Terzo (e non ultimo) capitolo delle gesta di Victor Crowley
Adam Green lascia il posto alla regia a BJ McDonnell che guadagna una messa in scena esteticamente migliore (grande cura per la fotografia), anche se il meccanismo è il medesimo: gore e splatter tromeschi e pagliacceschi (ma c'è un miglioramento negli SFX di Robert Pendergraft, soprattutto una gustosa scena di melting nel finale) con le solite teste e braccia strappate a mani nude, corpi squarciati e spatasciati, arti che svolazzano da tutte le parti e secchiate di sangue ovunque.
Victor Crowley che si risveglia nel sacco della morgue come Jason nel quarto
Venerdì 13 e sbaraglia un gruppo di uomini in stile Bud Spencer, contro una squadra tamarra di SWAT nella palude silenziosa, capitanata da un esaltato e truzzissimo Derek Mears.
Si va avanti per inerzia e con poche idee (ma c'è una piccola sorpresa che riguarda uno dei personaggi del primo capitolo, totalmente dimenticato nel secondo) con Victor Crowley che mena strage con la complicità di famelici alligatori e composizioni di resti umani addobbate sugli alberi in piena modalità
Cannibal HolocaustSi ritrova la Caroline Williams di
Non aprite quella porta 2 e lo Zach Galligan di
Gremlins, una particina un pò inutile per Sid Haig e la final girl di Danielle Harris che acquista più carisma rispetto al secondo capitolo essendo ammanettata praticamente per tutto il film.
Curiosamente niente sesso o nudi e morigerato anche il torpiloquio. Più un grezzo e rudimentale spessore psicologico del mostruoso Victor Crowley, che pronuncia "papà" alla vista del vaso che contiene le ceneri del genitore.
Ma è nel finale che il filmaccio decolla, mutandosi in una specie di viet-movie, con elicotteri tra la nebbia, fiamme, un campo di battaglia che non risparmia nessuno (o quasi) e devastanti colpi di mitragliatore.
Per il sottoscritto la saga di Victor Crowley finisce quì. Non ai livelli del primo, ma un gradino meglio del secondo.