Un film valido e trascinante. Otto persone si ritrovano misteriosamente "convocate" in una villa di campagna in stile dieci piccoli indiani; una di loro, invalida, propone ai presenti un gioco crudele, la roulette cinese; vengono propinate domande malvagie e risposte efferate, in una sorta di gioco perverso, il cui epilogo può essere solo un liberatorio colpo di pistola. Ricorda Mano rubata di Lattuada, per certi versi. Inquietante e ben diretto. Brava Macha Méril, gia apprezzata in Profondo rosso.
Gioco al massacro, abilmente orchestrato e diretto da Fassbinder, che raggiunge il suo climax nella notevole ed inquietante parte finale in cui avrà luogo il gioco che dà il titolo al film. Bersaglio del regista è, ca va sans dire, una borghesia malata
ed ipocrita. Notevole anche dal punto di vista formale con la macchina da presa che si muove morbidamente ed abilmente avvolgendo i personaggi del dramma. Le donne del cast, brave, se la cavano molto meglio degli uomini un pò spenti e ingessati.
Straordinario dramma da camera Fassbinderiano, il cui manicheismo strutturale a tesi è compesato dai morbidi movimenti della mdp, che stringono progressivamente i personaggi in una micidiale trappola per topi. Al formidabile e allusivo incipit musicale subentra una latente commedia delle parti, che l'arrivo della bambina (Angela) sterminatrice scioglierà in un devastante gioco di ruolo, in cui a farla da padrone è, una volta in più, il luciferino Potere della Parola. Cast femminile da far drizzar il pelo per intensità e qualità: su tutte Mèril e Karina.
MEMORABILE: L'inizio soffuso, con la mdp che però già misura la distanza tra figlia e madre, inquadrata davanti alla finestra ad osservar lo stormir delle fronde.
Il gioco della roulette cinese incomincia dopo cinquanta minuti e segna l’acme delle tensioni fra i personaggi – inquietante in particolar modo l’odio vicendevole tra madre e figlia – che si sono accumulate sin dalle prime battute. Ritorna l’unità di luogo di Petra von Kant, che consente a Fassbinder di padroneggiare lo spazio scenico con piani sequenza (magnifico quello iniziale, con lo stormire delle fronde visibili dalla finestra sullo sfondo – e secchi close-ups per scrutare volti acidi (Carstensen), fascinosi (Karina) e cinicamente perversi (Schober). Da tragedia l’excipit in sospeso.
MEMORABILE: L’urlo “muto” della Méril; le note di “Radioactivity” dei Kraftwerk che si odono da una delle stanze; lo sparo fuori campo che chiude il film.
Straordinario dramma d'interni orchestrato da un Fassbinder in stato di grazia che gioca con i suoi personaggi come il gatto con il topo mettendone a nudo, con esasperante lentezza ma con una inesorabile progressione geometrica, le miserie interiori e schiacciandoli in un vicolo cieco che potrà spezzarsi solo con un colpo di pistola. Magistrale l'uso della macchina da presa che si muove sinuosamente fra i protagonisti inchiodandoli in spietati primi piani. Grande prova d'attori, fra cui spicca la giovanissima e luciferina Andrea Schober.
MEMORABILE: La risata liberatoria quando i due coniugi si incontrano inaspettatamente nella stessa stanza con i rispettivi amanti.
Uno dei migliori e più compatti film di Rainer Werner Fassbinder. La morte della vile borghesia affidata a un gioco apparentemente lieve ma con un sottofondo disperato e crudele. I volti degli attori, le geometrie della fotografia, l'uso della musica: tutto perfetto. Il ruolo più significativo è stato affidato alla piccola e inquietante Andrea Schober.
Tra i più ispirati dalla nouvelle vague e tra i più complessi (intellettualmente parlando) della filmografia del tedesco. Un kammerspiel raffinato, formalmente ineccepibile e stillicida sulla famiglia borghese grondante cattiveria e cattive intenzioni, dove oltre gli sguardi contano soprattutto le parole usate come vere e proprie armi pronte a colpire e, al servizio, a uccidere. Enigmatico e sterminatore (ma anche un po’ troppo sopra le righe) il personaggio di Angela. Visione difficile dati i molto riferimenti concettuali, il che distacca e fa preferire altro.
Marito e moglie si ritrovano nel fine settimana in campagna con la figlia, i rispettivi amanti e i collaboratori domestici. La tensione cresce e la figlia propone il gioco crudele della roulette cinese. Non tra i Fassbinder più riusciti. Nella prima ora alterna momenti lirici ad altri enfatici, mentre gli attori, sostanzialmente validi (la Meril su tutti: splendida), risultano a tratti troppo declamatori. La tensione sale nella parte finale, quella del gioco, grazie a movimenti e giochi di sguardi che sottolineano e impreziosiscono le battute. Non arriva a tre pallini.
MEMORABILE: "Ti amo" "Lo so, ma non importa"; Il "gioco".
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