Aka - Film (2023)

Poliziotto delle forze speciali si infiltra in una gang criminale il cui capo è sospettato di proteggere un presunto terrorista. Riesce facilmente a farsi apprezzare ma la faccenda si complica quando inizia a riaffiorare l'umanità sepolta sotto vent'anni di lavori sporchi... Tra poliziesco e thriller con risvolti di critica politica, un bel film francese ruvido e tosto come il suo protagonista, ottimamente interpretato da Lenoir: dopo averne mostrata la mancanza di scrupoli sin dalla prima sequenza, ne viene mostrata l'evoluzione successiva senza indulgere in patetismi o forzature.

Film d’azione ma anche di denuncia, con un protagonista quasi invulnerabile e apparentemente privo di scrupoli, ma che a lungo andare si rivela più umano dei suoi burattinai, invece disposti a compiere qualsiasi nefandezza in nome di una presunta ragion di Stato. Qualche stiracchiamento nella fase centrale, ma la storia (fra agenti infiltrati, terrorismo, criminalità e drammi familiari) complessivamente funziona, le sequenze spettacolari sono ben girate e l’essenzialità dell’epilogo lascia comunque spazio alla speranza. Nella media gli interpreti.

"Crime" francese prodotto da Netflix, ha per protagonista un agente infiltrato in un'organizzazione criminale. Centrale il cambiamento del protagonista che riscopre, grazie al rapporto con un bambino, la sua umanità. Al netto di qualche "frettolosità" nella sceneggiatura, la vicenda ha una certa verosimiglianza, aiutata dalla bravura e credibilità del protagonista, Alban Lenoir, neo star del cinema d'azione. Nel complesso, un buon esempio di intrattenimento, con un'efficace realizzazione delle scene più movimentate.

Polar di stampo moderno in cui l'azione pura e violenta si mescola con quell'esprit "il più pulito ha la rogna" che tanta gloria ha dato al cinema francese (e non solo) di genere. Le ambigue macchinazioni fuori schermo sono stavolta invero un po' cervellotiche, il che causa un lieve attorcigliamento della parte centrale in cui non si capisce bene chi fa cosa a chi e perché. Dalibert, aiutato anche da un cast scelto con cura (sugli scudi Lenoir e Cantona), se la cava comunque più che bene, garantendo ritmo e un certo afflato di tragicità che riesce a non tracimare nell'inverosimile.

Continua la produzione di genere polar d'azione francese di livello più che buono, anche quando non raggiunge gli apici di Marchal e altri. Merito di certe facce e di regia, storie, dialoghi, situazioni, che altrove mancano del tutto o che non si è capaci di imbastire. Buone le prove di Lenoir e Cantona, oltre che la realizzazione delle scene di sparatorie - mai troppo incomprensibili - che possono benissimo rivaleggiare con quelle di uno Zahler. La trama è una sorta di citazione dal film di Chouraqui poi rifatto da Tony Scott, inevitabilmente derivativa ma equilibrata.

La regola dell'infiltrato non sbaglia mai(nstream). O quasi. Magari sfumando ulteriormente e più ambiguamente il combattimento interiore tra fredda ed efficiente professionalità a costo dei sentimenti e il lasciar prevalere questi ultimi a rischio della riuscita della missione si sarebbe sollevata di qualche anomalo metro l'onda del grande cinema, specie disponendo del sembiante di Rooker in versione schwartzoide. Stabilito che la Francia ha solo in Besson il terzista vate, anche americaneggiando etilotaralluccescamente Dalibert si mostra firmatario di genere granitico. Quindi: sì!