi viene accusato di un omicidio. Un avvocato di successo, originario dello stesso quartiere, accetta di difenderlo per dimostrare che le origini dell'imputato non possono bastare a condannarlo. Ray, regista sempre interessato ai temi sociali, dirige un classico del cinema del periodo Rooseveltiano del New deal, con Bogart avvocato progressista che pronuncia una grande arringa finale, con un'espressione dolente che rimane nella memoria. Cinema di impegno civile, da riscoprire.
MEMORABILE: L'arringa finale dell'avv. Morton (Bogart), destinata al pubblico e a tutta l'America del suo tempo e, idealmente, a tutti noi.
Ottimo incrocio tra dramma giudiziario e noir. Ray costruisce un film di grande tensione che avvolge gradualmente lo spettatore nelle sue spire per non abbandonarlo più se non al termine della pellicola. L'arringa finale può sembrare troppo retorica e qualunquista per il pubblico contemporaneo, ma le considerazioni fatte da Bogart non sono affatto banali se contestualizzate nel periodo. L'inquadratura con cui Ray riprende Mister Morton alla lettura del verdetto è davvero da antologia.
La prima interpretazione del film è la condanna di una società che produce anche individui che per le loro origini sono tenuti ai margini consegnando così mano d'opera alla criminalità (e, come in questo caso, condannati ingiustamente e definitivamente, alla prima occasione). Ma viene evidenziato anche come, ed è il caso di Nick (un esordiente John Derek), avendo l'occasione di riscattarsi (una donna che lo ama, un lavoro e un figlio in arrivo), il giovane possa ricadere nell'errore distruggendosi la vita. Nella versione originale la madre di Nick parla italiano con l'accento siciliano all'avvocato (Humphrey Bogart) e viene tradotta dai figli.
Quando un giovane italo-americano viene arrestato per omicidio, un avvocato, dopo essersi convinto della sua innocenza, si batte per farlo assolvere... Solido legal thriller che, dopo aver tenuto desto l'interesse grazie alla sceneggiatura ben articolata, colpisce nel finale con un ribaltamento della prospettiva di grande impatto, fino alla dolente arringa del grande Bogart,: pochi indimenticabili minuti di denuncia delle conseguenze dell'emarginazione sociale. Nel resto del cast, buon esordio di Derek, mentre Macready è come al solito assai bravo nel farsi detestare.
Uno dei migliori film di Nicholas Ray, che coniugando thriller giudiziario, noir e impegno civile, condanna i pregiudizi di cui è vittima chi nasce in un ambiente sociale disagiato senza però trascurare le colpe di quella gioventù bruciata (che evidentemente gli stava a cuore) incapace di approfittare delle possibilità per cambiare vita. Dopo un incipit al fulmicotone, nella fase centrale il ritmo si placa per poi impennarsi nell'ultima parte in tribunale, con lo scontro tra l'avvocato progressista di Bogart e l'implacabile procuratore di Macready, e un epilogo decisamente inatteso.
Giovane delinquente assolda un avvocato dopo essere stato accusato di omicidio. Si racconta di un clima malavitoso tra sopravvivenza e pregiudizi (mai superati) in un film dai buoni valori civili. Il lungo flashback serve a inquadrare la situazione e nelle vicende matrimoniali è un filo datato (causa frasi epiche). Il fulcro della vicenda sono gli interventi di Bogart: ne fanno quasi una spalla di lusso che esprime i danni compiuti dalla società verso chi non ha alternative alla vita violenta. Avvincente il dibattito processuale.
MEMORABILE: La moglie suicida; La confessione; Il monologo finale.
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Per chi può vederlo: non perdetevelo. Grandissimo film, un grandissimo Bogart e una scena finale che secondo me è da antologia. Io la so praticamente a memoria!
Visto sul grande schermo. Che spettacolo!
Ovviamente in originale con sottotitoli che, intelligentemente, non sono stati proiettati sullo schermo ma su un rettangolo messo sotto.
C'è anche una parte in italiano-napoletano (perchè gli americano i film non li doppiano)
tutta da gustare per noi italiani.
P.S.
L'arringa finale è un pò retorica ma va anche letta e sentita alla luce del fatto che siamo
nel 1949 e non nel 2009.
Non sono convinto del post scriptum.
E' un'arringa, quindi un discorso volto a convincere un uditorio. Inevitabilmente, si fa uso degli artifici della retorica. Ma onestamente non trovo questa scena retorica in un senso più generale. La traduzione italiana è naturalmente influenzata dal passare degli anni, ma si tratta di un problema di linguaggio più che di tono.
In effetti poi nel commento ho un pò corretto il tiro. Ci ho pensato e come già anticipato
bisogna contare che siamo nel 1949.
In ogni caso a parte tutto il film è bello.