Dopo la morte della moglie, il cronista di un piccolo giornale locale sfoga il suo cinismo sul prossimo. Scritto, diretto e interpretato da Ricky Gervais, After Life ha le caratteristiche di una commedia nera ad episodi. Politicamente scorretto per eccellenza, il protagonista sottolinea con ferocia i paradossi della realtà che lo circonda, rifuggendo il buonismo e la tradizionale elaborazione del dolore. Circondano il personaggio principale, figure secondarie non sempre di spessore ma interpretate da attori credibili. Amaro e realistico.
Serie firmata da Gervais che parte da uno spunto un po' liso (vedovo inacidito dalla recente perdita) ma prende quota nelle prime quattro puntate sfruttando non solo il solito personaggio dell'attore inglese ma anche una storia che procede spedita non concedendo nulla alla melassa ma anzi insistendo sugli aspetti più sgradevoli del lutto. Già dalla quinta puntata, però, cominciano a spuntare canditi che si tramutano poi nell'immensa pastiera della puntata finale, in cui tutto si risolve e tutto si appiana. Personaggi secondari un po' banali ma azzeccati.
La prima stagione parte bene: regala diverse risate grazie al suo black humor. Poi si fa strada il sospetto della programmaticità: e viene confermato dagli ultimi due episodi ad alto contenuto glicemico. La seconda stagione segue più o meno le orme della prima. I bei momenti comunque non mancano, così come i sorrisi e la commozione. Non tutti i personaggi sono memorabili, ma sono ben caratterizzati. Il protagonista è una di quelle figure umane viste mille volte ma che funziona bene. Piacevole, ma un po' sopravvalutata.
Serie tv inglese ottimamente scritta e interpretata da Gervais. Dosa perfettamente cinismo e momenti agrodolci: si ride, ci si commuove e soprattutto si riflette parecchio. Il protagonista, autore per l'appunto, non catalizza solo su di sé l'attenzione come potrebbe sembrare a un prima visione superficiale. Il microcosmo dei personaggi è ricco e variegato. Si va dritto al punto, senza la paura di offendere i "parrucconi" benpensanti. Gran livello.
Una serie piuttosto debole ma tutto sommato godibile. Apprezzabile il tentativo di Gervais di "contaminare" la sua consueta spietata comicità con il sentimento: il dolore della perdita, la difficoltà di ritrovare un contatto con gli altri. Il tema sembra sentito e sofferto, ma ne risulta una scrittura problematica: ogni tanto si ride - grazie soprattutto ad un grande cast di supporto -, ma quando si passa al registro "serio" si rischia il melenso, l'indigesto. Seconda stagione meglio della prima, sebbene ridondante: la sostanza, infatti, rimane identica.
Lontano dai fasti e dai mezzi di altre serie - e al netto di una confezione molto elementare - "After Life" riesce a coinvolgere per la capacità di non speculare su un tema tanto delicato quale quello della perdita dando valore al lato umano che circonda la vita in quei frangenti, esaltando un sincero sentimento di riscatto. Gervais riesce a dare spazio a tutto il cast nelle scene leggere e non scivolare nel melò nei passaggi più delicati (forse troppi nella seconda stagione). Il suo humor dissacrante da stand-up è lontano, ma il suo messaggio esistenziale molto tangibile.
MEMORABILE: Il postino; Le chiacchierate al cimitero; I video al PC; Lo psicologo.
Ricky Gervais è maestro di umorismo nero, cinico, feroce ed è in questo modo che si approccia la prima stagione. Ma presto i meccanismi della sua commedia classica saltano e i molteplici tasselli che compongono il caleidoscopio di umanità di una non meglio definita cittadina britannica iniziano a suscitare affetto; la loro natura rotta, screziata, fa breccia nel cuore dello spettatore e si compone nel disegno di un'unica, bizzarra, grande famiglia. Il carattere ironico di Ricky è sempre lì, a fare da collante, ma in modo più edulcorato. Assai gradevole, da vedere in inglese.
Depresso dopo la morte dell'amata moglie, il protagonista rinuncia al suicidio solo perché il cane non sa aprire le scatolette... Serie tv incentrata su un'elaborazione del lutto basata su quello che viene da lui definito un "super-potere", ovvero la sgradevolezza nei rapporti sociali, sorta di guscio protettivo che lascia trasparire una grande fragilità. Non mancano i momenti felici e le battute fulminanti come era lecito attendarsi da Gervais, ma nel complesso le aspettive sono in parte disattese dall'eccesso di sentimentalismo e dalla scarsa definizione di alcuni personaggi.
Grande esempio di politicamente scorretto, con la verve corrosiva di un gran Ricky Gervais che urta una popolazione britannica piena di complessi, debolezze, bruttezza e povertà spirituali... Nella prima stagione il Superpotere sono il cinismo e la mancanza di buona educazione così prepotentemente inculcata nei bravi sudditi della Regina... Vittoria. Ottimi gli altri attori. Purtroppo la seconda stagione alterna fasi scintillanti a fiacche mentre la terza stagione contraddice tutto della prima. Peccato.
MEMORABILE: La redazione e i "casi"; La panchina del cimitero; La madre del flautista; Il peggior psicologo mai visto in tv (eppure il più realistico); Kat.
Pur mantenendo l'essenzialità delle serie britanniche, che non eccedono nel numero degli episodi, la serie di Ricky Gervais riesce a renderci parte di un mondo intero. Un microcosmo di personaggi ispirati e memorabili esposti tanto nelle loro fragilità che nelle piccole grandi sfide quotidiane. Tra humor e dolore, follie e disperazioni, partecipiamo empaticamente a una grande storia di amore e umanità. Qualcosa che ci lascia il cuore più aperto.
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In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
La terza stagione è pietosa. La cosa peggiore, è data dalla zero verosimiglianza delle vicende, piena di colpi bassi furbetti per far piacere al pubblico. ammiccamenti, lieti fini, soluzioni ex machina, visite a persone a caso beneficiate senza un perché. Intanto non hanno rinnovato il contratto a tre degli attori più interessanti e intriganti: rendendo monchi almeno tre archi narrativi monchi. Oh, e la cosa più penosa è vedere Ricky Gervais campione di tennis. Va bene perdere tempo per riempire il minutaggio, ma c'è un limite a tutto.
tantissime canzoni della tradizione angloamericana, da Bowie a Cat Stevens, sia sul tema della vedovanza, sia sul tema della solitudine.
Particolarmente azzeccata Top of the World (1972) dei The Carpenters (fratello e sorella) che apre l'episodio 1 della seconda stagione. La melodia e il tono probabilmente riescono a convincere di un barlume di Speranza anche chi non riconosce le parole del testo, peraltro notissimo:
"Everything I want the world to be Is now comin' true especially for me And the reason is clear, it's because you are here You're the nearest thing to heaven that I've seen "