Next floor - Corto (2008)

In questo corto il regista canadese compie una raffinata critica della società dell'opulenza, raffigurando una galleria di personaggi tragici (in)consapevoli delle conseguenze di un vivere smodato. Balla molto sul filo del grottesco, rievoca Ferreri e Bunuel, cerca un'eleganza non fine a se stessa. Da apprezzare ma senza farne un manifesto di integralismo vegano.

Accompagnati da un mix di percussioni tribali e svolazzi d'archi, un gruppo di commensali grosziani pasteggia circondato da un nugolo di servi e musici... Nel terzo cerchio, Dante immagina per gli ingordi un inferno di privazioni sensoriali, in questo corto invece l'inferno è la coazione a ripetere senza fine un pasto mostruoso, nonostante il decadimento (letterale) nell'abisso. Incubo di grande eleganza che, richiamando altre metafore cinematografie sul tema (Ferreri, Bunuel, Monty Pyphon), rileva risvolti inaspettatamente grotteschi nelle coordinate del regista.

Una grande abbuffata di carni animali che fa sprofondare il tavolo del banchetto con tutti i commensali di piano in piano: un’idea geniale, altrettanto ottimamente realizzata, con sapiente regia e fotografia. Un apologo sul consumismo, sull’implosione dell’umanità, sull’avidità, in forma quasi di pena infernale dantesca, soprattutto per il senso di progressione infinita senza soluzione. Una condizione spaventosa e senza speranza che si conclude tirando in ballo lo spettatore: perché la responsabilità della salvezza è solo nostra.

Un cortometraggio dal significato metaforico piuttosto ovvio, una lampante critica al consumismo, alla ricerca dell’opulenza spesso abbinata all’avidità umana. Questo “messaggio” così palese toglie forza ad una pellicola di cui tuttavia non può sfuggire l’eleganza e la forza della messa in scena, la suggestione delle immagini e la resa della fotografia.

Perforante corto di Villeneuve, chiara metafora sull'ingordigia dell'uomo che non si ferma davanti a niente, nemmeno alla chiara autodistruzione. Rimangono comunque alcuni punti oscuri (chi è il cameriere con lo sguardo satanico?) che aumentano il fascino dell'opera. Ottime regia e fotografia, così come è buona la scelta dei volti, alcuni davvero allucinanti e allucinati.

Divora che ti ridivora, a forza di spolpare carcasse impolverate e giocare sino all'ultimo d'astuzia sulla lentezza e i dubbi morali del vicino, ecco che l'umanità dei facoltosi si scava da sola la fossa e precipita in un imbuto senza fine. Rivedere questo acuto corto del sempre puntuale Villeneuve alla luce del recentissimo Buco contribuisce a neutralizzarne ancor più la presunta carica eversiva: qui il messaggio, leggermente meno urlato, arriva tuttavia con assai maggior forza, anche per una sottile vena comico-grottesca à la Ferreri.

Un limbo discensionale nella disperazione dell'esser sazi, o nel non conoscere sazietà del precipitare sotto il proprio peso individuale o collettivamente percipito? Vatelapesca. La bulimia di sé dal ricetttario secondo Giovanni Lindo Ferreri. Di mezzo, una gastronomica prova d'orchestra tra Jeunet/Caro e Greenaway. Ossimorico e oracolare nel suo impeto allegorico e al contempo delfico e sibillino, Villeneuve ci solca addosso dentro attorno 11' di paraviscontiana cinegastropatia planetaria masterchef da cinquestelle Michelin, che saranno probabilmente germinativi per Gaztelu-Urrutia.