Lucius • 24/03/10 05:14
Scrivano - 9052 interventiDario Argento dopo qualche anno torna a girare negli storici stabilimenti dell’ex De Paolis di via Tiburtina (Roma) per mettere in scena un giallo classico in cui però dita mozzate, facce sfregiate e pinzette che scandagliano tra le ferite delle vittime sono sempre lì a ricordare, grazie alla perfida abilità di Sergio Stivaletti, il suo recente passato gore. Il regista resta comunque fedele ad uno stile di ripresa che è ormai il suo marchio di fabbrica a livello internazionale: nei miei film, spiega, “si vede la macchina da presa, non la metto semplicemente davanti agli attori, interviene sempre ….”. Una mdp particolarmente nervosa mentre, con lunghe carrellate a seguire o a precedere la vittima di turno, si muove affannosamente lungo i vicoli bui di una Roma che sembra Praga.
Stile Dogma e dialoghi prevedibili
La pellicola sgranata e le luci naturali di Benoit Debie in stile “Dogma” accentuano l’effetto di verità e crudezza. Stefania Rocca, dopo l’esercizio di informatica in “Viol@” (Donatella Maiorca, 1998) interpreta Anna Mari, affascinante ispettrice in nero che odia il gioco per “motivi familiari”; il suo talento è, purtroppo, continuamente minacciato da dialoghi falsi e scontati dove ogni attore sembra che reciti la parte a memoria senza la minima naturalezza; in tale contesto le continue frasi da poliziesco americano hanno un suono ridicolo, quasi surreale. Dopo l’evitabile e sottolineato sfoggio didattico di termini internet (webcam, nickname, chat room, ...) o di gergo FBI (“l’edonista risk-taking”); il film procede in maniera troppo prevedibile, la trama è esile, manca di originalità e il cattivo si intuisce troppo presto.
Omaggi e citazioni
Il regista romano cita Sir Arthur Conan Doyle (“la storia del film è come un teorema matematico”); concede omaggi ad Hitchcock nell’inquadratura che segue i passi di un poliziotto (“Delitto per il delitto”) o in quella del corpo di una ragazza che emerge dalle acque (“Frenzy”); ma quando dichiara l’ispirazione al “Dr Mabuse-il giocatore” (di Fritz Lang, 1922) è legittimo gridare al sacrilegio!
“Il cartaio” dice “non è un film sulla crisi di qualcosa ma è su quella cosa che non conosce mai crisi: il male”. La sensazione però è quella di un lungometraggio che nasce da una ispirata immagine di puro cinema di genere: le ragazze imbavagliate visibili sul monitor in un piccolo quadro accanto al ghigno del jolly che presiede la partita a videopoker; ma questo riuscito momento di voyeurismo da snuff movie è subito imbrigliato in una tela di luoghi comuni e la parte oscura del racconto emerge a fatica, l’orrore diventa mestiere, le scene e i dialoghi appaiono artificiali e privi di interesse, fino all’epilogo che mescola con noncuranza sadomaso e buonismo. Un “rilancio” non riuscito, una mano che il cartaio Argento poteva forse passare o, perlomeno, bluffare meglio!
Ultima modifica: 24/03/10 05:15 da
Lucius
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