Grande titolo (è un ottonario sdrùcciolo). Curioso, talora un poco sgradevole, film d'ambiente milanese, che vede Giobbe, impaziente per amore d'una prostituta, svaligiare e uccidere. L'inverosimiglianza è talora compensata da trovate interessanti, talaltra condannnata dallo sfociare in un grottesco che si fa imbarazzante. Insolito, non lo si dimentica, ma non è, a dirla tutta, granché. Bellissima la magiara Méhes (anche cantante: vedi youtube), zoccola fatale, che batte con materasso applicato alla schiena per consumare in piedi, ma morbidamente.
MEMORABILE: Il congresso, carnale e verticale, con la Méhes.
La prima parte per quanto scombiccherata ed indecifrabile, come del resto tutta la pellicola, ha i suoi perché: in primis le riuscite atmosfere notturne ma anche il tentativo di intraprendere le strade del noir-pulp italiano. Peccato che poi arrivi la seconda parte in cui tutto quanto di buono visto in precedenza naufraghi tra tanta noia e un mal riuscito uso del grottesco e del sopra le righe. Mediocre, ma non inguardabile.
MEMORABILE: Il materasso portatile; Haber si allontana da una partita a poker dicendo: "Vado a cambiare l'acqua alle olive".
Una Milano che sembra postatomica, dall’efficace dominante grigio-blu, fornisce un’insolita atmosfera a un prodotto che – al contrario di molti film similari – funziona soprattutto quando si lancia nel grottesco, mentre scivola quando si immerge nel pasoliniano-caligariano (imbarazzanti le parentesi di squallore familiare) o, ancora peggio, nel La rabbia giovane da banlieu meneghina (anche se, come riporta il titolo provvisorio, si uccide "solo per amore..."). Prodotto non riuscito ma curioso, che sconta, purtroppo, una seconda parte debolissima.
L'esordio di Alessandro Di Robilant alla regia è di quelli che la buttano subito sul grottesco; su una sorta di giovanilistico/sentimentale che attinge a una disturbante arte visiva e un certo cinema di rottura più nella forma che nella sostanza. La nebbiosa Milano d'antan è sempre efficacissima. Maurizio Donadoni (attore di estrazione teatrale un po' sottovalutato) e la bella Mariette Méhes (qui al suo commiato artistico, benché giovane) sembrano sul pezzo, ma la sceneggiatura e quindi l’interesse reggono solo per il primo tempo.
L'inizio sembra promettere bene, con uno stile registico (siamo al debutto) molto underground che mette in evidenza la parte "sporca" e decadente di una Milano che fa da contraltare allo yuppismo dilagante di quegli anni. La storia vive di momenti interessanti (l'allucinante incontro con la famiglia di lui) e di altri meno, soprattutto concentrati nella seconda parte (fiacca e priva di verve). Donadoni tutto sommato apprezzabile, Haber abbastanza sprecato mentre la Méhes è invalutabile. Potabile soprattutto per l'atmosfera che si respira.
MEMORABILE: Il materasso portatile; La madre "guardona"; La rapina nel negozio.
L'improvvisazione è costante e sbarella non solo al di fuori della realtà ma anche della più fervida e acuta immaginazione e perfino dal patetismo più lancinante, raggiungendo così una realtà virtuale che è a un palmo dalla perfezione, quasi come nel marraciniano Un attimo di vita (a confronto del quale è solo più sdolcinato, ma sono due film unici). E' chiaro che il film va assolutamente visto, ma aspettatevi di tutto, perché non c'è battuta o situazione più insana e surreale che non si incastri con la successiva come in un caleidoscopio.
MEMORABILE: "Tosa! Se vuoi trovare la mammina fatti un giro nella vagina"; "Guarda come pistola bene il mio Giobin"; "Rispetta gli invalidi, stronzino".
Solitamente l'opera prima, di un regista, uno scrittore, un musicista, tenta di sintetizzare e racchiudere in un contenitore l'esplosione di tutti i suoi istinti più basici, fino ad allora trattenuti e non ancora filtrati da mestiere e maniera. L'effetto immediato può essere rozzo e incoerente, eppure questo lungo videoclip punk sulla vita di un ratto schizzato che scorrazza in una metropoli grigia, fredda e demoralizzante, tra una fauna che pare vivere solo sottoterra, padrona solo del proprio corpo, riesce a farci vedere ciò che spesso ignoriamo: la periferia umana che ci assedia.
MEMORABILE: Giobbe scavalca il muro che separa la sua topaia dalla città; Il fascino gelido di Rowena; Giobbe che si sistema il fucile a pompa sotto il giaccone.
Alessandro Di Robilant HA DIRETTO ANCHE...
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Il titolo del film si riferisce ad una frase che la protagonista femminile dice, alla mamma del suo compagno, riferendosi alla sua genitrice: "Anche lei fumava il sigaro"
Cotola ebbe a dire: Il titolo del film si riferisce ad una frase che la protagonista femminile dice, alla mamma del suo compagno, riferendosi alla sua genitrice: "Anche lei fumava il sigaro"
E, se ricordo bene, la frase viene da una vicenda autobiografica del regista.
Grazie, mi hai aiutato a collocare un ricordo: di quella lontana visione non so perché mi era sempre rimasta impressa la scena in cui Donadoni s'infila il fucile su per la schiena