FALSI D'AUTORE-Perduti e ritrovati
Cinema minimalista quello di Pialat, che rifugge estetismi e si concentra sul realismo della quotidianità (dalla lezione bressoniana a uno stile quasi pre-dogmatico)
Un racconto scarno, vivido e penetrante di una ragazza e i suoi amori (fuori dal letto di uno , per infilarsi nel letto di un'altro), intensamente interpretata da una Sandrine Bonnaire che si dà anima (e corpo) alla macchina da presa dell'ostico regista francese.
Dopo un incipit estivo sullo stile de
La svergognata biagettiana (notevole tutta la parte in cui la Bonnaire si incammina su uno stradone desolato bruciato dal sole estivo, per incontrare il suo ragazzo che sosta in una tenda in mezzo ad un prato o l'incontro con il ragazzo americano, che dopo averla "sverginata", farà finta di non conoscerla seduto al tavolino di un baretto) il racconto di formazione sull'amore pialatiano si sposta in una Parigi livida e anonima, dove la Bonnaire si muove tra festini tristissimi a base di spumante, tutti insieme appassionatamente a piedini nudi e del tutto senza vestiti ("
Sono ciucca", "
Anch'io"), battibecchi , gelosie, e soprattutto ragazzi, che crede di amare ma non ama, perchè più che amare vuole essere amata (e significativa, a questo punto, la scena in cui Suzanne, appena sposata, si fa tastare le gambe sotto il tavolo da un'invitato alla cena)
Tra ficcanti dialoghi con il padre (magnificamente interpretato dallo stesso Pialat, che donerà la parte migliore del film, quando alla fine di una festa casalinga, sbatterà in faccia a tutti-familiari compresi-il suo rancore) e furenti litigate con una madre bigotta e isterica che sfiorano il grottesco (la madre esplode in scenate schizofreniche contro la figlia, le due si menano e si insultano, il fratello maggiore dà man forte alla madre inveendo sulla sorella caricandola di botte e parolacce, in un quadretto familiare disfunzionale che sconfina nella follia), toccando incestuosità latenti (il fratello geloso, possessivo e manesco) e situazioni paradossali (la madre si infervora e esplode in un turbinio di demenza violenta, per poi far finta che nulla sia successo)
Pialat racconta la vita, senza orpelli, ma con uno stile rigoroso, sobrio, e si avvicina alla realtà come pochi autori sanno fare, con dialoghi spesso crudi, una Bonnaire che dona tutta sè stessa (notevole l'incipit, dove Pialat la filma sulla prua di una imbarcazione da dietro, con sottofondo il suggestivo commento musicale di Klaus Nomy), tra scoppi di allegria, tristezza e ritraendo perfettamente la vita affettiva (e quotidiana) di una ragazza parigina di sedici anni come tante, con le sue amarezze, le sue illusioni e la sua febbrile voglia di sesso e amore, che però non la soddisferà, a meno che...
Una Parigi notturna come quella di
Police (uscire per andare al cinema o affittare una stanza d'albergo) e piovosa (le bellissime sequenze della Bonnaire sotto la pioggia) fanno da sfondo al cinema intimista di questo autore personalissimo che, come pochi, sa riprodurre sullo schermo la vita vera, senza filtri o inganni.
Bellissima Valérie Schlumberger, improbabilissima fidanzata del fratello "sfigato" della Bonnaire.
Dialoghi spesso taglienti, un impianto quasi "teatrale" (le scene di famiglia, a volte irresistibili nella loro alienazione, sono le parti migliori del film) e la spontaneità della Bonnaire fanno brillare questo
Tempo delle mele come lo girerebbe Catherine Breillat.