Fuori dalla Hammer quel che rimane è la paura Classico (che più classico non si può) thriller complottistico alla Robert Aldrich delle Carlotte, che però, nonostante la standarizzazione, ha uno stile goticheggiante e decadente ben reso dall'abilità registica dello scafato Anderson, che, intinge il tutto nei cromatismi baviani della meravigliosa fotografia di Ted Moore (gli interni della serra hanno anche un chè di estetismi pre greenawayani) e negli eleganti movimenti di macchina tra gli immensi stanzoni della villa.
Il canovaccio alla
Diabolici è sempre quello e non cambia (e lo spettatore più smaliziato ci arriva sù già a 20 minuti di film, anche perchè i personaggi che gravitano intorno alla misteriosa vicenda fatta di tormenti, angosce, persecuzioni e apparizioni fantasmatiche sono, alla fine, solo tre-se si esclude la domestica-), ma Anderson sà tenere comunque una discreta tensione e un certo interesse per come si andrà a sbrogliare il bandolo dell'arcana matassa.
Due momenti davvero ben resi (l'apparizione del fantasma di Dominique che cammina, zoppicando, nel corridoio che porta alla serra verso un'angosciato Robertson, lo spettrale volto di ghiaccio di Dominique che punta Tony nell'attimo della rivelazione finale), qualche argentata ben piazzata (lo sfondamento del lucernaio della serra, la mano guantata dell'assassino durante l'omicidio del dottore) e una chiusa di rabbia vendicativa femminea sufficientemente crudele (le rivolverate) fanno alzare leggermente la media di quello che alla fine è la riproposta dei tipici "neri" della Hammer tipo
L'incubo di Janet LindtAlcune parti un pò monotone (Robertson che si aggira continuamente nelle ispezione notturne casalinghe, perseguitato dal fantasma di Dominique che le toglie il sonno, il pianoforte che si mette, ogni notte, a strimpellare le stesse note, la voce di Dominique che lo chiama), riscattate dalla lapide "dedicata" a Robertson con la data di nascita e quella di morte con la scritta SOON, la spilla di Marjorie sul vestito blu di Dominique (per farla passare per ladra), l'epressione glaciale di Simon Ward, la bellezza di Jenny Agutter, l'idea di far zoppicare la Simmons (che l'aria da pazza esaurita ce l'ha), il corpo di Dominique che penzola nella serra, il macabro manichino "scherzoso", la risoluzione del mistero parecchio telefonata e assai forzata ma in linea con la struttura complottistica del film.
Anderson è quel gran professionista che è e non ha bisogno di presentazioni, che dopo due gioielli (uno della fanta70, l'altro nel campo degli animali assassini) dà il suo contributo al genere con certa classe (comunque superiore al più anonimo
Squilli di morte) e polso ferreo, con alcuni particolari registici che balzano all'occhio (le viti della bara di Domique da svitare, Ward che non riesce a sfondare la porta della serra chiusa a chiave) e una cura formale (soprattutto per gli interni, dove si svolge gran parte del film) di certa finezza (Anderson, poi, in controtendenza con i tempi, lascia fuori violenza grafica e nudità per concentrarsi sulla suspense e l'opressione).
Malinconiche le musiche di David Withaker e suggestiva l'atmosfera autunnale e decadente.