Maneggiare con cura: si tratta di una parabola di disfacimento della carne, metaforica quanto si vuole, ma che si traduce in una rappresentazione che può risultare insostenibile. Lo sfacelo esistenziale della giovane protagonista si "somatizza" attraverso un'allucinante metamorfosi putrescente. Il quadro è forse troppo compiaciuto, e strizza l'occhio alla mosca cronenberghiana e a "Cool air" di Lovecraft. Ma l'opera è forte, imperfetta e coraggiosa. Un debutto registico che non lascia indifferenti.
Il sonno delle emozioni può generare mostri? Non è detto, ma di sicuro genera un turbine autodistruttivo dove il disfacimento del corpo viaggia a braccetto con quello dell'anima. Il melting movie arriva nel nuovo millennio e anni dopo il seminale "Slime City" metaforizza l'animo umano tramite la putrefazione della carne. La giovane protagonista è per il mondo involucro vuoto, con l'unica funzione di dare piacere a maschi inutili e meschini. Omaggiando Seth Brundle e Buttgereit, Falrdeau non fa sconto alcuno. Se dotati di stomaco forte da non perdere.
MEMORABILE: Il melting definitivo nel finale; La collezione di barattoli in stile La mosca.
Non-vita di una neo-morta. Thanatomorphose: metamorfosi corporale di decomposizione e annientamento interiori passanti dall’esterno: dall’incolmabile vuoto esistenziale inflitto da spettri senza cuore. Notevole ballata grandguignolesca da camera, lividissima e claustrofobica, atroce e commovente. Cede qualcosa narrativamente mentre la messinscena dell’assunto non ha sempre la stessa efficacia, ma rimane un lavoro potente e virtuoso, un viaggio di dissoluzione imbevuto di disperazione e solitudine, marciume e interiora. Da premiare.
Horror da camera il cui solo strumento esecutore è il corpo umano disfacentesi a livelli pressoché enciclopedici, a cavallo tra l’apporccio ultra-minimale e la propensione all’autorialità, che non dissimilmente dal cuginetto Contracted fa leva su quel 2+2 che fa di tutt’eros un thanatos condannando sottilmente la libido (la masturbazione è il male). Annullato il limite tra spermatozoi e vermi, il poltergAids sovrasta l’opera, con le ombre del Cronenberg più purulento e del Buttgereit più necrotico sempre dietro l’angolo a far da sadiche madrine, convocate dallo spettro degli SPK più arty.
L'incubo inizia superati i primi venti-trenta minuti che per certi versi sembrano noiosi e disperanti ma che invece si dimostrano poi funzionali e preparatori a ciò che succederà in seguito. L'inesorabile autodistruzione ed il disfacimento fisico e psichico di un corpo e di un'anima messo in scena con una franchezza ed una radicalità quasi mai viste. La putrefazione però non è solo quella della carne ma in primo luogo quella interiore che deriva da "rapporti umani" (si fa per dire) di rara meschinità che non possono non inaridirti e distruggerti. Per menti e stomaci più che forti.
Permeato da un'opprimente atmosfera di morte e solitudine, questo body horror è senza dubbio uno dei più coraggiosi e atipici della storia del cinema. Si decompongono le carni, ricompongono pulsioni e si distruggono i rapporti. Un gioiello underground di gore estremo, con una protagonista straordinaria e un finale sconvolgente dai richiami fulciani.
Alla fine della visione si è colti da una vertigine: questa che ho appena gustato è una colossale, arrogante sciocchezza oppure, per mia colpa intellettuale, non ho recepito la profonda metafora sottesa? Personalmente sciolgo il dubbio: la risposta giusta è la prima. Tale purulento concentrato di cattivo gusto possiede, tuttavia, la pregnanza d'un documento sociologico: dimostra come la trasgressione necrofila e la provocazione antiumana accampino ormai i propri diritti nei territori dell'arte. Sic transit.
Ok la decomposizione fisica come metafora del decadimento interiore della protagonista e blababla, ma... era davvero necessario tirarla tanto per le lunghe e con tanta insistenza sull'aspetto più splatter della vicenda (comunque davvero notevole e ben realizzato)? Dopo un po' subentra la noia e forse un metraggio più contenuto averebbe giovato sul risutato finale. Pretenzioso e pretestuoso.
Atterrisce l'assoluta indifferenza con la quale la giovane protagonista accoglie lo spaventoso e inarrestabile decadimento del proprio fisico: dopo la morte dell'anima, la fatale disillusione nelle tre A (amore-amicizia-arte), quella del corpo, fino al disarticolato urlo che cade come corpo morto cade nei confronti di un'esistenza senza senso. Piuttosto cupo e triste, ben oltre lo shock visivo (che pure monta con irruenza): prima che body horror, una storia di estrema solitudine. Serviva un taglio di 15', magari sui superflui omicidi.
Body horror non adatto agli stomaci deboli, ma anche metafora di un malessere profondo che dalla dalla mancanza di stimoli e interessi per la vita può portate letteralmente (e allegoricamente) allo sfacelo mentale e fisico. Il regista ci racconta con abilità l'apatia di una giovane donna e il suo lasciarsi andare oltre l'umanamente tollerabile. Film intrigante, criptico ma con una sua potenza ed effetti davvero ben realizzati.
Il decadimento fisico (e psichico per estensione) portato al limite, specchio della solitudine e delle frustrazioni quotidiane della protagonista, chiusa in un mondo di relazioni anaffettive dove il sesso non va oltre il semplice atto corporeo. Il tutto si traduce in un lento processo di putrefazione (con grande dispendio di effetti gore di buona fattura, fra piaghe, secrezioni e copiosi sanguinamenti) intervallato dai patetici tentativi di autoconservazione della ragazza (dai "reperti" in barattoli in stile La mosca alle sculture con pezzi di carne incorporati). Lungo, ma valido.
MEMORABILE: Le immancabili cadute di unghie; Defecazione sulle gambe; I vermetti nella carne; I due amanti in gabbia come delle bestie; L'incredibile urlo finale.
Quasi un esercizio di stile alternativo che mette in scena la disfatta fisica, psicologica, attraverso l’evoluzione di una necrosi privata e l’involuzione di uno status sociale. Body-horror misantropo e malinconico, un viaggio negli inferi tanto allucinato quanto routinario e dall’incredibile resa gore. Un piccolo film di culto (s)fortunatamente destinato a rimanere confinato nei ripostigli più politically uncorrect del cinema underground.
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se a inglese navighi in acque discrete ce la puoi fare. i dialoghi sono pochi, scarni, minimali, e non importantissimi. vai tranquillo, la linea generale dell'opera si evince anche a prescindere da essi.
Schramm ebbe a dire: se a inglese navighi in acque discrete ce la puoi fare. i dialoghi sono pochi, scarni, minimali, e non importantissimi. vai tranquillo, la linea generale dell'opera si evince anche a prescindere da essi.
No, con l'inglese navigo proprio in cattive acque, ahimè...
Immaginavo che i dialoghi non fossero basilari per addentrarsi nell'opera (che mi par a occhio e croce molto parkinsoniana)
certo se non lo capisci minimamente è senz'altro fastidioso vederlo, ma alla fin fine non un ostacolo alla comprensione della storia. io mi butterei. d'altro canto quando ancora non esisteva il dvd e si facevano scambi in vhs con collezionisti i film che mi sono sciroppato senza uno straccio di sottotitolo, magari in lingue assurde, non si sono contati. diciamo che in certi casi vige sempre il "piuttosto che niente meglio il piuttosto".