Buiomega71 • 17/01/20 10:56
Consigliere - 27163 interventi Ciò che l'occhio non vede-L'introspezione della visione.
La sgradevolezza prima di tutto (anche , e soprattutto, nelle riprese amatoriali, distorte e schifose del serial killer), dove il tanto abusato stile "mockumentary" è usato da Dowdle con intelligenza e impressionante iperrealismo , lasciandoti addosso una malsana amalgama di fastidio e degrado.
Se l'equazione "serial killer + POV" pareva, sulla carta, l'ennesima trovata per accodarsi ad un (de)genere "finto amatoriale" mischiato con il documentario, in definitiva i video di Poughkeepsie sono un viaggio all'inferno di sola andata, collezione mortifera e necrofora di vhs che vanno oltre il concetto di snuff, nel più putrido luridume del filmare la "morte in diretta" e quello che ne consegue (torture, umiliazioni, prigionia, tattica predatoria, rapimento, uccisioni).
Al di là dell'altissima atmosfera zozza e disturbante (tutto l'armamentario del provetto serial killer non viene risparmiato: voyeurismo, pedofilia, feticismo-le mutandine di Cheryl-, misoginia, necrofilia, mutilazioni, schiavismo) , Dowdle non infierisce poi tanto sul lato estremo della violenza, ma la suggerisce (lasciandola spesso fuori campo), amplificandone il disagio e l'insopportabilità della (re)visione.
Il realismo con cui mette in scena le interviste (ai profiler dell'FBI, ai medici legali, ai parenti delle vittime, ai poliziotti, alle stesse vittime sopravvissute, addirittura un'incontro con Ted Bundy) va di pari passo con le imprese "video amatoriali" del serial killer (che penetra nelle case con arguzia e abilità in pieno stile "slasher movie"), mostrando al mondo le sue agghiaccianti imprese criminose (il corpo nudo di una donna decapitata, fatta a pezzi con il seghetto, la testa dell'uomo infilata nel grembo della compagna, che sia nel sedile posteriore di un auto o nelle insostenibili immagini nel suo fetido scantinato, tra donne imprigionate costrette a farle da "schiava", prese a calci, incatenate , sgozzate, in un girone infernale che se la gioca con quello di
Megan is missing)
Le umiliazioni a cui sono costrette le sue vittime (la ragazza seminuda che deve far scoppiare il pallone con il sedere, grottesca pantomima sessual/mortificante, dove Dowdle-o il serial killer-zooma sul suo volto fino a riempire lo schermo), l'annientamento della personalità che sfocia nella sindrome di stoccolma ( a Cheryl fà indossare un'inquietante e spaventosa maschera da bambola, la veste da Biancaneve e la assoggetta al suo volere, riducendola ad una "real doll" senza volontà-a questo proposito esplicativo il suo ritrovamente da parte degli SWAT, chiusa dentro in una cassa, proprio come se fosse una bambola del sesso-infliggendole le peggio afflizioni, trasformandola in una sotto specie di Vulnevia phibesiana o in una Amanda sawniana), fino al ratto, allo stupro e all'uccisione di bambine (la piccola Jennifer Griswold) o all'emblematica sequenza in cui, nel più puro delirio onnipotente-tipico dei serial killer-decide di lasciare andare le due bimbe dei biscotti.
Alcune sequenze davvero terrificanti (gattonando e avanzando verso la sua ennesima vittima legata, indossando una maschera veneziana e conficcandole nel collo degli aghi fredkruegeriani), i corpi nudi e villipesi delle prostitute gettati nei prati (non dissimili da quelli di
Henry pioggia di sangue), e la passione necrofila che alza l'asticella del marciume (si eccita con i corpi delle sue vittime in stato di decomposizione, lo eccitano i vermi: Bundy dixit, la profanazione della tomba di Cheryl).
Diviso in capitoli, impietoso nel ritrarre il profilo di una mente devastata ( un po' più stonato quando se ne esce dai binari del genere per abbracciare cause sociologiche francamente inutili- vedi l' accusa contro la pena di morte-), con squarci alla
Koyaanisqatsi (le nuvole che impazzano nel cielo, riprese in velocità) e una dolorosissima intervista a Cheryl (a cui il film è farloccamente dedicato) con i denti spezzati e quel moncherino che difficilmente lascerà la mia mente.
Che Dowdle avesse un talento non comune lo avevo già intuito in
Quarantena (massacrato dai più, ma per il sottoscritto un remake all' altezza dell' originale), confermato, poi, nel non riuscitissimo
Devil, ma se è riuscito a farmi bere la storia documentata di un "vero" serial killer (cheppoi vero non è) e a "prendermi in giro" nonostante di visioni di questo tipo di film io non sia parco, sono solo punti che si aggiungono in suo favore.
Questa volta l'occhio vede troppo, anche dove non vorrebbe vedere.
Schramm, Metuant
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