Ho paura di lui - Film (1951)

Opera minore di Wise dal sapore marcatamente hitchcockiano: i modelli più espliciti sono Rebecca (basti vedere la presenza di una domestica sempre più perfida ed ingombrante) e Il sospetto (con marito, forse, in odore di uxoricidio e non solo e con un bicchiere di aranciata al posto del latte). Peccato che, ovviamente, la tensione sia minore che nei film del maestro a causa di una sceneggiatura troppo piatta e prevedibile. Il mestiere però non manca ed il risultato è comunque sufficiente.

Non male, dopotutto, anche se da un regista del calibro di Wise era lecito aspettarsi qualcosa di meglio. Intendiamoci, il film è girato bene (ottima la fotografia di Lucien Ballard) e gli attori sono bravi, ma la sceneggiatura è quantomai semplicistica e, per chi ha visto più di un thriller, arrivare a comprendere i vari snodi narrativi e i presunti colpi di scena si rivelerà un gioco da ragazzi. La tensione è comunque presente e si palesa in più di un occasione (l'auto sabotata, la Cortese che rischia di cadere da un precipizio).

Film dal quale mi aspettavo di più. Bellissima e bravissima la tormentata Cortese, buon villain Basehart, da citare anche la domestica malvagia. Splendide la casa e la piccola casupola con buco sul precipizio; il problema, però, è che nonostante interpretazioni ineccepibili il film non riesce a catturare e a mettere eccessiva tensione (a parte il pre-finale, quello con la giusta tensione) come i suoi fratelli dell'epoca. Girato con mestiere, ma sicuramente un titolo minore dal quale ci si aspettava di più.

Reduce da un campo di concentramento, una profuga polacca che ha assunto l'identità di un'amica morta per poter andare negli USA deve vedersela con un lontano parente di questa ed una faccenda di eredità... Thriller con vistosi debiti hitchcokiani ma esiti ben lontani da quelli di zio Alfred: nonostante alla regia non ci sia un tizio qualsiasi, anche lo spettatore meno smaliziato ci mette poco a mangiare la foglia, azzerando la tensione che si rianima un poco solo nel concitato finale. Discreta prova del cast, pur alle prese con personaggi non molto convincenti come quello della protagonista.

Una donna si spaccia per un'altra nella disperata ricerca di un'identità migliore, ma gli imprevisti non si contano, a parte i propri debiti di coscienza. Inizia come il futuro Anastasia, si sviluppa alla Hitchcock, con tanto di complotti e colpi di scena che tengono desta l'attenzione. Su tutto la bravura della nostrana Valentina Cortese, affiancata dal marito (si sposarono giusto quell'anno), altrettanto efficace. Al solito, dentro a un triangolo amoroso si troverà la soluzione a tanto soffrire e dubitare.

Robusto noir di Wise che fa della intricata storia del romanzo di Dana Lyon il suo punto di forza. Dopo una prima parte piuttosto lineare (ma non priva di interesse), la vicenda si intorbidisce come nella migliore tradizione del genere fino a un finale ricco di sorprese. Grande prova della nostra Cortese, che con la sua classe mette un abisso fra lei e il resto del cast, non particolarmente brillante. La regia appare a tratti insicura e non riesce sempre ad imprimere il ritmo giusto alla narrazione ma alcuni momenti mostrano già una grande mano che saprà rivelarsi meglio in seguito.

Generalmente considerato titolo minore nella filmografia di Wise, in realtà è un pregevole thriller dalla confezione impeccabile (fotografia di Lucien Ballard, musiche di Sol Kaplan) e con un incipit (la protagonista assume l'identità di una defunta compagna di prigionia in un campo di concentramento nazista) di folgorante originalità. Poi la sceneggiatura percorre strade più consuete, ma la tensione si impenna comunque nei momenti clou, e il finale è meno scontato di quanto potesse sembrare. Ottima prova della Cortese (era il suo periodo d'oro), non male il cast di contorno.