Riflessione su "Cannibal holocaust"

27 Maggio 2007

Quattro reporter partono per la giungla amazzonica scomparendo nel nulla. Chi si metterà sulle loro tracce ritroverà sulla strada il video che i quattro stavano girando prima di finire chissà dove. Un video atroce, che ancora doveva essere assemblato e montato, un video che mostra in tutta la sua efferatezza la duplice natura di quei reporter, pronti a commettere di persona ogni atrocità pur di documentare un orrore ampliato a dismisura che possa trasformarsi in uno scoop epocale.

Semplice, immediato e a suo modo geniale, il soggetto di Cannibal Holocaust è il terreno fertile su cui spargere i semi della ferocia, la tela bianca ove dipingere scenari selvaggi pronti a far contrarre gli stomaci degli ignari spettatori.
Ma Cannibal Holocaust non è nato dal nulla: nell’Italia di fine Settanta il cinema guardava al nuovo decennio senza più doversi autolimitare, come spesso era stato costretto a fare per non incorrere in tremende censure. Anzi, c’era un gran voglia di colpire con scene trasgressive, con sangue e budella gettati in faccia senza remore. Erano anni in cui, oltre al solito Argento, anche il genio di Lucio Fulci stava per preparare l’assalto alle nostre coronarie con la trilogia memorabile di L’Aldilà, Paura Nella Città dei Morti Viventi e Quella Villa Accanto al Cimitero, tre autentici classici horror vagamente lovecraftiani grondanti sangue e frattaglie.

 

Nell’ambito del cinema avventuroso ci aveva già pensato Lenzi nel lontano 1972 a scuotere gli animi con il suo Il Paese del Sesso Selvaggio. Ancora qualche sussulto, qualche assestamento e poi Ruggero Deodato, che con Ultimo Mondo Cannibale aveva già dato un contributo non indifferente al genere, spara il suo colpo migliore. Il film di una vita, uno di quei capolavori maledetti che ti segnano l’esistenza rendendoti ardua la risalita al dorato mondo del mainstream. Dapprima censurato, odiato, citato come esempio della degradazione del nostro cinema, Cannibal Holocaust si trasforma col tempo in uno dei più incredibili fenomeni underground, un autentico cult tra i cult. Non solo per i suoi insostenibili eccessi, per le sue scene d’inaudita violenza, ma anche perché – attenzione! – ci si accorge che in fondo non è girato affatto male! Che la trovata del film nel film (come tutti ormai sanno ripresa pari pari nel celebre Blair Witch Project) funziona eccome! Che la recitazione non convenzionale dei protagonisti (Luca Barbareschi, chi mai era al tempo?) si sposava magnificamente a quell’atmosfera documentaristica grazie alla quale si pretendeva di spacciare il film come fatto realmente accaduto.

 

Deodato raggiunse qui un’alchimia irresistibile invano perseguita qualche anno dopo con Inferno in Diretta (buon avventuroso comunque, del quale la mai troppo lodata Anchor Bay ha tratto un dvd con traccia italiana che è uno splendore, garantito integrale e con una qualità d’immagine che fa impallidire la vecchia e tagliata Vhs Image!). Probabilmente allora nemmeno se ne rese conto; solo adesso, con decine di siti dedicati al film, altrettante edizioni in dvd, richieste di conferenze sul tema e interviste per special d’ogni tipo ha compreso di aver firmato una miniera d’oro in celluloide. Serve parlare ora delle famigerate scene sulle torture animali che più di ogni altre han fatto gridare allo scandalo i benpensanti?

Ci sono, certo, e possono effettivamente dare adito a proteste moralmente ineccepibili. Ma erano altri tempi, i film di cannibali pareva non potessero prescinderne e alla fine non resta che rammaricarsi del fatto che Deodato abbia esagerato finendo per caratterizzare il suo lavoro in una direzione che non è quella più importante, nel film. E’ molto più intrigante accompagnare Barbareschi e compagni tra le verdi giungle amazzoniche, tra sprazzi paludosi del grande Rio mentre la musica indimenticabile di Riz Ortolani, con un contrasto memorabile, suona note soavi a commento di scempi nefandi.

Il film di Deodato è uno dei rari casi di sotto/sopravvalutazione. Sottovalutato da chi lo reputa uno stolido campionario di bassa macelleria, sopravvalutato da chi al contrario lo ritiene un capolavoro inarrivabile di falso cinema-verità. Appassionati e critici si sono divisi, con i primi pronti allo scontro ideale contro i secondi, ritenuti incapaci di comprendere il coraggio e la forza di Deodato. L’importante è sapere a cosa si va incontro, adesso che il dvd é uscito anche in Italia in un’edizione superlusso firmata Alan Young Pictures. Un’edizione che ha venduto tantissimo e che è la tangibile testimonianza di quanto dvd tecnicamente ottimi possano essere prodotti perfino da noi.

 

Cannibal Holocaust fa parte della storia del nostro cinema di genere, di quella frangia avversata  dai cosiddetti benpensanti che, finalmente, sta incontrando la sua giusta rivalutazione grazie all’opera meritoria dei sempre più numerosi specialisti del campo. Nessuno può scientemente consigliare la visione di un film come questo come fosse acqua fresca. Dovessero trasmetterlo su Mediaset comparirebbero tre bollini rossi  appaiati in fila, e va detto che raramente il divieto ai minori di 18 anni ha trovato migliore giustificazione. D’altra parte è solo capendo cosa ha portato alla nascita di film come Cannibal Holocaust che si comprenderanno le ragioni della deriva splatter del cinema italiano dei primi Ottanta. Stupire, scioccare, andare oltre con ogni mezzo era un modo per mascherare l’inevitabile povertà di mezzi con la quale le nostre produzioni si sono sempre dovute confrontare. Ad averli gli spettatori che affollano le sale americane… Qui siamo sessanta milioni, ficchiamocelo in testa. Eppure in quegli anni il nostro cinema sapeva colmare l’insormontabile gap col mestiere e la fantasia. Guardate Mario Bava, un pioniere riconosciuto capace di girare un film di fantascienza (Terrore nello Spazio) con quattro rocce di cartapesta e un po’ di fumo colorato ammaliando i cinefili di tutto il mondo (chiedere a Tarantino…) Si potrebbero citare un’infinità di aneddoti maturati sul conto di Cannibal Holocaust, sulle famose scene intraviste nelle foto di scena e mai montate (quella coi piranhas), sull’enorme numero di paesi nei quali è stato censurato (compresa l’Italia, in un primo momento), ma l’unica cosa da fare per rendersi conto di cosa stiamo parlando è mettersi comodi e vederlo (possibilmente prima di aver mangiato). Vi farà ribrezzo, vi infastidirà, vi attrarrà… di sicuro non vi lascerà indifferenti.

 

APPROFONDIMENTO INSERITO DAL BENEMERITO ZENDER

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commenti (2)

RISULTATI: DI 2
    Matalo!

    18 Novembre 2017 15:56

    Bello,Zender. Io aggiungerei anche altro
    Matalo!

    18 Novembre 2017 18:18

    È molto ambiguo questo film; riesce a giustificare il godimento voyeuristico utilizzando come protagonista l'occhio guardone per eccellenza, l'obbiettivo, che è selettivo.Inoltre abbiamo il "chi riprende chi"; ai fini del documento riprendere chi riprende sarebbe inutile. Ma con questo artificio Deodato giustifica una messinscena atta allo spettacolo pur mantenendo attivo l'occhio del documentarista. Non esce dal campo obbligato di un found footage e riesce a far cinema. Le crudeltà agli animali sono "anche" gratuità per soddisfare il gusto morboso di vedere la morte cruenta ma c'è sempre l'alibi narrativo del reportage a parare le spalle. Gli animali non han scelto di morire e regalare i loro spasmi al nostro sguardo protetto. Ma comunque è un aspetto etico che lascerei da parte e non inserirei mai in un commento (l'occhio di capra de l'Age d'or nessuno lo ha mai criticato ed è una scena più violenta di qualunque di quelle di C.H. O il citato, nei commenti in Davinotti, maiale de L'albero degli Zoccoli). Diciamo che meglio avere gli animatronic dato che oggi sappiamo che gli animali sono qualcosa di più di ciò che pensavamo nel 1979. Certo c'è la spettacolarizzazione della loro agonia ma basta un riso di Barbareschi mentre amputa la gamba della guida per ristabilire le responsabilità. E mai attore più odiabile di lui poteva essere scelto. Insomma, non è certo nato qui, in questo film, l'idea di macellazione e morte come spettacolo. Ma è indubbio che alcuni confini vengono travalicati in un blockbuster; si può dire anche che una parte del cinema abbia sempre avuto attrazione per la messinscena sempre più dettagliata del grand guignol. Il cinema diviso tra morale della visione e delirio liberatorio sconfinato. E in quanto a morale ecco una pecca di questo film: gli intervalli in cui Monroe discute con la collega sull'inopportunità di rendere noti i filmati. Forse un modo per centellinare il materiale più succulento. Io avrei preferito una divisione gelida e implacabile in cui fossimo sottoposti ad un continuum senza uscita del footage.