Sadisterotica-L'estate torbida dello tio Jess
Franco mixa i suoi acuti suonati all'organo e la musica di Liszt per questo suo fellaution goticheggiante, tra acri sapori horror e un atmosfera fosca e decadente
Lina Romay (quì in versione bionda, ma non meno odorosa, carnale e preda di attacchi di fremente lussuria) viene angariata, umiliata, lasciata a bollire di desiderio da suo marito che le preferisce la compagnia maschile del bel Fiore e che non perde tempo per degradarla (soprattutto sessualmente)
Franco getta la sua eterna musa nei meandri della fustigazione sessuale e psichica, costretta a fare un handjob al marito e all'amante di lui (versione cupa e sadiana della Casini nella famosissima scena della doppia masturbazione in
Novecento) per poi essere volgarmente schernita, che spia il marito in amplessi omo, si sfoga safficamente sulla monachella smarrita (Susan Hemingway) a colpi di furente cunniligus o si lascia andare al sesso solitario strofinando il suo sesso voglioso e tormentandosi i capezzoli (accompagnandosi a risate sguaiate)
Franco rincara in cinismo e cattiveria (la bellissima sequenza a tavola, con la MDP che ruota intorno a 360°, dove la Romay viene derisa dal marito insieme ai suoi amanti-la monachella e il gayo Fiore-misto tra un
Histoire d'O in acido e la parodia del
Salò) tanto più è l'amore cieco e totale di una Romay dai grandi occhi spiritati e dalla bocca carnosa assetata di passione (e oscenamente aperta a cogliere il marito dentro di lei) , quanto la crudeltà del marito non fa sconti, pianificandone la morte.
La fotografia flou (con squarci di raffinata poesia), o in controluce che ne amplifica lo smarrimento sensoriale, si muove sinuosa tra candele, lampade a olio, fuori fuoco, giochi di luce, un mare oscuro e infinito, statue corrose dal tempo, le grandi scalinate della villa, i finestroni, l'immenso giardino labirintico quasi kubrickiano, le stanze da letto
Come non mai lo tio Jess amalgama suoni e immagini, fino a sfociare nella ghost story, con la Romay che come uno spettro margheritiano, con candelabro in mano, attua la sua vendetta.
Febbricitanti fellatio omosessuali (ai limiti dell'hard) da far invidia a Paul Verhoeven, rincorse gaye (
non mi prendi) tra i giardinetti che manco Ken Russell, sesso a tre con suorine perdute, un orgia che assume i tratti di uno stupro di gruppo, romanticherie d'accatto marchio di fabbrica dello tio, vagine sanguinanti pastrugnate, la coppia di amanti infilzata come in
Reazione a catena, il marito che sceglie l'arma del delitto (una spada) nella teca delle armi da taglio stile
La bestia uccide a sangue freddo, lo strangolamento della governante Wanda (Aida Gouveia) tipicamente franchiano, il surrealismo peculiare del regista madrileno (Fiore e Armando con cilindro in testa e look queer pronti per il festino orgiastico) le preghiere sconce della Romay che si tocca in preda al delirio e si infila il dito in bocca simulando una fellatio (tra le sequenze più blasfeme e morbose firmate dallo tio)
Da antologia allusivo/sessuale il gay Fiore che "degusta" la banana a tavola.
Una delle poche volte volte che lo tio Jess non appare in un cameo, orchestrando al meglio il suo romanzo d'appendice sadiano.
Denso, penetrante, cupo, torbido, lascivo, feroce, sadico, sudiciamente claustrofobico e ossessivo
Misteri dei giardini di Compton House secondo lo tio Jess.