Bel film dei fratelli Taviani tratto da un racconto di Tolstoj (“Il divino e l’umano) che i due registi però cambiano in maniera abbastanza sostanziale. Forse eccessivamente verboso e dai ritmi un po’ troppo dilatati può contare però su un’ottima prestazione attoriale di Giulio Brogi che giganteggia soprattutto nella parte centrale del film (che è la migliore della pellicola e nella quale riesce ad avvincere notevolmente gli spettatori).
Prima l'irruzione in un paese per dare grano ai contadini, poi la solitudine in prigione, infine l'incontro con i nuovi sovversivi attenti alla classe operaia. Intelligentissimo e coraggiosissimo film storico-politico-esistenziale che mette in luce prima il velleitarismo ingenuo e pionieristico dei post-carbonari, poi la macerazione interiore del protagonista (un ottimo Brogi) e infine lo scontro con un'epoca moderna e ignota. Bellissime e spietate le riprese che puntano a una poesia visiva che sorregge complesse (e attuali?) riflessioni.
Film d’autore di tedio non facilmente vincibile. Il primo dei tre quadri, ambientato a Città della Pieve, ha un andamento interessante, che dà un effetto straniante e “perplimente” sulle ingenuità degli insorti. Il secondo è un pezzo di bravura di Brogi, specialmente quando cede al pianto, ma muove allo sbadiglio e – paradossalmente – non riesce a trasmettere la pesantezza dei dieci anni di segregazione. Il terzo – con richiami alla pittura di Pietro Longhi - è narrativamente il meno credibile e più carente fino allo scontatissimo finale. Il bimbo dell’incipit è Renato Cestiè, la carcerata è Virginia Ciuffini, sorella di Sabina.
I Taviani alle prese con un dramma politico in costume basato sullo stravolgimento di un racconto di Tolstoj: con questi presupposti il film si preannuncia sulla carta come una mattonata anticinematografica; invece la superba interpretazione di Giulio Brogi riesce a dare credibilità e pathos a una sceneggiatura indubbiamente verbosa (il protagonista si cimenta in monologhi per un buon 70% della pellicola) e anche la regìa appare funzionale al contesto. Da conoscere, perché oggi il cinema anni '70 che ha bisogno di essere riabilitato è questo.
Sovversivo viene condannato alla pena capitale per aver tentato una rivolta contadina. Dramma storico in quattro macrosegmenti in cui il versante action palesa limiti di budget. Quando si concentra nella detenzione, la regia sa dare importanza a un ispirato Brogi, che avrà anche accenni teatrali ma tiene la scena in modo impeccabile. L'ultima parte riassume la sconfitta di certi ideali e il ruolo del tempo che scombina le carte, oltre a indicare una possibile pazzia del protagonista.
MEMORABILE: La finta riunione in carcere; Il gesto estremo.
Che il film abbia un significato profondo e che sia retto sulle spalle da un ottimo attore non ci sono dubbi. Film che si divide in tre bozzetti differenti, tutti a loro modo interessanti e simbolici. Come spesso accade per i film dei fratelli Taviani, però, il ritmo latita seriamente e non mancano alcune parti di lentezza straziante, soprattutto nel secondo bozzetto monolocation. Film che va guardato con estrema attenzione per coglierne ogni particolare, ma risulta adatto solo agli amanti del cinema d'essai. Chi cerca una serata pizza e film potrebbe morire di noia.
L'anarchico internazionalista Giulio Manieri è arrestato insieme ai compagni durante un disorganizzato tentativo di moto rivoluzionario. Viene condannato prima a morte e poi al carcere a vita. Film che parla a nuora (il tardo Risorgimento) perché suocera (l'Italia di oggi) intenda che il velleitarismo politico confuso non conduce a niente. Diviso in tre parti, è affidato soprattutto alle notevoli qualità espressive di Brogi e a molti monologhi. La regia dei Taviani, nella sua apparente essenzialità, offre molti preziosismi degni di nota. Non può e non vuole essere un film per tutti.
MEMORABILE: Il monologo a più personaggi di Brogi; I ricordi rivivono a parole per sbattere contro il muro della cella.
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