Un società (quella iraniana dei primi anni 2000) dal sapore quasi mediavale funge da motore per le peripezie di un serial killer alla Frenzy in missione per conto di Dio e della giornalista che gli dà la caccia. Sceneggiatura e regia riescono a mantenere vivo l'interesse grazie a personaggi ben caratterizzati e a un ritmo che non viene mai meno, il tutto diretto e interpretato con professionalità. Riusciti i tocchi di ironia, un po' meno la didascalica parte finale, con svolta alla Ted Bundy che, per quanto ben studiata, non fa che ripetere concetti già ampiamente espressi.
Teo-Zodiac (Bajestani) sulle tracce im(a)morali del nume tutelare Reza, cui dedica in comunione d'intenti il soffocamento rituale di innumerevoli prostitute colpevoli di contribuire all'inarrestabile decadenza morale di Mashhad. L'intraprendente giornalista Rahimi (Ebrahimi) riesce per un pelo a incastrarlo, ma non sempre i processi nelle aule dei tribunali rispecchiano il sentire pubblico... In aperta polemica con il radicalismo di regime dell'Iran d'oggi, l'ondivago dramma di Abbasi (incredibilmente tratto da una storia vera) affonda il colpo, senza rinunciare all'(auto)ironia.
MEMORABILE: La sicumera di Hanaei (Bajestani) in carcere; Il pre-finale a sorpresa.
Il ragno si muove di notte con lo scopo di ripulire la città dal vizio e dal degrado. Lo fa in quella che considera una missione divina. Un gioiello di thriller, avvolto in un'atmosfera alla Cruising, con strangolamenti insistiti ad opera di chi deve essere certo di finire il suo "lavoro". Una coraggiosa giornalista arriva in città con un unico obiettivo, indagare. E la sua intraprendenza la porta nella ragnatela di sangue. Una regia ispirata per un'opera angosciante e suggestiva, che sa focalizzare una mente malata, che non sa di essere tale. Desolante e ritualistico. Imperdibile.
Notevole lavoro di Abbasi che riesce a coniugare l'atmosfera cupa di famosi thriller americani con la denuncia sociale di un clima patriarcale e compiacente del suo paese di origine. Pochi cali di ritmo, un buon disegno dei personaggi che vivono ai margini, un uso magistrale del sonoro e delle luci notturne. Non vive certo sui colpi di scena ma nella parte conclusiva si assapora l'ambiguità di buona parte dei protagonisti e un epilogo amarissimo per quanto viene lasciato ai più piccoli, portati a mitizzare l'azione di pulizia morale con tanto di mimica sulla tecnica di svolgimento.
Commistione tra thriller e denuncia sociale, laddove Abbasi va a pescare una vicenda reale avente luogo a Mashhad (Iran) nel biennio 2000-2001. Se le convinzioni malate del serial killer Said, assieme alle luci e alle atmosfere notturne della città, costituiscono il cuore della prima metà, è l'aspetto dell'ambientazione, tra pareti scalcinate e mentalità retrograde, a dare la vera tara all'opera. Che, tuttavia, mostra anche qualche momento di stanca e si pone in una posizione un po' atipica rispetto al genere, probabilmente finendo per risultare ostica a qualcuno dei tradizionali appassionati.
Sentendosi investito dalla missione di liberare la sua città dal male, un muratore pio padre di famiglia strangola prostitute in nome di Allah. Constatata l'inerzia della polizia, una giornalista si impegna personalmente per scoprire il responsabile di atti che molti suoi connazionali considerano meritori... La storia, mutuata da una vicenda di cronaca del 2001, è simile a quella di altri serial killer efferati ma è il contesto che fa la differenza: l'Iran non è un paese per donne e la solidarietà verso l'assassino suscita orrore perché del tutto credibile. Film crudo, amarissimo.
MEMORABILE: L'intervista al figlio dell'omicida, agghiacciante.
In Iran, a Mashhad, un pio padre di famiglia lavoratore e devoto, ossessionato dal malinteso imperativo morale, uccide metodicamente le prostitute di un quartiere con la quasi connivenza di molti e l'indifferenza della giustizia, fino a quando una coraggiosa giornalista... Sotto l'apparenza di un thriller classico si nasconde la volontà di denunciare non solo un regime e un costume, ma la fanatica subordinazione che ciò può generare negli individui che si arrogano il diritto di agire in nome di una verità assoluta. Un film cupo soprattutto nel finale e ancor di più nell'epilogo.
MEMORABILE: In moto di notte a caccia di vittime; 16 su 200; I patti saltano e la condanna viene eseguita; La sconcertante intervista al figlio.
Ispirato a fatti reali, un coinvolgente e coraggioso thriller iraniano che è soprattutto lo spaccato di una società retrograda e maschilista in cui un serial killer di prostitute può agire nell'indifferenza di una polizia più attenta a contrastare l'immoralità che il crimine e addirittura ricevere il plauso non soltanto della propria famiglia ma anche di ampi settori dell'opinione pubblica. In ogni caso funziona anche come pellicola di genere, risultando teso e disturbante sia nelle sequenze degli omicidi che nella rappresentazione degli ambienti più degradati. Bravi gli interpreti.
MEMORABILE: L'inizio; Le incredibili giustificazioni di famigliari e amici dell'assassino; L'esecuzione.
Bel colpo di Abbasi che mette in piedi un bel thriller teso e senza fronzoli, con qualche riuscita incursione tra l'allucinato e l'horror. La chiara impostazione investigativa "all'americana" viene traslata sulla realtà iraniana: ne viene fuori uno zodiaco tradotto in persiano, in cui l'accento è posto sì sulla risoluzione del caso ma anche e soprattutto, sull'analisi generale di un consorzio umano, con tutte le sue tante miserie messe in bella mostra. Regia di un certo livello, atmosfere urbane e derelitte ben rese, bel cast, finale sideralmente alienato. Veemente.
Dopo quel gioiello di Border c'era molta attenzione su Abbasi e è stata ampiamente ripagata da questa sua opera altrettanto nera e dall'impatto visivo crudo. Ciò che più colpisce, paradossalmente, non è la fase relativa agli omicidi del serial killer ma la seconda, in cui gran parte della popolazione, elementi della polizia, perfino sua moglie (!) si rivelano pronti a soprassedere su sedici omicidi in nome di una morale distorta e raccapricciante. Bravissima la protagonista a dar vita a un personaggio tenace e coraggioso in un ambiente incredibilmente ostile. Grande cinema.
Un film che testimonia la vitalità del cinema iraniano contemporaneo, che è insieme thriller e denuncia dell'opprimente condizione della società civile di quel paese e della pesante condizione femminile in particolare. Il tutto con uno sguardo personale di un regista di grande talento, che cura l'aspetto tecnico della pellicola, con fotografia di ottimo livello. Una citazione per l'ottima prova di tutti gli attori, con particolare riferimento agli interpreti del killer e della giornalista. Un film necessario, da vedere.
Meno eccentricamente perturbante di Border, che pure nei suoi eccessi di "devianza" rischiava la superfetazione abortiva di senso e significato. Il film di Abbasi qui assume la forma di un thriller totalitariamente esplicito nella superficie e che proprio in virtù di tale evidenza innesca tuttavia nello spettatore ambiguità impensate, sfocando ciò che è apparentemente chiaro e portandoci a far i conti con l'essenza stessa della misoginia e della società patriarcale. Decisive interpretazioni dell'"estatico" Bajestani e di una Amir- Ebrahimi la cui smaniosità ricorda a tratti la Keaton
Per i primi due terzi sembra quasi di assistere a un thriller a stelle a strisce con protagonista un serial killer di cui si segue il modus operandi. A differenziarlo da altre pellicole del genere è il contesto iraniano, molto ben reso e senza, per fortuna, particolari didascalismi, che permette poi di capire e spiegare l'ultimo terzo di film che fa fremere di rabbia e a tratti gela il sangue nelle vene. L'uso della violenza è ben dosato ma non mancano i pugni nello stomaco. Buoni anche il tratteggio dei personaggi e le loro psicologie. Un film notevole.
MEMORABILE: Il ragazzino che spiega il modus operandi del padre.
Un operaio fanatico decide di "fare pulizia" uccidendo le prostitute della sua zona e una giornalista si mette sulle sue tracce. L'ambientazione iraniana, con tutto ciò che questo comporta in materia di discriminazione sessuale e integralismo religioso, fornisce una prospettiva relativamente nuova sul blasonato cinema dei serial killer, specie in considerazione della tranche finale, in cui Abbasi diserta i toni da thriller urbano per addentrarsi nel terreno del dramma giudiziario, fra le visioni distorte dell'opinione pubblica e il senso d'impotenza vissuto dalla protagonista. Buono.
MEMORABILE: I complessi pseudo-necrofili dell'assassino; La sguaiata vittima che ride anche da morta; Lo scontro fra l'eroina e il killer; La sorte dell'omicida.
Un serial killer va a caccia di prostitute per “purificare” la sua città. Thriller con tutti i crismi del caso per rappresentare l’integralismo religioso iraniano. Se lo svolgimento è abbastanza canonico, con addirittura qualche leggerezza dell’assassino, è il personaggio della giornalista in quanto donna a far capire le dinamiche. Violento per forza di cose e crudo in qualche particolare, sa anche essere sottile (il ruolo della polizia, a modo suo connivente), descivendo una realtà retrograda. Chiusura inquietante con vezzo simbolico.
MEMORABILE: Il piede fuori dal tappeto; La leccata della faccia; Morta sulla moto; Le cento frustate; Il tappeto e il concetto di sporcizia.
Dietro il paravento del legal thriller, parla della condizione della donna in Iran e di fanatismo religioso. Veterano di guerra, con famiglia numerosa ma disadattato e asociale, strangola prostitute. Dirà di aver voluto "ripulire" la citta sacra di Mashhad. Una giornalista emancipata si mette sulle sue tracce, pur ostacolata da poliziotti e religiosi. Opinione pubblica, corte di giustizia e politica hanno codici propri. Licenze narrative con la protagonista che può intervistare familiari e imputato e persino rammentare l'applicazione di pene.
MEMORABILE: Le prostitute devastate da miseria e crack; La prostituta grassa e ridanciana; Il doppio gioco di potere.
Ispirato a fatti realmente accaduti (un serial killer iraniano specializzato in prostitute), più che un film di denuncia è un horror e ciò non tanto per le bravate dell’omicida, classico “buon padre di famiglia”, quanto per il prosieguo processuale e ambientale, con gli inquirenti a far da spettatori. Non una parola di comprensione o difesa nei confronti delle vittime, né nei confronti dei clienti abituali delle “donnacce”. Orrore puro non soltanto per qualsiasi donna, ma anche per quelle (poche?) teste pensanti che non si sono allineate a difesa del moralizzatore. Film coraggioso.
Una di quelle pellicole che difficilmente si rivedrebbero ma che, nello stesso tempo, andrebbero viste almeno una volta. Uno spaccato di vita in un mondo in cui la donna ha uno spazio più che limitato; e quelle che riescono a uscirne (la protagonista) vengono mal sopportate, figurarsi poi chi vende il proprio corpo (basta vedere la reazione dell'opinione pubblica). La reporter è molto brava; e anche il serial killer appare naturale nel suo sdoppiamento. Il contenuto fa sopportare il non ritmo, permettendo allo spettatore di concentrarsi sui protagonisti. Notevole.
MEMORABILE: Il viscido poliziotto; La crisi nervosa al parco; Testata e pugni ("Adesso non ridi più); A tu per tu; La ricostruzione del figlio con la sorellina.
E se il serial killer fosse il prodotto di una società che lo applaude? Sollevando domande scomode su patriarcato e idolatria del martirio, natura della giustizia e della moralità e senza offrire risposte spicce, Abbasi scava a mani nude nel ventre della società iraniana, affondando lo sguardo dove il sentire religioso si fonde col sangue, ideologia e morale giustificano il male e un meretricida diventa prisma delle contraddizioni di una nazione. Non è un film semplice né vuole esserlo: è un tuffo nell’imo di un paese che convive con l’oscurità spesso travestita da volontà divina.
MEMORABILE: Know how finale del figlio di Saeed con sorella divertita. Brividi.
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Il film di Abbasi si ispira a un fatto realmente accaduto, la storia del serial killer Saeed Hanaei (1962-2002), che tra il 2000 e il 2001 uccise 16 prostitute soffocandole a morte, con la missione di liberare le strade di Mashad dalla corruzione del sesso, accusando le donne di essere portatrici di un “virus” letale, insidioso e sporco, capace di portare alla perdizione i maschi del luogo e di rovinare le loro sacre famiglie.