Con l'Ubalda e Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno forma la terna dei leggendari e celebri titoli dei primi Anni Settanta. Qui Brescia mescola l'imperante Decamerone con il decaduto peplum e vi ambienta i freschi pugni alla Spencer ed Hill, dando il pallino ad uno smilzo e ad un ciccione. Il risultato, complice una messa in scena non povera (con scene di massa prese da film antecedenti...), non è dei più malvagi. Ci sono Vittorio Caprioli e la veterana Linda Sini.
E chi poteva essere la "prostituta" al servizio dell'Impero se non la prolifica (quanto bella e brava, per inciso) Femi Benussi? La briccona imperatrice ha un trascorso non proprio nobile, affiancato a quello della "vergine di Cappadocia" (Eva Czemerys). Due soldati al servizio di Nerone ricordano i precedenti di Poppea, molto più estroversa in (s)veste di donna che nei (pochi) panni di moglie. Al di là delle buone premesse, il divertimento risiede in altri lidi, al pari dell'erotismo; né funziona l'ibridazione "boccaccesca" con il peplum.
Commedia erotica, che ricorda molto il genere decamerotico nonostante sia ambientata nell'antica Roma. Attori ottimi ma la commedia rimane appena sufficiente, piatta basata sulle solite battutacce romanesche e i soliti siparietti erotici. Stupenda la Benussi, tra i pochi motivi d'interesse del film. Appena passabile.
MEMORABILE: "Ma quale oracolo hai consultato, quello delle mignotte?".
Parodia dell'Impero romano in versione decamerotica con frecciatina finale - anacronistica ma efficace - contro gli immortali "democristiani". Brescia dirige all'insegna della spensieratezza, sua e degli attori: Don Backy e Lander costituiscono una classica strana coppia picaresca - il primo magrolino e scaltro, il secondo grassone e tonto -, la splendida Benussi dona carisma e opime forme all'imperatrice Poppea, la Sini tesse le trame erotico-politiche di Agrippina e Caprioli si diverte con le eccentricità e le velleità poetiche di Nerone. Czemerys sacerdotessa poco...vergine.
MEMORABILE: La super mangiata di Don Backy; l'ode al gladiatore.
Un pastrocchio quasi simpatico: tette, pugni e Petronio tirati via con ammicchi impossibili (alla Spencer-Hill), battutine da poco e le solite caratterizzazioni dialettali (abbiamo latini siculi, ciociari e quant'altro). Siamo un po' lontani dalle licenziosità storiche di Svetonio, ma il tutto ha perlomeno il pregio di avere un tono scanzonato e senza pretese. Caprioli fa un Nerone macchiettistico e poco credibile, al pari di Ustinov.
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L'esilarante finale è la cosa migliore dell'intero film.
Nerone incendia Roma, ma il regista punta l'obiettivo, spostandosi dal generale al particolare: ovvero il culo della Benussi, che diventa rosso e, lentamente, brucia pure lui.
Fortunatamente (per lei e per noi spettatori) Don Backy salva le chiappe all'attrice per portarsela poi, ovviamente, sotto le coperte.
Così, mentre Poppea scopa e Roma brucia, Nerone medita di incolpare i cristiani per l'improvviso incendio!